Spostai lo sguardo sull'unica rosa rossa e la presi in mano, stando attenta a non pungermi le dita esili con le spine. C'era un biglietto, attaccato allo stelo, più lungo degli altri.

"Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte
inciampi nei miei più segreti pensieri?"

- K

Alzai lo sguardo verso la finestra e sorrisi. La frase era chiara per me, ma soprattutto vera. Mi ero confidata con lui più di quanto avessi mai fatto con qualcun altro, ma senza sentirmi costretta o a disagio. Era stato il mio cuore, spontaneamente, a parlare. E anche se lui ora era distante, almeno fisicamente, per chissà quale motivo, io la sua presenza la sentivo sempre.

Delle lacrime calde iniziarono a scorrermi lungo le guance, a cui di gesti a cui non ero abituata. «Vado un attimo in bagno, Xim».

Non sentii la sua risposta, mi chiusi in bagno di fretta e furia, appoggiando poi la schiena al legno della porta. Chiusi gli occhi e provai a respirare con più lentezza. Mi fissai allo specchio, dopo aver aperto gli occhi, con ansia e inquietudine. Fissavo me, ma probabilmente dietro il riflesso c'erano un paio di occhi occupati ad osservarmi, o forse una telecamera, montata da Denholm per sorvegliarci e privarci della privacy.

Lo sguardo mi cadde sulla mia pochette dei trucchi, di solito nascosta in un cassetto in basso, poggiata in bella vista sul marmo del lavandino, alla destra dello specchio. Il mio cuore saltò un battito.

Sopra di essa era poggiata una sola rosa. Nera. Con dei piccoli oggetti morbidi e indefiniti attorno allo stelo, probabilmente infilzati dalle spine. Sotto la pochette era stato messo un libro, che riconobbi subito grazie alla copertina bianca e il disegno di un bambino biondo che si faceva tirare in aria da uno stormo di uccelli. Attorno a loro piccole stelle e dei pianeti.

Mi avvicinai tremante e presi la rosa fra le mani, con una delicatezza che mi sconvolse, come se avessi paura di rovinarla. Aprii il biglietto, che altro non era se non un pezzo di cartoncino nero, che conteneva una frase scritta con un pennarello bianco.

"Se può esistere una notte senza stelle
mi chiedo come possa non esistere,
al mondo, una rosa senza spine dolorose."

Erano marshmallow, mi resi conto quando tornai a fissare la rosa.

Piccoli marshmallow, rotondi e simili a cilindri, infilzati nelle spine come dei cuscinetti adibiti a proteggere le mie dita dal dolore che potevano, se non fossi stata attenta, causarmi.

Non c'era un solo accenno o dettaglio sul mittente, ma io sapevo bene chi fosse il proprietario di quella calligrafia inclinata a destra e poco elegante, ma comunque leggibile. Sapevo a chi avessi conferito il soprannome di "notte senza stelle", a quale orecchio l'avessi sussurrato con paura e speranza di vederlo aprire gli occhi e fissarmi con quella nota di calore, sempre in netto contrasto con il colore del ghiaccio che portavano dentro.

Gli occhi poi li aveva aperti. Il ghiaccio, negli anni, si era sciolto e aveva lasciato posto a due iridi dorate come il sole. Le cose erano cambiate, lui, io, i luoghi, le amicizie, il cuore e le emozioni... ma quella era l'unica cosa rimasta uguale.

Lui era ancora una notte senza stelle. E, forse, era ancora la mia.

Aprii la porta del bagno e la richiusi in fretta, tenendo gli occhi incollati al pavimento. Mi vergognavo di far vedere a Ximena quanto fossero lucidi e rossi, anche se per anni avevo desiderato piangere e vedere scorrere le lacrime, credendo che la vera debolezza fosse non riuscire a farlo. Ora che potevo, mi ero convinta che la debolezza fosse il contrario.

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