Aprii la bocca e la richiusi, sorpresa. Kyran era un'amante dei libri sulla mitologia greca e dei classici, ma non amava quelli con delle storie d'amore al loro interno. A differenza mia, che leggevo solo quelli.

«Non ti ho ancora chiesto perché non ti piace leggerli». Mi appoggiai anche io ad uno scaffale.

Alzò le spalle. «L'amore dei libri ti fa credere che esista per tutti, anche per i più psicopatici o solitari. Io non la penso così. Credo che, al mondo, ci siano tante persone che non lo meritano o semplicemente che non sono fatte per amare. Esistono molti temperini, ma non tutte le matite hanno bisogno di essere temperate. Alcune stanno bene da sole, per non essere consumate e condannate a ricercare il proprio temperino».

«Io leggo proprio per questo». Fissai un punto con sguardo vitreo. «Se anche nei libri fosse tutto complicato e triste come nella vita reale credo che impazzirei. Non avrei più speranza, non avrei più niente in cui credere o qualcosa che mi faccia sentire le sensazioni che non riesco a provare nella mia vita. I libri servono a darti una lezione, ma anche a donarti un mondo dove potrai sempre rifugiarti e che non sparirà mai, non si distruggerà mai».

Mi osservò per molto tempo prima di fare un passo avanti. «Perché non rendi la tua vita ciò che ti dona il tuo libro preferito?».

«Perché non è così facile. Perché sono una matita che è arrivata al suo ultimo tratto, sbiadita e dall'impugnatura violenta». Abbassai lo sguardo.

Lo rialzai solo quando i suoi calzini entrarono nel mio campo visivo e incontrai i suoi neri. Era un buio piacevole, il suo. Inclinò la testa di lato e mi studiò. «Potrei essere il tuo temperino».

Mi si fermò il respiro. «Non so se... ne saresti in grado».

«Non puoi saperlo se non provi...». Mormorò e il suo sguardo si fermò sulle mie labbra. «Se non provi un vestito non puoi sapere se ti entra. E se ti sta bene».

Abbassai il mio sguardo solo per fissare le sue, di labbra, dall'apparenza morbide e rosee. «Non so se mi entri. Non so se mi stai bene addosso».

«Possiamo provare...». Soffiò sulle mie labbra.

E solo quando si posarono sulle mie capii che ci stava provando sul serio.

Un tocco delicato, un semplice bacio a stampo. Tentò veramente, studiando la mia reazione, e quando si staccò mi leccai le labbra in modo automatico e involontario. Il suo sguardò si infiammò, anche se era difficile scorgere del fuoco in un enorme vastità di buio, ma quella luce c'era e illuminava tutto. Anche me.

Si abbassò di nuovo verso la mia bocca e stavolta la prese, la fece sua. La vestì della sua, come aveva detto poco prima, e io mi lasciai andare. Mi accarezzò dolcemente con le mani, posate a coppa sul mio viso, e l'unico rumore oltre il nostro respiro era quello delle nostre bocche unite, che si lasciavano solo per qualche secondo e solo per riprendersi con più forza poco dopo.

Gli sfiorai i polsi, sorpresa dalla dolcezza che sentivo in me, dalla calma che mi circondava e dal senso di confusione positiva, come se fossi dentro una bolla di pace.

Un rumore tecnologico, simile ad una notifica di un telefono, suonò circa tre volte e lui si staccò immediatamente da me, ringhiando frustrato.

«Merda di regole». Borbottò, tirando fuori il suo telefono e schiacciando qualcosa.

La sua mano, fredda e morbida, rimase sulla mia guancia a carezzarmi con dolcezza.

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