home, a place where i can go

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Maya's POV
Una sconosciuta che cammina passando distrattamente la mano fra i folti capelli, la foglia che si è appena posata leggiadra sul mio parabrezza, l'Arbre Magique agli agrumi che hai insistito per mettere affinché ti ricordasse la tua terra: tutto mi fa pensare a te.
Un incosciente mi supera da destra rischiando di provocare un incidente stradale; poso la mano sul clacson ma non lo premo, perché il pensiero di essere ogni metro più vicina alla nostra casa, al nostro nido d'amore, mi calma completamente e istantaneamente.
Continuo a guidare con la leggera brezza d'ottobre che mi scompiglia i capelli e la tua playlist "Nostalgia Nostrana" che invade le mie orecchie. Cerco di cogliere qualche parola nella tua amata madrelingua ma ne individuo solo una che si ripete: Avrai. Il ritmo è piacevole e subito mi coinvolge emotivamente. Mi trasmette una disperata speranza, una consapevole positività.

Quando varco la soglia di casa, la tua presenza pervade i miei sensi ancor prima che ti mostri alla mia vista: con l'olfatto posso percepire il tuo profumo, dolce senza mai risultare nauseante grazie al tocco piccante e deciso che mi hai più volte ricordato essere pepe rosa. Sento un aroma di caffè che ti sei portata appresso assieme allo spazzolino e al pigiama, l'odore del sugo che bolle in pentola, il tuo bagnoschiuma che sembra volermi avvisare della tua presenza in bagno.
Con l'udito sento lo scrosciare dell'acqua nella doccia e la immagino scorrere sulla tua pelle e aggrapparsi a essa, per non dover abbandonare il tuo corpo troppo velocemente. Posso udire la canzone che stai canticchiando pur non comprendendone il significato. Mi sfilo i vestiti e li ripongo accuratamente sul divano, ed entro di soppiatto in bagno; lo trovo avvolto da una fitta nube di vapore, che mi permette di intravedere a malapena la tua sagoma di spalle. Con il senso del tatto percepisco la tua pelle liscia e ben curata: prima le spalle magre ma ben definite, poi la clavicola e infine i tuoi seni. Ho sempre adorato poterli tenere in una mano senza alcun problema. Sobbalzi a causa del contatto inaspettato prima con le mie mani, poi con il mio corpo che si avvolge intorno al tuo in un abbraccio che riesce a sostenere il peso della tenerezza e della passione. Ti giri parzialmente e riesco finalmente a vedere il tuo volto di profilo: i tuoi occhi grandi e color nocciola, con delle scaglie ambrate; il tuo naso peculiarmente delicato, rivolto sempre verso l'alto; le tue labbra non eccessivamente carnose, che amo vedere dischiudersi nel tuo migliore sorriso.
"Mi sei mancata da morire" mi sussurri, e sento i brividi che, seguendo il percorso delle gocce bollenti che percorrono il mio collo, la mia colonna vertebrale, fino a pervadere le gambe.
A questo punto, l'unico senso non ancora devoto alla tua persona è quello del gusto. Con un movimento rapido ma delicato ti faccio girare, in modo che tu sia frontale a me: è tempo di rimediare a questa spiacevole mancanza.

Osservarti mentre ti rivesti è la parte migliore del sesso con te. Non che gli altri momenti non mi piacciano, spero tu non fraintenda, d'altra parte lo hai toccato con mano. Guardarti mentre ti rivesti trasmette la stessa amorevole gioia di mangiare a colazione la pizza della sera precedente: è il passaggio successivo all'apice vero e proprio, in cui si ha tempo di riflettere e di ragionare su quanto fosse impeccabile la scelta del condimento. E' la circostanza in cui si realizza che la pizza non era buona solo perché ha soddisfatto la fame vorace di un sabato sera. Vederti indossare nuovamente i tuoi slip e la tua canottiera intima mi dà il tempo per contemplarti e darmi ancora una volta conferma del fatto che tu sia un vero e proprio capolavoro, non solo per il tuo aspetto, ma per i tuoi modi, la tua grazia, la tua scioltezza nei movimenti. Se fossi un'opera d'arte saresti Iris nel giardino, di Monet: un tripudio di colori così contrastanti ma nel complesso armonici, pennellate così piccole ma decise, toni caldi. Non c'è bisogno di essere fisicamente in un giardino così ben rappresentato per poter sentire l'aria fresca espirata dagli alberi e il profumo che pervade l'ambiente. Così io, pur chiudendo gli occhi, riesco a seguire i tuoi movimenti dai tuoi passi delicati, il suono quasi impercettibile della stoffa che scorre sulla tua pelle fino a coprire quegli spazi che fino a pochi momenti fa appartenevano alle mie labbra. Ti intrufoli di nuovo sotto le coperte, attorcigli le tue gambe con le mie; la tua mano si posa sul mio capo e fai scorrere le mie ciocche bionde fra le tue dita.
"Ti amo, bambina", mi sussurri. Imparare la tua lingua a poco a poco mi gratifica e mi fa sentire come se ogni giorno fossi un po' di più nel tuo mondo. Sorrido perché ho capito cosa hai detto.
"Ti amo, bella", rispondo. Trattieni una risata per il mio accento così innaturale, mi lasci un bacio sul capo.
"Avrai fame", affermi, ma lo dici nella tua lingua, forse dimenticandoti di ricominciare a parlare in inglese. Sobbalzo, perché ho sentito la stessa parola che sono riuscita a cogliere nella canzone che ascoltavo tornando a casa.
"Ho sentito una canzone della tua playlist prima e ho riconosciuto quella parola, Avrai", dico sorridendo; il tuo volto, però si incupisce.
"Avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle
Storie fotografate dentro un album rilegato in pelle
I tuoni di aerei supersonici che fanno alzar la testa
E il buio all'alba che si fa d'argento alla finestra"
Annuisco: il ritmo sembra proprio questo. Ti seguo fino alla cucina, dove ti dirigi con passo spedito. Ti guardo trafficare fra i fornelli, pulire il piano cucina, riordinare freneticamente e cerco di capire quale sia il problema.
"Carina, va tutto bene?"
"Tutto bene, sì", rispondi. Eppure io so che non va tutto bene. Riconosco quell'espressione: lo sguardo che si sposta da un oggetto all'altro guardando ovunque senza vedere niente, la foga con cui ti sistemi i capelli senza farli restare nella stessa posizione per più di dieci secondi, le lunghe e rapide falcate con cui ti muovi da una parte all'altra. Quando sei nervosa non riesci mai a stare ferma, sposti oggetti e fai lunghi sospiri profondi. Mangiamo silenziosamente la tua pasta al sugo e la mia mente vaga, i miei pensieri spaziano e alla fine diventano ingombranti. Ti alzi a sparecchiare ancora prima che io finisca la mia pasta, e così ho la conferma che qualcosa ti turbi. Ti precipiti in bagno e sento il phon che si accende; irrompo senza avvisare e mi paro davanti a te: in apprensione raccolgo l'ultima delle lacrime che ti scorrono sul viso, e inizio ad asciugarti i capelli mossi.
"Era la canzone che avevo dedicato ad Andrea, non l'avevo ancora sentita da quando lui...", sospiri e ricominci a singhiozzare. "Da quando è morto", concludi.
Ti corichi e appoggi il capo sulla mia coscia, disegnando delle spirali con l'indice sulla pelle che l'accappatoio mi lascia scoperta.
"La canzone parla della vita che avrà il figlio del cantante, tutte le cose belle e brutte che inevitabilmente gli accadranno perché fanno parte dell'esistenza di tutti.

Avrai, avrai, avrai
Il tuo tempo per andar lontano
Camminerai dimenticando
Ti fermerai sognando
Avrai, avrai, avrai
La stessa mia triste speranza
E sentirai di non avere amato mai abbastanza
Se amore, amore avrai.

Questa è la strofa che ricorderai meglio, in cui si ripete il verbo "Avrai". Lo so che Andrea non è... non era mio figlio", ti correggi.
"Però io ho sempre sentito un istinto materno nei suoi confronti. Ho sempre sentito di doverlo proteggere da tutto: da mio padre, dai grandi litigi dei miei genitori, dalla vita stessa. Quando mia madre ha deciso di trasferirsi in America e papà non ha accettato che ce ne andassimo entrambi con lei, io ho deciso spontaneamente di rimanere in Italia con lui. Avevo sedici anni, avevo già intuito la malattia di mio padre. Sono stati degli anni complicati, ma l'idea di Andrea lontano da tutto ciò mi faceva sorridere. Quando credevo di non farcela pensavo a tutti i nostri momenti assieme: alle passeggiate sul bagnasciuga in inverno, alle litigate che hanno costellato la nostra infanzia, a tutte le volte che io ho coperto lui e lui ha coperto me con i nostri genitori. Più di tutto, però, ricordavo quando mio padre aveva la sua fase maniacale, e mamma cercava di intervenire. Tutto quello che giungeva a noi erano grida, colpi ai mobili, oggetti che si infrangevano sulle pareti. Al primo segnale di lite Andrea si rifugiava in camera mia e io mi impegnavo a mantenere la calma, a non mostrare quanto fossi terrorizzata a mia volta. Mi abbracciava e si raggomitolava contro di me sotto le lenzuola del mio letto, smetteva di piangere quando finalmente si addormentava. Questi periodi di irritabilità duravano solitamente due settimane, poi ricadeva nella depressione più totale. Temevamo le fasi maniacali. Arrivavano in modo inaspettato ed era meglio che nessuno si trovasse nei dintorni, perché bastava un dettaglio per scatenare la sua furia. Una volta arrivò talmente rapidamente che non feci in tempo ad accorgermene. Non ho mai temuto così profondamente di morire. Lo ricordo perfettamente, era la sera prima del mio primo giorno di liceo. Quando riuscii a scampare alla sua furia mi rifugiai in camera, e come di consuetudine fui raggiunta da Andrea. Quel giorno mi bombardò di domande, io mi sforzai di rispondere senza scoppiare in lacrime. Quando si sentiva più coraggioso faceva così: mi chiedeva cosa stesse succedendo, se mamma e papà si odiassero, se papà ci odiasse, perché. Io gli rispondevo che mamma e papà stavano passando un periodo un po' strano e che nonostante tutto si volevano ancora bene. Gli dicevo che ci volevano bene. Tuttavia, quando il silenzio ritornava a incombere sulla nostra casa, uscivo dal nostro posto sicuro e cercavo di nascondere ogni segno di lotta: non avrei mai permesso che Andrea vedesse i mobili sfondati, i cocci rotti sparsi per il movimento, la cucina sottosopra. Mi preoccupavo di nascondere tutte le prove, forse per negare a me stessa tutto il disastro che avveniva all'interno delle quattro mura domestiche. Un giorno la mia nonna venne a trovarmi e vide un mobile distrutto nel corridoio che si affacciava fuori dalla mia camera da letto. Invano, provai a convincerla che qualcuno ci fosse caduto sopra, rompendolo in quel modo. Fu lei a convincere mia madre a cambiare Paese, continente, vita, a portare noi con sé. Le sono eternamente grata per non avermi creduto, quel giorno".
"È terribile, bambina", ti sussurro senza smettere di intrecciare i tuoi capelli ondulati.
"È tutto ok, sto bene". Il più dolce dei tuoi sorrisi si dischiude sulle tue labbra, afferri la mia mano e mi baci il palmo; infine la avvicini alla tua guancia e, sostenendola con una delle tue mani, la utilizzi come un cuscino, chiudendo gli occhi. Non so come tu possa trovarlo comodo, ma forse il punto non è la comodità, quanto il senso di rassicurazione. Strofini lentamente la guancia sul mio palmo finché il tuo respiro diventa sempre più lento e silenzioso. In pochi minuti cadi tra le braccia di Morfeo. Amo quando lo fai, sembri una bambina che ha bisogno delle coccole della sua mamma. Amo quando ti tranquillizzi al contatto con il mio corpo, mi sento la persona giusta; se non per me, i miei genitori, il mio lavoro, almeno per te. Amo te, amo tutto quello che siamo, amo la versione di me stessa in cui mi hai trasformato. Con te qualunque cosa, anche la più banale, diventa intima: piegare le lenzuola, cucinare, fare il bucato. Amo la nostra casa, molto più di quanto la amassi quando era solo mia. Forse, prima di te, non era mai stata davvero casa. D'altronde, casa è dove si trova pace, dove ci si sente al posto giusto, dove ci si sente legati da un senso di appartenenza. Una volta mi hai detto che la tua vera casa sarà per sempre l'Italia, anche se hai smesso di sentirla come tale da quando tua madre e Andrea se ne sono andati. Io ti ho risposto che non mi sono mai sentita così legata a un posto da poterlo definire casa. Adesso, finalmente, ho capito. Casa non è un luogo, almeno per me. Casa è una persona, ed è la stessa che voglio vedere addormentarsi tutti i giorni della mia vita sulla mia mano. La mia casa sei tu.

Casa - MarinaWhere stories live. Discover now