Strofa Prima

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Lo spettro di Naraku

Un pensiero era baluginato nella sua mente quel giorno, dopo tanti anni dalla sua scomparsa; Naraku, il suo socio in affari era tornato alla sua memoria, e insieme a lui anche il ricordo di come se ne fosse andato in completa solitudine senza alcuna persona al suo fianco che lo piangesse. Nemmeno Sesshomaru, che era l'unica persona, ( oltre agli addetti alla sua cremazione), a essersi presentata al suo funerale, aveva versato alcuna lacrima. Non che la cosa non fosse normale per lui, tuttavia, almeno in quel momento ci si sarebbe potuti aspettare una minima reazione, ma il suo orgoglio non glielo avrebbe mai permesso.

Il ragazzo era morto dopo una lenta agonia a causa di una grave malattia che lo aveva colpito, e anche quando si trovava agonizzante in un letto d'ospedale, nessuno era andato a trovarlo, nemmeno lo stesso Sesshomaru, che era troppo impegnato, per lasciare anche per un solo momento il suo lavoro. Così se ne era andato senza un minimo di affetto attorno a lui, era come se non fosse mai esistito, come se nessuno sapesse di lui o ciò che era stato. A volte anche lo stesso Sesshomaru si domandava che cosa, in realtà, fosse davvero stato Naraku. Ed era una domanda a cui ancora non sapeva rispondere.

Eppure, quel nome dall'insegna non lo aveva mai tolto, e anche dopo parecchi anni si leggeva ancora accanto a quello del suo socio: Sesshomaru e Naraku. Era per questo che la ditta era nota; per loro due. Di tanto in tanto, succedeva che qualcuno desse il nome a Sesshomaru; ora il suo, ora quello di Naraku e lui rispondeva a entrambi, ma in fondo non gli era mai importato più di tanto, aveva sempre considerato sia lui che il suo socio come una cosa sola.

Sesshomaru era sempre stato un ragazzo gelido, scostante; alto, dai capelli biondo argento, occhi azzurri, talmente chiari da somigliare alla punta di un iceberg, ma soprattutto era di una bellezza rara in quella piccola parte di mondo, e se non fosse per la sua natura umana, lo si sarebbe potuto scambiare per un demone. Ma la sua freddezza contrastava totalmente con la sua bellezza. Tuttavia, il gelido inverno per lui, non era che una lieve brezza, la quale non riusciva a scalfirlo. Non sentiva il freddo pungente sul viso, anzi, era lui stesso a farlo provare agli altri, nemmeno la più calda delle estati riusciva a riscaldarlo. Ogni persona che incontrava sulla sua strada, si scansava al suo passaggio, talvolta era egli stesso a fare paura a qualche ragazzino che aveva la sfortuna di incontrare sul suo cammino. Persino i cani dei ciechi cambiavano direzione non appena lo vedevano.

Ma lui ne gioiva di tutto questo, come se la paura delle persone fosse la sua fonte di sostentamento, e lo rendesse più forte. Ad ogni suo passo, urlava alla gente di lasciargli libero il passaggio, e questa si scansava timorosa, lasciandogli la via libera.

Un giorno in cui se ne stava rintanato nel suo ufficio, nella giornata della Vigilia di Natale, in una delle giornate più gelide di quell'inverno, in cui le persone fuori dal suo studio rabbrividivano per il freddo e cercavano di scaldarsi in qualche modo. L'orologio sulla sua scrivania segnava appena le tre, e nonostante l'orario pomeridiano, sembrava fosse piena notte. Gli edifici tutto intorno erano illuminati dalle fioche luci delle candele. Vi era una fitta nebbia che sembrava quasi entrare in ogni casa, facendole sembrare degli enormi fantasmi.

La porta del suo ufficio era aperta per dare modo a Sesshomaru di osservare ogni mossa del suo segretario, il quale seduto più in là, attendeva che il suo datore di lavoro finisse di visionare alcune pratiche, in modo da poterle poi catalogare. Il camino acceso nell'ufficio di Sesshomaru mandava un fuocherello talmente misero che l'ambiente non riusciva a riscaldarsi come avrebbe dovuto. Ogni tanto il suo segretario entrava per poter ravvivare un po' la fiamma, ma lui lo rimandava al suo posto, minacciandolo di fargli perdere il posto se avesse anche solo osato mettere qualche ciocco in più per aumentare il calore. Così Inuyasha; un ragazzo dagli occhi chiari e che aveva anch'egli i capelli biondo argento, che in quanto a bellezza, nulla aveva da invidiare al suo datore di lavoro, si era avvolto in una pesante giacca rossa, coprendosi con una sciarpa il collo e stringendosi il più che poteva nelle spalle, non riuscendo però a frenare il battito dei suoi denti.

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