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Tra i vantaggi di avere Simone come amico, adesso che tutti i casini con Sbarra sono finalmente finiti, c'è anche il fatto che finalmente Manuel riesce a studiare senza distrarsi ogni letteralmente sette secondi. Non è che a Manuel non piaccia imparare, è sempre stato curioso, è semplicemente che non gli piace imparare dai libri. Lui è uno che ha bisogno del brivido, dei lividi, dell'adrenalina, di sbagliare e ricominciare. Non di righe e righe scritte nere su bianco, come se tutte le cose fossero ovvie e facili.

Forse è per questo che ama così tanto la filosofia, perché è grigia. Non bianca, non nera. Non c'è giusto o sbagliato, c'è solo ricerca: c'è il bisogno di capire senza capirci davvero niente, la delicatezza del pensiero che muta nel tempo, il fascino del passato che si ritrova nel presente ed evolve senza evolvere mai.

Tutto il resto, soprattutto la fisica, è noia. Noia, noia e ancora noia.

Con Simone, però, tutto assume quasi un certo fascino. Stare seduto di fronte a lui, vederlo concentrato sui libri, sentire le sue dita che battono piano sui tasti della calcolatrice. Lanciargli palline di carta per dargli fastidio, che poi gli si incastrano tra i ricci neri e restano lì, intrappolate, finché Manuel non allunga le braccia in avanti e con la punta delle dita non gliele toglie. E' tutta una litania di sei un coglione, Manuel, smettila di darmi fastidio, resta concentrato, come cazzo è possibile che tu non riesca a fare 2+2 senza fare errori, non è tutto come la filosofia che amate te e quel pazzo di mio padre, per favore rileggiti la regola del libro che tra un po' ti lancio fuori dalla finestra. Però, cazzo, quanto è divertente. Ed è inspiegabilmente anche utile, visto che nella prima interrogazione di fisica dell'anno Manuel è riuscito a strappare un bellissimo e onestissimo sette più, che ha fatto esultare Simone dal fondo dell'aula. Che ha regalato a Manuel un altro di quei suoi sorrisi a trentadue denti che ama tanto e che lo fanno sentire come se tutto, finalmente, avesse un senso.

Però, in questo pomeriggio di studio di inizio ottobre, c'è qualcosa di strano, qualcosa che di solito non capita: Simone è distratto. Manuel lo guarda di sottecchi, tra un' equazione e l'altra: i suoi occhi finiscono ogni minuto sullo schermo del cellulare, che poi prontamente afferra, ridacchiando. Manuel vorrebbe sapere che cosa lo faccia ridere così, in un modo un po' imbarazzato e un po' civettuolo, e vorrebbe ridere con lui.

Ha questa continua necessità, da qualche mese a questa parte, di dover fare tutto con Simone. Continua a dirsi che è colpa del fatto che ha temuto davvero di averlo perso, quando se l'è trovato davanti, disteso sull'asfalto, mezzo morto. Ha avuto così paura che, adesso, quando non è davanti a lui è Manuel quello a sentirsi sperduto.

All'ennesimo sghignazzo di Simone, Manuel non ce la fa più.

"Oh" lo chiama, alzando gli occhi dal quaderno a quadretti. "Mi stai distraendo con quelle risatine tutte gnegne. Riesci a stare concentrato pe' cinque minuti, eh?"

Simone, come colto con le mani nel sacco, le alza in aria. Ha le guance appena appena rosse e i capelli incasinati.

"Sì, Manu, giuro che la smetto" si scusa, senza guardarlo in faccia. Poi, come per dar prova del fatto che è serio, prende la penna in mano e per tre minuti e mezzo resta concentrato sull'esercizio di matematica.

Manuel sta per concludere la penultima riga della sua equazione, quando il cellulare di Simone si illumina di nuovo. Simone riesce a non toccarlo per letteralmente sei secondi, dopo di che si arrende a se stesso, lo sblocca e ride di nuovo.

Che cosa ci siamo fattiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora