"... Di Roma Capoccia, di notti e di esami
Non è rimasto più niente
C'hai fregati tutti

Ci hanno fatto male, male, male
Le tue canzoni d'amore
Ma almeno mentre si canta
Non si può mai morire"
Manuel sentì una stretta alla bocca dello stomaco.

"Non morire, Simo."

"... È buffo, pensavo
A questa vita che è cara
Che per averne anche solo metà
La si paga intera

Hai visto il mio cuore
Il mio cuore di cane
Lo riconosci subito
Perché è quello che morde"
Manuel pensava davvero di avere un cuore di cane: un cane randagio, per la precisione - sporco, rabbioso, sempre pronto ad attaccare, abbandonato a se stesso, senza nome. Stupido, stupido cuore.

"... Vedi Antonello
Lei manca pure adesso

E anche se mi uccideva
Io che l'amavo lo stesso"
Il pronome in questo caso era sbagliato, ma il concetto no: quella canzone parlava di Simone.

Gli mancava. Perderlo sarebbe stato come smarrire la sua bussola, il suo riferimento e porto sicuro. Lo amava? Sì, a modo suo lo amava, anche se era troppo orgoglioso e spaventato per ammetterlo persino a se stesso.

"Starà sognando? Mi starà pensando? Mi odierà a morte quando si renderà conto di quello che gli ho fatto."
Quella sensazione non gli dava tregua, aveva il cuore pesante e la testa che gli scoppiava. Si passò le mani fra i capelli ricci, abbandonandosi senza forze sulla sedia, mentre guardava sua madre camminare avanti e indietro per la stanza, troppo agitata per riuscire a stare seduta.

- Mà, per favore, sta' ferma. Me fai venì il mal di testa.

Anita si avvicinò al figlio, gli si sedette accanto e senza dire nulla lo strinse in un abbraccio. In condizioni normali Manuel si sarebbe allontanato e l'avrebbe presa in giro, con quella sua tipica aria spavalda che in realtà nascondeva un animo estremamente fragile: ma quella non era affatto una situazione normale, perciò si lascio cullare, affondando la testa nell'incavo della spalla di Anita.

- Se succede qualcosa a Simone io non me lo perdono Mà, non me lo perdono. Me ammazzo, giuro che stavolta lo faccio pe' davvero.
- Non dirlo neanche per scherzo, Manuel. Dobbiamo avere pazienza. Simone si risveglierà, te lo prometto.
- NON DIRE COSÌ, CAZZO !

Manuel si alzò di scatto dalla sedia, facendo sobbalzare Anita.

- Voi adulti avete sempre questa mania de fa' promesse che poi non riuscite a mantenere. Non puoi sapere che si risveglierà, quindi non dirlo, cazzo !

Anita guardò il figlio: il suo sguardo era disperato, le mani gli tremavano e la voce era sul punto di spezzarsi. Non l'aveva mai visto così sconvolto.

- Manuel, calmati. Non puoi fare così ! Tra poco Dante avrà finito di parlare con i medici e ci dirà tutto.
- NO CHE NON ME CALMO !

Manuel sembrava su tutte le furie.

- Simone rischia de morì ed è solo colpa mia. Sbarra e Zucca volevano punire me, Simone non c'entrava nulla. Lui è entrato in 'sto giro demmerda solo per stamme vicino, per non permettermi de fa' cazzate. Ma alla fine la cazzata l'ho fatta lo stesso, e ci è andato di mezzo lui. Dovevo starci io al suo posto, attaccato come un vegetale a quelle macchine del cazzo !
- Smettila di dire così. Non è colpa tua, Manuel !

Ma Manuel non voleva sentire ragioni. Non riusciva a stare fermo, ogni centimetro del suo corpo era in tensione: calmarlo era semplicemente impossibile. In quel momento, la porta dello studio del neurochirurgo si aprì. Manuel corse incontro a Dante, aggrappandosi alla sua camicia.

- ALLORA?? Come sta Simone?? Quando si sveglia??

Dante lanciò uno sguardo triste e colmo di apprensione ad Anita, poi si rivolse a Manuel.

- Simone ora ha bisogno di tempo, Manuel. Il coma farmacologico è necessario dopo quello che è successo. Il suo corpo ha subìto un fortissimo stress. Dobbiamo avere pazienza e aspettare: tutto dipende da come reagirà alle cure nelle prossime 48 ore.

Dante fece una breve pausa prima di ricominciare, accompagnata da un lungo sospiro.

- Tu e tua mamma ora dovreste andare a casa, non serve rimanere qui. È ancora troppo presto per sapere se si risveglierà.

Quel "se" era pieno di tutto l'amore e la paura che può provare un padre che rischia di perdere un figlio, di nuovo. In quell'istante si pentì di non aver mai creduto in Dio: almeno avrebbe avuto qualcuno da pregare.

- È inutile che insiste, Prof: io a casa non ci torno. Non me ne vado, a costo de dormì pe' terra. Voglio esserci quando Simone riaprirà gli occhi, glielo devo.

Anita cercò di intercettare l'espressione di Dante, per fargli cenno di non aggiungere altro: nulla avrebbe potuto far cambiare idea a suo figlio, lo conosceva fin troppo bene. Dante capì e non disse una parola: era distrutto, anche lui divorato dai sensi di colpa. Le ultime parole che si erano scambiati prima dell'incidente erano state parole di rabbia: avevano litigato, per l'ennesima volta. L'idea che avrebbe potuto essere l'ultima lo tormentava: quel dolore sordo e indescrivibile che aveva vissuto quando Jacopo era stato male, tanti anni prima, ora tornava di nuovo a farsi strada nel suo petto. Si sedette vicino ad Anita, la testa poggiata sulla sua spalla, mentre Manuel si accasciava a terra, la testa tra le mani.

"Non fare il coglione, Simo. Non osare fare scherzi, non questa volta. Torna da me."

Sarebbero state le 48 ore più lunghe di sempre.

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