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20.10.2020

Non so perchè ci ho creduto, sono stata stupida, sono un'idiota, una cretina, una credulona, una bambina ingenua che pensa che le cose si aggiustino con la sola forza di volontà.

Mi odio, detesto me stessa e quanto sia facile ingannarmi.

La non-realtà mi ha presa di nuovo per il culo.

[...]

Il diciassette di ottobre mi sono svegliata e tutto era reale.

I muri, gli oggetti, le macchine che passavano fuori erano reali.

Le persone che ho incontrato e gli animali erano veri e vivi ed erano presenti davanti ai miei occhi e quando sono uscita dalla mia stanza ed ho incontrato mia madre, seduta al tavolo della cucina che beveva il caffè, mi ci è voluto quasi un momento per ricordarmi di tutto il disagio e la paura che avevo provato fino a quel momento, mi ci è voluto un momento per rendermi conto che era finita e che potevo respirare.

Ero finalmente tornata a casa, il poster sulla parete era un semplice poster, dietro di esso nulla si muoveva, fremendo di consumare la mia carne, dietro di esso c'era solo il muro della mia stanza, e come tutti gli altri muri della casa, del condominio, come il marciapiede, le strade in asfalto e i pavimenti, erano lì ed erano veri ed io potevo camminarci sopra senza avere paura di cadere attraverso le texture e rimanere bloccata all'infinito nel vuoto.

Ero libera. Mi sentivo bene.

[REDACTED] mi è venuta in contro e mi ha abbracciata in cortile, subito fuori scuola, mentre mi stringeva mi ha detto che era contenta che fossi tornata.

Mi sono riseduta al mio banco, tutti mi guardavano, chi incuriosito, chi con sguardo pregno di compassione, gran parte della mia classe pensava fossi gravemente malata e per un momento, mi sono sentita in colpa a non riuscire a spiegare cosa realmente mi fosse successo e, a malincuore, ho dato corda alla storia della malattia.

Stava andando tutto bene.

Stava andando tutto bene.

Stava andando tutto bene finchè non ho visto la linea di demarcazione dello skybox.

Il mio stomaco si è contratto su se stesso. Ne ho svuotato il contenuto sul marciapiede ormai piatto.

Non ero fuori, non ero nel mio quartiere, ero in un jpeg.

Le cose attorno a me sparivano non appena distogliessi lo sguardo, le texture sparivano lasciando poligoni neri dove altrimenti sarebbero stati edifici, lampioni, cassette della posta.

Le persone mi guardavano, finchè non ho preso coscienza del fatto che non ci fossero persone attorno a me, nessuna delle figure immobili ad osservarmi era una persona, nessuno di loro aveva un volto, il loro corpo mutava diventando spigoloso, le ombre sparivano per poi riapparire e i loro corpi glitchavano e si spostavano senza muoversi.

[...]

Non so quanto abbia corso.

Non so in che direzione abbia corso.

Sono arrivata a casa.

No, sono arrivata a "casa".

Ci sono arrivata solo perchè chiunque abbia programmato questo inferno ha deciso che io dovessi tornare nella mia tomba.

Si è preso gioco di me ancora una volta ed io gliel'ho lasciato fare, mi sono ingannata da sola.

[...]

Prima di rientrare ho scattato una foto.

Prima di rientrare ho scattato una foto

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Il diario di Lavinia FerriWhere stories live. Discover now