Picolit

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Sono le otto passate di venerdì sera e io sono ancora alla scrivania dopo quella riunione infinita che per me è pure finita male. Ho davvero bisogno di rilassarmi. Prendo il cappotto e mi infilo in ascensore insieme a un paio di colleghi che come me sono stati torturati dal capo filiale fino a poco fa. Scendono al piano terra, mi salutano, hanno sicuramente organizzato la serata in centro. Io proseguo fino al seminterrato per recuperare la macchina, non ho voglia di cacciarmi in qualche locale caotico a bere e cazzeggiare, sono troppo stanco.
Non faccio in tempo a salire in auto che il cellulare squilla. Chiara.
Cosa vuole adesso? Dovevamo uscire insieme stasera? Non mi sembra.

- Sono ancora in ufficio, perché?
- No, sono stanco, facciamo domani.
- Smettila di urlare, non ho voglia di venire da te, ancora meno ora.
- Non fare l’isterica, ci frequentiamo da appena un mese, quando hai deciso che devo obbedire ai tuoi ordini senza fiatare?
- Come no, lo stai facendo ora.
- Fa quello che vuoi Chiara, non me ne frega niente.
- Fanculo…

Ha riattaccato, non ha sentito l’ultima parola. Peccato. Per lo meno mi sono liberato di lei senza troppe noie, ci ha pensato da sola.
E fanculo anche la macchina, non mi va più di tornare a casa. Mollo l’auto al parcheggio ed esco a piedi. Novembre inoltrato si fa sentire e tiro su il bavero del cappotto per proteggermi da questa bava d’aria che si insinua fra il collo e la camicia. Milano è in fermento come sempre, sono due anni che lavoro qui ma non mi sono ancora abituato alla frenesia di questa metropoli. Cammino a caso cercando di evitare la gente che mi sfiora ma non mi vede. Non so nemmeno dove sto andando. Passo davanti a un wine bar, non è eccessivamente affollato. Potrei infilarmi là dentro, magari riesco a calmarmi.
Mi siedo a un tavolo appoggiato al muro, in disparte, giusto per evitare ogni contatto umano. La litigata con Chiara mi ha infastidito in maniera inspiegabile. Non è che ci tenessi così tanto a lei. Bella sì, e a volte simpatica, più spesso rompi palle, ma le mancava il sale, quel qualcosa in più che rende incredibile ogni sguardo, ogni contatto, che dà sapore ai momenti, che ti fa venir voglia di rivederla ancora. Era solo una storia come tante, di quelle che ti lasciano poco più di niente.
Ordino un prosecco e mentre aspetto, mi guardo intorno senza cercare qualcosa in particolare. Passo in rassegna i volti di ogni persona, ci leggo stanchezza, euforia, desiderio di evadere… e poi la vedo.
Tiene lo stelo del calice fra il medio e l’anulare. Con un movimento ondulatorio della mano fa oscillare il liquido ambrato lentamente, sembra ne stia controllando la consistenza. Lo osserva in religiosa adorazione, come se la sua mente stesse pregustando il sapore di quel nettare, di quella linfa pregiata che le potrebbe dare potere assoluto.
Rimango incantato a guardare il bicchiere, a seguire il moto di quel vino liquoroso che lascia un segno impercettibile sul cristallo finissimo e prezioso. Sensuale. Solo questo riesco a pensare da quando ho posato lo sguardo sulla sua bocca rossa che implora di essere dissetata.
Avvicina il calice al viso, ne annusa il contenuto e il suo sguardo estatico dà il colpo di grazia alla mia razionalità. Sta giocando. Si è accorta dei miei occhi invadenti. E sa che quello che sta bevendo è qualcosa di particolare, di speciale, come lei.
La vista si annebbia come se fossi ubriaco, forse è la fame, o la stanchezza. È una serata strana questa, una sera in cui mi sento inerme, vulnerabile. La luce soffusa confonde le immagini, vedo solo la sua pelle bianca in netto contrasto con il vestito nero e i suoi capelli corvini. Provo di nuovo a concentrarmi e mi colpiscono violente, di nuovo, le sue labbra rosse, unica sfumatura forte in una penombra di colori spenti.
Appoggia le labbra al bicchiere. Il vino supera il rossetto ed entra. Mi sembra quasi di sentirlo appoggiarsi sulla sua lingua, stuzzicarla con il suo grado alcolico, scivolare giù in gola lentamente, provocarle quel piacere che aspettava. Appagarla completamente. Chiude gli occhi, vedo il suo petto alzarsi in un respiro profondo, sta davvero provando quello che io posso solo immaginare.
Ne beve un sorso, solo un piccolo sorso, poi appoggia il calice. E io mi alzo in piedi, completamente in suo potere, stregato da quella pozione magica fatta di rosso, cristallo e ambra.
Mi avvicino come attirato dalla sua calamita, resto in piedi alle sue spalle e le sussurro all’orecchio: «Posso chiederti di che vino si tratta? Ho un’idea ma vorrei la conferma».
«Picolit», risponde lei senza girarsi, «solo lui riesce a darmi le emozioni forti che cerco in queste notti sterili. Più prorompente di un orgasmo».
E a questo punto si volta verso di me, puntando i suoi occhi scuri verso i miei. Cosa pensava di trovarci? Non ne ho idea, ma quando la vedo riprendere il calice in mano e porgermelo, capisco che ha trovato quello che cercava.
«Vuoi favorire?», mi chiede senza distogliere lo sguardo. Afferro il calice e bevo. Poso le labbra sopra il segno del suo rossetto, la fisso anche mentre assaporo il gusto intenso di questo vino che tanto amo.
«Orgasmo. Non ti sembra di aver esagerato?», dico piano, staccandomi dal bicchiere.
Tutto di lei mi ha spiazzato stasera, e la risposta che ricevo, mi spiazza di più.
«No, non credo di aver esagerato. Ma se ti va, un giorno, potresti farmi cambiare idea».
Sorrido, e francamente non so cosa risponderle. Le rispondo da maschio o da uomo? Cosa si aspetta? Cosa non vuole?
«Quando vuoi», la butto lì e poi taccio.

Non immaginavo che quando vuoi sarebbe arrivato così presto. Mi sveglia una mano che mi accarezza lievemente i capelli. Lei sorride, un sorriso dolce che non ti aspetti.
L’ho seguita a casa sua ieri sera, non mi andava in realtà, non volevo una scopata fredda e potente come si prospettava, avevo più voglia di coccole dopo una giornata passata fra rimproveri e urla isteriche di pseudo fidanzate. Lei certamente non era quello che cercavo. E invece è riuscita a destabilizzarmi di nuovo.
È stata dolce, sensuale, delicata. Ha assecondato i miei desideri, placato le mie voglie, ha lasciato che le mie mani la esplorassero ovunque, che i miei baci e la mia lingua la eccitassero fino a urlare il mio nome, e ha goduto, tanto, più di quello che mi aspettavo. Sono stato appagato dalla sua voglia mai sazia di me e l’ho fatta mia come se fosse l’ultimo incontro, l’ultima possibilità di stare insieme.
Si è accorta che sono sveglio e mi raggiunge sotto le lenzuola, mi abbraccia forte in vita e stringe il suo corpo addosso al mio facendosi sempre più piccola. Non sembra la ragazza audace che mi ha fatto bere dal suo calice ieri sera, è diversa e francamente questa versione mi piace molto: è il mix perfetto fra la pantera che mi aspettavo e il gattino che cercavo. Mi illudo di poterla rivedere, di potermi svegliare ancora con le sue mani fra i capelli e il suo sorriso che mi coccola.
Posa le labbra sulla mia pelle e serra la presa.
«Abbracciami, Paolo».
La guardo, incuriosito dalla sua richiesta e contemporaneamente eseguo l’ordine.
«Lo so, è una cosa stupida, ma voglio che mi abbracci, voglio riuscire a credere, almeno per qualche istante, che non sia stato solo sesso».
Chi sei piccola Gaia? Le tue contraddizioni mi confondono e mi fanno impazzire.
La abbraccio più forte e mi travolge una consapevolezza: lei è il sale, è il sapore forte che mi mancava, lei è il mio santo graal. E le rispondo a cuore aperto: «Non è stato solo sesso Gaia, assolutamente no».

EDS8 LOVE'n'WINEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora