Capitolo III

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Capitolo III

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         Non è dei morti che devi avere paura, Joshua.

   Non è un concetto sbagliato, quello espresso dalla signora Soria, ma è di certo più facile a dirsi che a farsi. La morte, quella fisica, rimane qualcosa di troppo distante, astratto e Joshua, dentro di sé, desidera che rimanga tale il più possibile. Per se stesso, per i suoi cari e, di certo, il discorso si estende anche alle sue visioni. Non sono umane, non sono normali; sono ignote e estranee. C'è sempre stato un muro tra lui e quelle anime vaganti, come se nessuna di loro volesse effettivamente nulla da lui. Come se, in qualche modo, lui potesse vederli, ma la cosa non fosse reciproca. Forse è anche questo a spaventarlo così tanto: il fatto di scendere a patti con la consapevolezza che nulla è reale e che sono solo proiezioni nella sua testa. Irrisolti psicologici che dovrebbe affrontare; una lotta che combatte da anni tra sedute psicologiche e lunghe riflessioni personali che, alla fine, l'hanno portato all'isolamento. Così ha iniziato a chiudersi nel suo mondo; così da evitare agli altri il peso della propria presenza nelle loro vite, perché ci sono momenti in cui Joshua c'è, ma altri – la maggior parte – in cui è altrove, intrappolato nelle cariche nervose del suo cervello. Intrappolato tra le mura della sua unica amica: la solitudine.

   La signora Soria, però, è riuscita in minima parte, con quella chiacchierata, ad allargare i suoi orizzonti. Ci sono state delle speranze, nelle sue parole, che fino ad ora Joshua non ha nemmeno mai contemplato. Forse le ha solo accantonate, o accumulate sotto al peso delle sue paure, per nulla in grado di gestirle. L'idea di non sentirsi solo lo ha tranquillizzato, sebbene è perfettamente cosciente del fatto che quella quiete durerà ben poco. 

Il tempo di abituarsi anche a questa novità.

   Si sono dati appuntamento tra qualche giorno e Maria gli ha consigliato di tenere un diario dei propri ricordi sulle visioni, con un occhio di riguardo a quelle più antiche, appartenenti ad un passato più lontano. Ogni apparizione avvenuta nel corso del tempo è preziosa per delineare un percorso che lo proietterà verso un futuro diverso, più consapevole – o almeno così gli ha detto, per quanto Joshua non ha alcuna stima in se stesso e nelle sue capacità di riuscire in quell'intento, ha deciso di prendere in considerazione quel consiglio. Anche la sua psicologa gli ha detto di fare lo stesso, tempo prima, ma la sua diffidenza e il suo continuo attribuire quei fatti a una proiezione inconscia, lo hanno fatto desistere dal farlo. Si rende conto solo in quel momento di quanto la sua esperienza sia tutt'altro che attribuibile alla psicologia. Non sa ancora cos'è – perché la parola paranormale è quasi ridicola – ma almeno cominciava a prendere forma, nella sua testa.

   Torna indietro nel tempo, quella stessa sera dopo il suo incontro con Maria, arginando la paura di parlarne con la nonna quando è lei stessa a chiedergli com'era andata. Ha risposto che, dopotutto, è stata un'esperienza diversa e anche se non porterà a nulla di buono, gli ha smosso qualcosa. Poi le ha chiesto se può aiutarlo a ricordare qualche episodio di quando era bambino e lei, un po' spiazzata, ha fatto mente locale. Sono poi uscite fuori esperienze che Joshua aveva completamente rimosso dalla propria memoria.

   «Eravamo convinti fossi pieno zeppo di amici immaginari. Magari alcuni lo erano davvero.»

   «Che cosa facevo? Parlavo da solo?»

   Agnes si posa una mano sul mento, pensierosa, poi inclina la testa di lato, persa nei ricordi. Un ciuffo di capelli bianchi le cade elegantemente su una spalla. «A volte. C'era questo tuo amico, quando avevi circa sei anni, che si chiamava George. Dicevi che aveva combattuto in Vietnam e che aveva un buco nella testa. Fu inquietante quando ce lo raccontasti. Il nonno ti chiese dove avessi sentito una cosa del genere e se stessi parlando di un film, ma tu hai solo risposto che parlavi di George. Che era tuo amico e che gli volevi bene perché ti ascoltava, a differenza sua. Lui ci rimase male, tu te ne accorgesti. Da quel momento non ne hai più parlato.» L'idea che nonno Sam, defunto da anni, sia rimasto traumatizzato dai suoi comportamenti inquietanti di quando era solo un bambino, lo destabilizza per un attimo. Durante la crescita, quando ha iniziato a capire quanto quegli episodi non fossero la normalità per il resto del mondo, si è preso la briga di parlarne il meno possibile, per quanto ne sentisse e ne senta ancora sempre una morbosa necessità. Ha un vago ricordo dell'approccio tra lui e i morti, ma per quanto siano solo immagini frammentate e sfocate, ora ricorda che con questi, in effetti, ci ha parlato, ha condiviso storie e esperienze così dettagliate che, alcune volte, si ritrova a conoscere luoghi e situazioni che non ha mai vissuto in prima persona. Come la guerra in Vietnam di George, la caduta del Muro di Berlino sciorinata con rabbia da un uomo vestito in divisa, o la morte di Papa Giovanni Paolo I, raccontata da un prete che ha visto spesso a scuola. O Billy, il bambino che gli aveva raccontato di aver vissuto in un pozzo e di non aver più trovato la strada di casa. Nessuno di loro gli ha chiesto di essere salvato. Hanno solo condiviso con lui frammenti importanti della loro vita, indimenticabili, tra cui momenti storici che Joshua ha letto in età più adulta sui giornali o suoi libri di scuola, stupendosi di conoscerli già, anche se solo vagamente.

Non Chiedermi dei Morti - Volume 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora