Giropizza

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Il locale Giropizza era gremito come nelle migliori prospettive in un sabato sera di ottobre. Aria condizionata, tavoli di legno con divisori a staccionata in stile americano che contenevano a stenti le comitive con bambini e donne incinte. I camerieri si muovevano sapienti e sorridenti come automi tra quelle tribù di impiegati, casalinghe, elettricisti e venditori di contratti telefonici. Avevano ricevuto un addestramento degno di un incursore della Marina, portando a più mandate taglieri fumanti di pizza e tubi di birra gialla e schiumosa, che venivano svuotati alla velocità della luce dai papà ingellati con il colletto della polo sollevato, mentre le loro gravide ed esauste mogli cercavano inutilmente di imboccare i più piccoli.
Quel Giropizza era il paradiso delle famiglie, unico posto in cui le comitive di neogenitori, passati i trenta e migrate in provincia con l'arrivo di prole e mutui, riuscivano ancora a incontrarsi, approfittando della fantastica area bimbi con i giochi, il castello ed una gigantesca e scintillante vasca di palline di plastica in cui veder spofondare tutti sudati e felici i loro eredi.
Tutti i genitori e i bambini sapevano dell'esistenza di quella vasca, orgoglio e attrattiva principale del locale. Tutti i genitori sapevano che prima o poi, se volevano guadagnarsi la serata, avrebbero dovuto fare la loro parte nel gruppo e fare a turno da supervisori ai piccoli che bramavano di entrarci. Avrebbero dovuto con nonchalance lasciare le chiacchiere e la birra e seguire la comitiva dei piccoli che con le mani piene di pizza e i pancino gonfio di coca zero, avrebbero corso urlando facendo la spola tra tavolo e stanza dei giochi.

Ogni tanto qualche amico o amica della comitiva, magari sposato da poco e senza figli veniva ingannato dal resto della tribù di genitori ed eletto al ruolo di "zio/a preferito" per potergli consegnare l'onere della vigilanza sui figli con la scusa de "Così fai esperienza". Due fidanzati della comitiva che tatticamente aveva scelto il tavolone vicino ai bagni (per poter così correre prima ai fasciatoi e battere le altre mamma sul tempo), a inizio serata si guardavano sorridenti e fiduciosi; avrebbero badato insieme ai pargoli, facendo a turno. Sarebbero stati compatti, uniti, non si sarebbero lasciati dividere. Non sarebbero diventati come tutti gli altri.

Ma dopo poco, la vera natura gerarchica della tribù delle famiglie si manifestava nella sua radice patriarcale, conformando nel comportamento i due poveri illusi; il fidanzato finiva inevitabilmente a bere birra scadente nel lato del tavolo e dei papà, mentre la fidanzata, cercando di restituire i pargoli alle madri, trovava un muro di sorrisi passivo-aggressivi, che con la scusa di neonati da imboccare, ignoravano la richiesta di soccorso della poveretta e si mostravano ridendo le foto sul cellulare di spogliarellisti muscolosi e mandavano selfie nella loro chat di gruppo "Super mamme 1B". Così la poverina, con un anticipazione del destino che le sarebbe toccato dì lì a breve, si dirigeva verso la piscina di palline e con lo sguardo smarrito cercava di non perdere d'occhio la prole strafatta di zucchero dei suoi amici.

Nella zona vicino al bar, tra la sfilza di seggiolini ikea sporchi di pappa e lievemente olezzanti di salviette per neonati, un tavolo da due appiccicato alla vetrata, era l'unico tavolo libero in tutto il locale. Fino a che un cameriere ansioso e sorridente, non ci guidò un giovane papà accompagnato da suo figlio, un bambino di circa otto anni che lo seguiva con passo ondeggiante e timido, come un cagnolino a disagio in mezzo ad una piazza affollata.
Il papà aveva i capelli lunghi castani, una camicia a quadri, un giaccone di pelle marrone e una barbetta rada che gli copriva il mento a chiazze. Non aveva ancora quarant'anni, età nella media dei giovani papà presenti nel locale. Ma tra quell'uomo con la faccia giovanile, tradita solo da profonde occhiaie da hangover, e la schiera di papà con la sfumatura alta e avvolti in nuvole di dopobarba, correvano anni luce di differenza.
Il figlio era basso e paffuto, i capelli erano castani e leggermente ricci come quelli del papà, e come quelli del papà, avrebbero avuto bisogno di uno shampoo. Il suo giacchettino di poliestere rosso lo fasciava troppo e le maniche cominciavano a stargli corte. Arrivato alla sua sedia, il bimbo si tolse lo zainetto, ma visto che il cameriere li aveva piazzati proprio sotto il condizionatore, si lasciò il giacchino.
Il giovane papà si sedette spavaldo nella sedia di fronte a lui e appena il cameriere gli consegnò il menù, ci tenne a mettere subito in chiaro che non aveva voglia di aspettare e che voleva subito un tubo di birra per lui, un tubo di aranciata per suo figlio e due pizze formato gigante. Il bambino stava rintanato dietro il foglio del menù guardando in basso, cercando di nascondere al papà il rossore che irrorava le sue guanciotte morbide. Il papà era impacciato ed entusiasta, cercava continuamente l'attenzione e l'approvazione di suo figlio, facendogli notare quanto fosse bello che finalmente stavano passando una serata insieme. Il bimbo sorrideva impacciato e guardava il papà con occhioni da cucciolo.

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