Capitolo III

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"Ecco, io v'ho dato la potestà di calcar serpenti e scorpioni, e tutta la potenza del nemico, e nulla potrà farvi del male."
Al termine dell'omelia, il parroco con un cenno si rivolse verso le due vedove del Gimondi e del Terzini affinché parlassero o quantomeno, interrotte dal loro straziante pianto solo per asciugarsi gli occhi con un fazzoletto di carta, riuscissero a trasmettere tutto il loro dolore ai presenti.
Seduto in terza fila, il sottotenente Silvio De Fiori provò più volte a spostare lo sguardo verso tutto l'interno della chiesa, in cerca della presenza, data solo ufficiosamente dai più, dell'unico scampato alla strage, l'appuntato Amadeo Coletti. L'unico dei tre che il De Fiori non conosceva, avendo egli svolto servizio per quasi tre anni ad Empoli prima di essere trasferito a Bologna, essere diventato ufficiale, e quindi essere ritornato ad Empoli solo da un paio di mesi. Avrebbe voluto fare al Coletti delle domande preliminari già lì, al termine del funerale, essendo stato incaricato dal Comando regionale toscano dell'Arma delle indagini sull'eccidio e di mettere fine alla latitanza del Geometra. Capì però che questa sua boria frenetica, peraltro comune ai piani alti dell'Arma, avrebbe stonato con il clima di rispetto che i suoi due colleghi, e le loro famiglie, avrebbero meritato in quel momento, e pertanto desistette. Sì fissò però, per qualche minuto, ad osservare la vedova del brigadiere Terzini, con un bimbo di sette anni al suo fianco e un altro in grembo, ultimo tenero regalo del marito, scoperto beffardamente solo il giorno dopo la sua dipartita. Vedendo quella donna, il sottotenente De Fiori pensò a sua moglie, anch'ella incinta, ma di sette mesi, del suo primogenito, e di come avrebbe reagito lei, la sua Sara, se fosse stata al posto della vedova Terzini.

Una mano per richiamare la sua attenzione, proveniente dalla fila addietro, si poggiò sulle spalle del De Fiori e un uomo, in tenuta ufficiale di cerimonia dell'Arma dei Carabinieri gli cominciò a sussurrare qualcosa.
"Quei bastardi la pagheranno, fosse anche l'ultima cosa che ci tocca fare."
Il De Fiori si voltò sommessamente per scrutare l'uomo e capire fosse un superiore in cerca di ragguagli sul caso, un ufficiale in preda ad un principio di isterico nervosismo, o anche solo un collega venuto a sfogarsi pronto a tracimare parole d'odio per i responsabili del vile atto. Notando lo scandagliare visivo del De Fiori, l'uomo continuò con il suo vociare pacato: "Vengo dal Comando Centrale di Firenze. Mi è stato dato l'incarico di seguirla, supervisionarla e facilitare nella richiesta di mezzi, uomini e quant'altro le possa servire per riportare quella bestia criminale nell'unico posto in cui uno così meriti veramente di stare. Sottotenente Silvio De Fiori, da domani lavoreremo insieme". L'uomo si presentò poi: era il tenente colonnello del Comando di Firenze, Enrico Barbarossa.
Il Barbarossa chiese quali fossero le due vedove e, non appena terminata la cerimonia, si recò da loro per porgere le condoglianze ufficiali dall'Arma dei Carabinieri, le ultime di una sequela di condoglianze ufficiali che le due povere donne avevano ricevuto in quei giorni. Essendo le stesse impegnate con il tenente colonnello, il De Fiori si recò invece, dopo averlo scovato tutto solo in un angolo a piangere, dal Maresciallo Nacchieri, da pochi giorni in pensione e alla cui festa proprio quell'infame giorno i due caduti si sarebbero dovuti recare dopo quel normale controllo di routine. Il maresciallo Naccheri, che per De Fiori era stato come un padre durante i suoi primi giorni di servizio ad Empoli, fu avvolto da un caloroso abbraccio. Pur inizialmente incapricciato dal porgergli anche solo qualche banale e vaga domanda, il De Fiori preferì rimanere in un commosso silenzio ad ascoltare, ancora come una volta, le parole sagge del suo vecchio mentore: "Non se lo meritavano Silvio, non se lo meritavano!"

Il giorno dopo, seduto alla sua scrivania, e con quella del tenente colonnello Barbarossa a contatto, poco più avanti, De Fiori, dopo aver osservato per una mezz'ora buona tutto l'archivio fotografico messo a disposizione dal reparto di indagini politiche dell'Arma, colse dal mazzo una foto e, porgendola al suo collega, iniziò ad esternare le sue impressioni, le prime che confidava a qualcuno dall'assegnazione dell'incarico, quarantotto ore prima.
"Piero Melmini, detto Piero il Tecnico. Ha svolto il servizio di leva presso il nucleo guastatori di Trieste. Sappiamo che conosce il Facchino e, con tutta certezza, anche il Geometra. Ci sono diverse testimonianze che lo confermano. Capisci? E' Piero il Tecnico il nostro trade union tra le bombe ai treni e il Geometra. E' lui che sicuramente avrà costruito le bombe"
Barbarossa – "La bomba che ha parzialmente distrutto il binario nei pressi di Arezzo è però diversa da quella del Grande Attentato dell'Agosto scorso. Possiamo al più ritenere Piero il Tecnico e il Facchino responsabili di Arezzo, ma non sicuramente di quest'ultimo."
De Fiori – "Ma questo non vuol dir nulla. Magari hanno cambiato fornitori o disponibilità di mezzi. Magari l'hanno progettato con uno scopo diverso, non fare morti ma solo lanciare un segnale a chi di dovere."
De Fiori – "Potrebbe esserci utile interrogare il Facchino."
Barbarossa – "Il Facchino è sotto torchio ad Arezzo. Del Grande Attentato invece se ne sta occupando il procuratore Della Vite. Posso provare a smuovere un po' le acque, chiedere ...... Però ricordati che siamo incaricati di scovare il Geometra, non di indagare su possibili suoi coinvolgimenti in attività terroristiche."
De Fiori – "Ma non capisci? Se troviamo Piero il Tecnico, e capiamo quali relazioni intercorrono tra lui, il Geometra e le bombe, scovare quel porco sarà più facile."
Barbarossa – "Piero il Tecnico è ancora un uomo libero e incensurato fino a prova contraria. Sai come sono fatti i magistrati, e buona fortuna ad ottenere un mandato d'arresto se il Facchino non parla."
De Fiori – "Per fare pressioni ci stai tu, no?"
Barbarossa – "Eh .... ci sto io, ci sto io ....." ridendo "tu però evita di fare cazzate. Sei giovane e mi piace il tuo modo di lavorare. Ma se pesti i piedi, se commetti errori, se commetti imprudenze, se caghi nel vaso di qualcun altro e metti le mani nella sua torta, nella torta in cui qualcun altro sta indagando .... Beh, è un mondo di lupi e quei lupi ti mangeranno"

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