Capitolo II

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La guardia giurata aprì il cancello d'ingresso di Villa Arcangelo. Erano le ore 2 di notte, e a quell'ora la villa era chiusa al pubblico. Solo qualche decina di pazienti ricoverati per le più disparate malattie, qualche infermiere per il turno notturno, e il professor Graziani, viceprimario giunto in fretta e furia nel bel mezzo della notte.
Il Geometra parcheggiò la sua auto nello spiazzale e, attese le indicazioni della guardia giurata istruita dal Graziani stesso, si recò verso lo studiolo del professore. Egli, inquieto, ticchettando i pollici sulla scrivania, lo attendeva nella penombra del suo ufficio al primo piano, senza nemmeno una luce accesa.
"E' successo un casino. E' saltato tutto. Quelli sapevano, sapevano, avrebbero scoperto prima o poi ....".
Il professor Graziani, all'oscuro dei dettagli più sanguinosi e informato solo che qualcosa era successo e serviva aiuto immediato al Geometra, volle sentire tutto il racconto, più preoccupato per la sua reputazione e fedina penale che immerso nei quesiti su come aiutare l'amico. "Potresti stare qua. In ospedale. Un paio di giorni. Ti ricoveriamo sotto nome falso e intanto attendiamo istruzioni. Chiami chi devi chiamare e preghi Nostro Signore che siano così benevoli come hanno sempre lasciato intendere, perché se tu vieni acchiappato è un casino. Un casino per tutti."
Il Geometra, riluttante, accettò la proposta del professore di farsi ricoverare sotto mentite spoglie per qualche giorno. 

Già la mattina appresso, appena svegliatosi, il Geometra lasciò la stanza 168 del reparto di Gastroenterologia, dov'era ricoverato, per scendere nella sala d'aspetto al primo piano, l'unica dov'era disponibile un telefono pubblico. Dalla sua agendina rintracciò il numero appaiato alla voce "senatore" e lo compose. Ma a rispondergli fu una delle tante segretarie del "senatore" che, senza troppo domandarsi su chi fosse l'interlocutore, lo informò che quel giorno il Senatore era a Napoli e sarebbe tornato a Firenze solo dopo il weekend.
Amareggiato, il Geometra compose poi il numero di casa dell'amico Giuffé, questa volta ricevendo finalmente risposta e aiuto. Il Geometra intimò senza troppi giri di parole che si organizzasse al più presto una riunione sui monti sopra Prato, dove il gruppo era solito incontrarsi, e che questa volta sarebbe stato meglio ci si fosse presentato anche il Colonnello. Riagganciata la cornetta, il Geometra prese un caffè al bar della clinica e comprò un giornale, con la speranza di leggere più informazioni sul massacro dei tre carabinieri della sera prima. Ma nulla. Nessuna notizia. Neppure alle ultime pagine, quelle della cronaca locale. E sì che un massacro del genere avrebbe dovuto far notizia, anche in un clima come quello, dove un morto ammazzato ogni tanto stava diventando quasi all'ordine del giorno. No, per non aver riportato il giornale una notizia così grave, questa doveva essere uscita troppo tardi, si convinse il Geometra. Sicuramente però se ne sarebbe parlato il giorno appresso.
Salì quindi di nuovo al primo piano ma, mentre camminava sul corridoio, da una radiolina accesa sul giornale radio, all'altezza di un paio di camere dalla sua, poté udire chiaramente la notizia di un terribile agguato nei pressi di Empoli che aveva coinvolto tre carabinieri, uccidendone due e salvando solo per miracolo il più giovane, l'appuntato. Secondo gli inquirenti, proseguiva poi la notizia, l'autore del terribile gesto sarebbe stato un innocuo geometra del Comune, incensurato e insospettabile. Ancora ignare erano le motivazioni dell'eccidio. Raggiunto da un freddo senso di tallonamento, il Geometra si rinchiuse nella sua stanza, disteso nel letto e sotto le coperte.

Due giorni più tardi, trascorsi quasi esclusivamente turato in quelle quattro mura d'ospedale e alzandosi solo per andare in bagno o strizzare gli occhi verso il parcheggio della clinica nell'attesa paurosa dell'arrivo di una camionetta dei carabinieri, l'amico Giuffé andò a fargli visita. Dopo due giorni era il tempo di lasciare quel primo posto di improvvisata latitanza.
"La situazione s'è calmata. Non ci sono tanti posti di blocco. Poi le guardie c'hanno pure da che pensare ad altro. Mica ci siamo solo noi a far casino ......"
Geometra – "E gli altri?"
Giuffé – "L'Etrusco è in salvo. C'hanno pensato gli Amici. Dicono che già sta a Milano"
Geometra – "E il Facchino?"
Giuffé – "Lui no, ..... L'hanno preso. Lo tenevano sotto controllo già da tempo. E' per colpa sua che sono arrivati a te. E poi, dopo il casino che hai combinato ...... se l'hanno portato via subito" Geometra – "Tranquillo lui è uno che non parla. Sa quando tenere la bocca a posto, e parlare solo quando e con chi deve parlare." 

Il tempo di rivestirsi e di un ultimo saluto telefonico alla moglie Anna, chiedendogli di prendersi cura ora lei, sola, del neonato e l'auto con Giuffé e il Geometra lasciò la clinica Villa Arcangelo. Dopo una lunga traversata durata più di tre ore tra le campagne fiorentine, per evitare strade principali e conseguenti posti di blocco, i due giunsero ad un casolare abbandonato nei pressi di Prato. Non era la prima volta che il Geometra vi ci accedeva. Ora che la scintilla della sua doppia pericolosa vita era esplosa, gli pareva di rivivere come stesse avvenendo ancora, quella prima volta che proprio lì incontrò i suoi compagni d'arme clandestini, quella prima volta che, parlando, incantò tutti, anche gli arditi più anziani, o quella volta che, nominato idealmente da tutti come capò, fondò il Movimento Rivoluzionario. Una quindicina di impavidi nostalgici, inebriati dall'ideologia, offuscati dall'odio. Giuffé lo aiutò a portar dentro le due valigie, aprì la porta e spazzò via un po' di polvere. Era da quasi cinque mesi che il gruppo non utilizzava più quel casolare per le proprie riunioni clandestine. Da dopo il Grande Attentato. Era stato lo stesso Geometra ad invocare prudenza. Dodici morti, più una cinquantina di feriti. Non erano più le schermaglie dei mesi precedenti, quando, forse in preparazione del Grande Attentato, avevano già provato a sabotare le linee ferroviarie della Toscana. Stavolta il Geometra sapeva di avere gli occhi di molti puntati addosso. Lui che, come capo politico del Movimento Rivoluzionario, s'era interessato della logistica del gruppo e aveva fornito direttamente l'esplosivo al Facchino e Piero il Tecnico i quali, recatisi alla stazione centrale, avevano posizionato il borsone con all'interno la bomba in uno scompartimento vuoto, poco prima che partisse il treno. Proprio Piero il Tecnico, grazie alle competenze acquisite durante il servizio di leva, aveva accomodato il timer dell'innesco affinché il treno esplodesse all'interno di una galleria, per massimizzare il numero dei decessi. Era stata un'espressa volontà del camerata Etrusco, che il Geometra si era ben impegnato arrivasse ai due suoi sodali. "S'ha da fare un botto il più grande possibile" andava ripetendo l'Etrusco, "ora che ce lo permettono, è la nostra grande occasione di farla scoppiare sta Rivoluzione". 

Il Geometra guardò dentro il cammino, e di fianco, ma d'un tronco di legna neanche a parlarne. E dire che, senza un sistema di riscaldamento, qualcosa per trovar caldo andava trovato.
"Ti porto io una sega quando torno, così ti tagli tutti i rami che vuoi di questo bosco e ti fai fuoco ...." lo rassicurò Giuffé poco prima di congedarsi.
Rimasto solo, al freddo, e seduto su un divano, il Geometra prese a se qualche giornale, che ora sì, non facevano altro che parlare del suo eccidio. Eppure nessun richiamo al Grande Attentato. Tanti articoli di interviste a colleghi di lavoro e amici. Tanto sbigottimento su come un "uomo per bene" potesse far quello che ha fatto. I tempi sono pazzi e portan anche i più miti degli uomini a far le peggiori bestialità si interrogavano i sociologi.
 E poi un piccolo trafiletto sui presunti legami e conoscenze tra lo stesso Geometra e un Gianni, il Facchino, un portaborse della Stazione Centrale, arrestato proprio poche ore dopo la strage, e, scrivevano i giornali, già tenuto sotto osservazione dai carabinieri per essere stato colto durante un controllo stradale con del materiale compromettente. Materiale che lo inchiodava, quantomeno ipoteticamente, ad un altro attentato sulla linea ferroviaria toscana, questa volta nei pressi di Arezzo, fallito per un soffio. L'attentato era stato voluto proprio dallo stesso Geometra per tenere calmo e operativo il gruppo dopo che, a seguito del Grande Attentato, era mancata la risposta repressiva delle Istituzioni, che, anzi, si erano impegnati a far pulizia dei cospiratori. Guardando la foto del Facchino impressa sul giornale, un imprecazione non poté che non uscire dalla bocca del Geometra.
L'improvvido agire del Facchino aveva portato gli investigatori sulle sue tracce. E se pur vero che, quella sera, i tre carabinieri, ignari di chi avevano davanti, erano impegnati in un normale controllo di censimento delle armi del territorio, prima o poi il castello di carte sarebbe crollato comunque.
Era giunto il momento di chiedere protezione agli stessi Amici che ora stavano aiutando il camerata Etrusco per lo stesso problema.

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