Un jour seulement

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Incrociai lo sguardo di Leclaire quando, a serata finita, uscì dal ristorante dal retro. Mi sorprese molto; lui si credeva troppo prezioso per entrare o uscire dall'ingresso di servizio, ma capii all'istante che l'aveva fatto apposta per potermi vedere. Abbassai la bottiglietta dell'acqua dalla quale stavo bevendo e attesi, ma lui mi passò accanto guardandomi come fossi un brutto insetto sulla finestra e se ne andò senza un commento né un cenno di saluto.

«A gonfie vele» commentai quando fu scomparso alla vista.

Scrollai le spalle; non mi importava granché di stargli simpatico. Lanciai un'occhiata alla porta di nuovo chiusa, di nuovo perso a lambiccarmi il cervello su che cosa stesse dicendo di tanto lungo lo chef Durand a Sahan nel suo ufficio. L'attesa durava da tanto che continuavo a chiedermi se non dovessi andargli in soccorso. Non riuscivo a togliermi dalla testa la ferocia con cui Durand gli aveva strattonato il braccio, perché non avevo mai visto lo chef diventare fisicamente aggressivo.

Sospirai rumorosamente in preda al nervosismo e mi alzai dai gradini abbandonando la bottiglia per fare qualche passo su e giù. Mi sentivo un idiota, e realizzai solo in quel momento che non ero sicuro che Sahan sapesse che lo aspettavo: ci eravamo scambiati un'occhiata mentre lui saliva nell'ufficio dello chef e gli avevo fatto un cenno incoraggiante, ma senza una parola non poteva sapere che l'avrei aspettato per sapere cos'era successo.

Sospirai ancora una volta passandomi le mani sulla faccia, scoraggiato e nervoso. Mi misi a pensare se non fosse meglio andare a casa e scoprire il giorno dopo se Sahan era ancora al lavoro, ma la paura di non trovarcelo avrebbe potuto anche tenermi sveglio tutta la notte. Perché la mia era una paura, ormai.

Quando la porta si aprì vidi Sahan uscirne – si era liberato dell'uniforme e indossava pantaloni e giacca di pelle nera su una camicia di un brillante turchese – ma il suo sorriso scomparve subito e scese i gradini di fretta.

«Ma che stai facendo, Raim?!»

«Oh... beh, sto...»

«Perché cavolo stai facendo pipì qui?! Il bagno è a dieci metri!»

Non sono il tipo di persona che fa i suoi comodi in giro come un cane e l'unico motivo per cui non ero rientrato era che il bagno era già stato pulito e richiuso come era consuetudine. La chiave veniva appesa insieme a quelle dei lucchetti della cantina dei vini e delle celle frigorifere nel "solito posto". Sapevo qual era, ma per stanchezza e pigrizia mi ero lasciato traviare.

«Non volevo sporcare» belai come risposta.

«Santo cielo, Raim, non puoi fare queste cose davanti all'ingresso della cucina di un ristorante!» mi rimproverò lui, aspro quanto la mia vecchia nonna. «Ci pensi se ti vedesse qualcuno fare pipì proprio vicino a dove i fornitori scaricano la merce? Promettimi che non lo farai mai più!»

«Non l'ho mai fatto prima, lo giuro.»

«Voglio sperarlo! Su, pulisciti» mi fece lui passandomi una salvietta da un pacchettino che teneva in tasca. «Tieni... ecco, prendine un'altra.»

«Okay... okay, bastano, non devo farmi la doccia.»

«Oh, dopo questo ti butterei di peso in un catino di acqua saponata e ti laverei come un grosso cane, credimi» ribatté mentre riponeva il suo pacchetto nella giacca. «L'igiene è tremendamente importante per un cuoco. Io sono un po' maniacale, anche.»

Non mi stupii, non dopo avergli visto prendere le salviette umidificate dalla giacca. Subito dopo mi prese la mano e ci spremette un goccio di liquido azzurrino che odorava di alcol da una boccetta; anche quella uscì da una tasca della sua giacca.

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