2019 - Ester

0 0 0
                                    

Sono in pace con me stessa, canticchio il ritornello di una canzone che non c’entra un cazzo con questo momento della mia vita, separate your right from wrongs – come on and sing a different song, mentre muovo il ginocchio a ritmo seduta su un muretto messo lì a caso da chissà quale genio dell’architettura moderna. Cartina in canapa, tabacco American Spirit, filtrino slim. Sto tranquillamente assemblando la mia seconda sigaretta della giornata da poco cominciata quando la sento imprecare.
Ho ufficialmente smesso di fumare anni e anni fa ma ogni tanto una di nascosto me la faccio, in giornate come dovrebbe essere questa invece proprio non mi regolo. Ma concedetemelo, vi prego, perché ancora non mi conoscete e mi merito il beneficio del dubbio. E comunque. La sento imprecare a voce alta, come di certo non si conviene alle signore per bene. Che poi né io né lei lo siamo ma almeno l’apparenza, ogni tanto, sarebbe bello mantenerla. E invece.
Mi volto a guardarla, agita le mani in aria, paonazza in volto, grida e sciorina una parolaccia dopo l’altra. Come suo solito. La fisso, alzo un sopracciglio. Vorrei davvero alzarmi in piedi e gridare fiera “Sì, è la mia migliore amica, proprio lei, quella pazza che grida un vaffanculo dopo l’altro!” a tutti quelli che, inorriditi, la stanno guardando credendola fuori di testa. D’altra parte un po' lo è.
Scuoto la testa e torno al mio minuzioso lavoro di rollatrice precisa di sigarette perfette. Finisco di fare con calma, molta calma, quello che stavo facendo prima che gli acuti di Madda mi arrivassero alle orecchie. Non solo alle mie, già. Lo so cosa state pensando, lo so. Dovrei andarle vicino, prenderla per un braccio, vergognarmi di, per e con lei, sussurrarle all’orecchio qualcosa come stai calma, relax, take it easy.
Ma la conosco da anni, è la mia migliore amica, ve l’ho già detto, e so meglio di chiunque altro che quando parte così non è proprio semplice fermarla. Tipo le macchine truccate di Vin Diesel, avete presente? Possono aspettare. La mia dose di nicotina, rara e preziosa, invece no.
«Ma stai dicendo davvero?»
«Lo vedi che questa non è una stracazzo di fila ordinata? C’ero prima io!»
«Stai scherzando spero -prende fiato- non è che perché assomigli al vampiro che brilla al sole allora puoi fare il cazzo che ti pare, ma mi hai vista? Ti sembro una dodicenne? Non è che ti succhio l’uccello solo perché sei figo e di certo non mi lascio superare in fila da uno sfigato come te!»
Lui scoppia a ridere «E chi vorrebbe farselo succhiare da te, scusa? Neanche uno sfigato.»
«Hai la faccia di uno che me lo chiederebbe!»
«Perché forse tu hai la faccia di una che lo farebbe?»
Mi accendo la sigaretta con misurata lentezza e, giusto in tempo, assisto al momento migliore delle ultime uscite in compagnia di Madda. Lei alza una mano in aria teatralmente e, con lo sguardo più furioso della storia stampato in volto, assesta al devo dire non troppo giovane sosia di Pattinson uno schiaffo in piena faccia. Lui non se lo aspettava, è chiaro dal suo sguardo allibito, e mica la conosce, non può sapere che è fuori di testa.
Lo sprovveduto si porta una mano alla guancia scuotendo la testa, gli occhi infuocati. Ok, è giunto il momento di intervenire, tutto molto divertente però così finisce che ci arrestano. Non oggi, grazie.
Mi alzo di scatto in piedi, anche se associare uno scatto alla mia persona è particolarmente divertente, ma insomma, ci provo. La sigaretta in bocca, i capelli raccolti in una coda alta arrotolata su se stessa, la maglia nera che mi stringe il seno e la fila disordinata di bracciali metallici al mio polso destro che tintinna su se stessa. Una vera dura, trent’anni e non sentirli, rock’n’roll.
A passo veloce mi avvicino a quella pazza squinternata della mia migliore amica.
«Madda ma che cazzo… stai facendo sul serio?»
«Questo stronzo voleva superarmi nella fila!»
«Questo stronzo era prima di te nella fila, -lui la guarda quasi ringhiando- stronza.»
Lei lo fulmina con lo sguardo, le mani sui fianchi e gli occhi stretti a fessura. «Non ti permettere sai?»
Mi metto fra di loro, una mano sul petto di lui e una sulla spalla di lei. Li guardo, prima uno poi l’altra, mentre inspiro la sigaretta perfetta che stringo tra le labbra che giuro, giuro davvero, avrei voluto godermi proprio dopo così tanti anni di astinenza. Pare invece questa sia la mia personale mission impossible.
«Ma cos’avete tutti e due, sette anni? State litigando per il posto alla fila di merda del paninaro -indico il camioncino davanti a noi con un cenno della testa- e vorrei farvi notare che, oltre ad avervi sentito urlare probabilmente pure a Milano, tutti gli altri vi hanno superato e ora la fila dovete rifarla. Entrambi.»
Lui inspira, guarda il cielo poi abbassa lo sguardo e fissa lei scuotendo la testa, un po' come la gif di quella afroamericana scocciata ma seria. Mi fa sempre schiantare quella gif. “Sei serio? Ora ti arriva un altro schiaffo.” penso mentre mi viene quasi da ridere.
Madda sporge la mano destra oltre il mio corpo e alza il dito medio in un riconoscibile gesto di alta intelligenza e femminilità. Scuoto la testa mentre entrambi si riavvicinano alla fila a braccia conserte, senza guardarsi neanche per scherzo. Una sceneggiata del genere per un panino del cazzo, in trent’anni, mi mancava.
Li fisso. Edward Cullen dei poveri, con un ghigno malefico sul viso, le fa cenno di passare avanti, lei lo incendia con lo sguardo e gli sibila un “grazie al cazzo!” tipico del suo stile da signorina per bene.
Guardo in alto, il cielo limpido prospetta caldo e afa, rifletto per qualche secondo sull’assurda scelta di abbigliamento fatta poche ore prima. Giacca di pelle e gli shorts di jeans fanno sempre molto rock, certo, magari non il 15 giugno sotto il sole di Firenze. È il concerto della nostra vita, ce lo siamo cinguettate a vicenda pure stamattina in hotel mentre facevamo colazione. Questa è la nostra giornata, ci eravamo ripromesse che non ce la saremmo fatta rovinare da niente e nessuno al mondo ma Maddalena è, come da copione, già partita male.
Contemplo le nuvole, ce ne sono due vicine che somigliano tanto a un fortunadrago, mi viene da ridere e non so neanche il perché. Faccio un ultimo tiro alla sigaretta maledetta e abbasso la testa.
Madda è ancora lì, le braccia incrociate sul petto e dritta come un fuso in fila, dietro di lei c’è lui che parla concitato con un coetaneo comparso dal nulla. E di colpo mi si ferma il cuore.
Mentre guardo l’amico dello stronzo perdo qualche battito. Non l’ho mai visto così da vicino ma so chi è. Lo conosco troppo bene. Conosco ogni centimetro del suo corpo, del suo volto, della sua anima. Lo conosco meglio di chiunque altro. Lo conosco punto e basta. Quel sorriso accennato, lo sguardo accigliato, i capelli scuri, il naso pronunciato. E sul braccio un tatuaggio che più di qualsiasi altro riconoscerei fra mille perché, dopotutto, è il gemello eterozigote del tatuaggio che ho io.
Vorrei, di certo dovrei, girarmi per non guardarlo, per lasciarlo andare per sempre ma la precisa puntualità di Madda nel mettermi nei casini si fa sentire. Volta la testa nella mia direzione e squarcia l’improbabile silenzio con un acuto da spavento.
«Ester come lo vuoi? Ti ci faccio mettere i peperoni?»
È un nome più unico che raro, il mio, e lui che lo sa alza subito lo sguardo puntandomelo addosso. E anche lui conosce ogni centimetro del mio corpo, del mio volto, della mia anima. Mi conosce meglio di chiunque altro. Le mie forme morbide, le mie labbra sottili, i miei occhi cangianti. E sul braccio il tatuaggio parallelo a quello che porta lui. Stringe gli occhi, li sbatte come per risvegliarsi da un sogno, arriccia le sopracciglia, sorride un po' più del suo solito. Mi brucia dentro.
E se la vita è fatta di stagioni allora finalmente incontrarlo è la primavera per me.

Wait for me - Aspettami. Where stories live. Discover now