𝗰𝗮𝗽𝗶𝘁𝗼𝗹𝗼 𝗱𝗶𝗲𝗰𝗶

451 61 27
                                    

Le giornate durante quella settimana passarono piuttosto velocemente.
Per sua fortuna, negli ultimi tempi Satori pareva non aver riscontrato peggioramenti. Così, da una parte, Wakatoshi si ritrovò costretto a tenere fede alla sua promessa, quel venti maggio.

L'alba bagnó il rosso per primo quella mattina, il quale, fin troppo entusiasta, non si trattenne di fronte al volto assopito dell'altro: carezzó le sue gote chiare, riordinó la sua chioma scompigliata.
La prima cosa che Wakatoshi vide non appena si svegliò, fu il suo lieve sorriso e, oh, pensò di essersi ritrovato in paradiso.
"Buongiorno" sussurró Tendou, cullandolo. Sorrise.
"Buon compleanno, Satori." disse poi.

Si sentí doppiamente bene, quando le lunghe braccia di lui lo circondarono: beati nel silenzio, si godevando i caldi raggi di sole.

La giornata prometteva bene: il cielo era privo di nuvole, seppur, ogni tanto, qualche folata di vento faceva oscillare gli alberi vicini.

Ma in questa storia niente è dato per scontato, miei cari lettori: sfortunatamente, non tutto andò come programmato.

Tra risate e discorsi, i due ragazzi si stavano godendo la loro colazione. Vista la giornata che avrebbero trascorso, entrambi percepivano il loro sangue scorrere nelle vene, renderli vivi come non mai. Un colpo di tosse.

Sorridevano, osservavano le piaghe della loro pelle curvarsi felici. Due colpi.

Tre. Quattro. Cinque.

Satori prese a tossire incessantemente, cercando un poco d'acqua per darsi sollievo. Dal momento che la crisi fosse sotto controllo, Wakatoshi - inizialmente - si limitò a cercare di calmarlo.

Ma la stretta ai polmoni si fece più irruenta, il respiro più corto, il volto di Satori violaceo: l'amico si precipitò fuori dalla stanza, cercò disperatamente un infermiere, un medico, una speranza. Un qualcuno che potesse aiutare il malato.

                                . . .

Ushijima trascorse la giornata nella sala d'attesa, Tendou tra esami e controlli.

E fu quando presero a susseguirsi le prime ore del pomeriggio, che il primo comprese che l'amico si sarebbe perso quel giorno. Il giorno del suo ventesimo compleanno. Il suo ultimo compleanno, molto probabilmente.
Difatti, ciò che più preoccupava Wakatoshi, era come egli dovesse sentirsi: sapeva che ormai fosse stabile fisicamente, dopo tutti gli antibiotici con i quali lo avevano imbottito; ma nessun antibiotico avrebbe potuto curare la delusione, la collera e la sofferenza di Satori, in quel momento.

Arrivata la sera, ad Ushijima venne accordato il permesso di visitarlo, e la tristezza lo colpí in pieno. Il malato era disteso sul letto, il suo sguardo perso, i suoi occhi stanchi e puntati sul soffitto.
"...Tendou?" domandò preoccupato, iniziando ad avvicinarsi. Nessuna risposta.
"Hey, Tendou..." ripeté poi scuotendo un poco la sua spalla. Un brivido lo sopraggiunse quando Satori si voltò verso di lui: non fu il suo aspetto malaticcio a colpirlo, no, a quello era abituato. A capovolgergli lo stomaco furono le sue iridi, pozze profonde, scure e sanguinarie. Pozze lasciate all'ombra, rubate dalla luce, ed incredibilmente... smorte.

Trascorse qualche secondo prima che Satori si mettesse a sedere.
"Fai piano." si raccomandó Ushijima, vista l'iniziale schiettezza con cui aveva preso a tirarsi su. Ancora una volta, egli non rispose.
Così, Wakatoshi cercó i suoi occhi, il suo sguardo, un accenno di quella vita persa. Sospiró.
"Tendou mi disp-"
"-Wakatoshi..." lo interruppe una voce flebile.

"Dimmi."

Il ragazzo si alzò dal letto, suscitando la sopresa di Ushijima. Fu così veloce e schietto che egli non poté far niente per impedirglielo.
Teneva lo sguardo basso, perso e distrutto; attimi di silenzio susseguirono, e l'altro mandó giù un magone in attesa delle sue parole.

"Ti prego..." esordì con un filo di voce.

"Ti prego Wakatoshi, la giornata non è ancora finita."

Dire che il più piccolo rimase stupito è dire poco: in quella situazione, egli non riusciva a capacitarsi di come Satori potesse insistere ancora.

Dopo ciò che era successo, pensava che la giornata in spaggia fosse uno degli ultimi problemi da dover affrontare.
Ma evidentemente, il rosso non la pensava così.
Poggiò così una mano sulla sua spalla nel disperato tentativo di farlo ragionare.

"Tendou, ascoltami." disse "Penso sia meglio attendere, visto ciò che è successo stamani. Torneremo alla spiaggia una volta che l'infezione sarà passata, così potremo stare tranquilli."

Il suo cuore perse un colpo, vista la reazione di Satori. Ferito, questi scansó la sua mano con fare nervoso, sollevando il capo. Piangeva.

"Wakatoshi l'infezione non passerà, non lo capisci?! Tra meno di un mese mi ritroveró attaccato ad un cazzo di respiratore, incapace di respirare in modo autonomo!" urlò, urlò ed urlò, e la voce raschió la sua gola oramai distrutta dai colpi di tosse.

Le parole rimbombarono nella stanza, lente, forti ed infinite. Rimbombarono così tanto che, col passare dei secondi, la mente di Wakatoshi ancora non riusciva a scrollarsele di dosso. Ripercosero il suo corpo, si stanziarono sul suo cuore, lo creparono.

Piano, Satori si avvicinò a lui.
I suoi passi si fecero fiacchi e, con fare debole, le sue dita affusolate si aggrapparono alla sua maglietta.
Una lacrima, solitaria scese sul suo volto, bagnó le sue guance, spezzó la sua voce.

"Ti prego Wakatoshi-kun, voglio tornare là un'ultima volta. Voglio uscire di qua un'ultima volta, adesso che ne sono ancora in grado."

Sentí un vuoto nel torace.
Il petto di Ushijima si svuotó, e le lacrime riempirono i suoi occhi.
Non seppe come rispondere, ad un'angoscia e un dolore così forte.

"Per favore." ripeteva e ripeteva Satori con un filo di voce.

"Ma... capisci, non ti lasceranno mai uscire di qua dopo ciò che è successo oggi. Inoltre è già buio, Tendou..."

"Non m'importa, andiamo lo stesso. Anche solo per un'ora, Wakatoshi io-"

"-Ho capito." Wakatoshi lo interruppe. Si fece forza di sollevare una mano e, lento, accarezzó la sua guancia. Con le dita portó via le sue lacrime, sorridendo incerto, titubante.

L'espressione di Satori si rilassó, piano le sue labbra si curvarono, piano rilasció una piccola, bellissima risata di sollievo.

Non impiegarono molto, ad uscire dall'ospedale.
Ridacchiando, il malato gli faceva strada, si accovacciava nel corridoio facendo capolino prima di lui. E quando gli infermieri passavano e la via di fuga si faceva libera, egli correva, come se ogni traccia di malessere fosse scomparsa.
Quasi Wakatoshi faticava a stargli dietro.
Infine, uscirono dalla porta sul retro.

Camminarono allontanandosi e, non appena ebbero superato qualsiasi occhio indiscreto, Satori si fermó. Il suo respiro si era fatto affannoso, ma il sorriso non abbandonava le sue labbra.
"Tutto bene?" chiese Ushijima preoccupato.

"Benissimo." disse ricomponendosi. Riprese poi a camminare, seguito dall'amico "Dai, muoviamoci." aggiunse, prendendolo per mano.

Così, i due ripartirono per la loro strada: un'ultima visita al loro paradiso.

❝𝗳𝗮𝗿𝗲𝘄𝗲𝗹𝗹, 𝗺𝘆 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗱𝗶𝘀𝗲❞ 𝗎𝗌𝗁𝗂𝗍𝖾𝗇Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora