La via della salvezza

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Un soffio di vento, un sussurro, una brezza ghiacciata che si faceva strada nella terra insanguinata. Corpi mutilati, viscere esposte, spade ed elmi frantumati, grandi corazze in acciaio aleano e temibili aste da guerra dei Nordingi, com'erano chiamati dalla gente del Sud, accasciate al suolo in attesa che i corpi senza vita venissero divorati dai neri corvi del Crannmaëribeth, dove solo i più scaltri viaggiatori del grande Impero Artasico osavano avventurarsi. Questa scena si ritrovò Erineth, figlia di Ereiwist, figlio di Teuten. Un massacro senza precedenti, senza né vinti né vincitori; una battaglia, l'ennesima, che era costata cara la pelle ad almeno mille persone.

"Ma perché, padre, perché vengono nelle nostre terre? Perché amano così tanto la guerra?" aveva domandato Erineth, cercando in tutti i modi di scaldare le sue gelide mani attorno al focolare della capanna. Faceva freddo, anche se era appena sbocciata la primavera.

Ereiwist, un tempo giovane e forte, era ormai un uomo vecchio e segnato da anni insopportabili di scorrerie, ingiustizie, sciagure e carestie. Lento era il processo con cui una civiltà iniziava a declinare e, i Nordingi, ultimi superstiti di quella gente che dagli estremi lembi del Settentrione aveva migrato verso sud, prima combattendo contro i possenti e antichi draghi di Gealdat e poi lottando per la sopravvivenza nelle grandi selve delle Terre Centrali, lo sapevano ormai fin troppo bene. Cominciava tutto dalle strane merci che iniziavano ad arrivare da lande ignote di cui nemmeno i sapienti avevano mai sentito parlare; poi, anni dopo, si iniziavano ad avvistare gruppi di uomini armati che esploravano il territorio e osservavano da lontano i nativi senza un motivo evidente. Dunque i popoli vicini venivano sottomessi e piegati alla volontà dei nuovi padroni e, infine, dopo molto tempo, giungeva l'ultimatum in una lingua che solo pochissimi avevano imparato a comprendere:

Queste terre appartengono all'imperatore Marsicanus, gli dei rendano grazie al suo nome e alla sua stirpe. Troppo a lungo la provincia della Cranmaeribetia, come la appellano i nativi, è rimasta priva dell'ordine che i nostri padri fondatori hanno giurato di mantenere. L'albero sacro di Venris, volgarmente appellato Crannmor dalla gente che lì vi abita, non può e non deve restare ulteriormente nelle mani di profanatori non civilizzati. Questo è un avvertimento: sottomettetevi e prosperate nel nostro dominio, o sarà la vostra fine.

Così iniziava la fine. Soltanto i suoni delle spade riecheggiavano nella notte senza tempo, quando la pioggia gridava e le stelle scomparivano dal cielo. Scintille di metallo che si perdevano nel vuoto disperato, l'ultima speranza di ragionevolezza che impallidiva di fronte all'orrore brutale della cupidigia umana. Allora vi era il decadimento dei costumi e di ogni legge morale, allora le persone divenivano bestie e le bestie fuggivano inorridite dalla violenza irrefrenabile del più pericoloso animale esistente in natura, quello capace di annientare persino se stesso.

"Gli Artasici non conoscono pace, perché hanno dimenticato da tempo la soddisfazione, la gioia e la felicità nel vedere qualcosa che cresce," disse Ereiwist. "Da sempre rubano agli altri pensando in questo modo di rendere la propria società più sicura e, benché io riconosca che molte cose buone esistano nei confini del loro dominio come l'arte e una qualche parvenza di saggezza, purtroppo quegli uomini sono infelici e lo saranno sempre finché vivranno. Hanno oltrepassato ogni limite, mia cara figlia, hanno dimenticato i valori dei loro antenati e per questo, prima o poi, la loro potenza si disgregherà come cenere nel vento impetuoso d'inverno. Ma noi non vedremo questa fine, sembrerebbe. Ormai è tardi."

È troppo tardi, dicevano gli anziani. Prostrati da anni di sofferenza indicibile, non avevano mai visto la luce. E nemmeno Erineth, camminando sul campo di battaglia appena abbandonato, la vedeva. L'odore nauseante le lacerava i polmoni e la privava del fiato, gli orribili volti sfigurati e le carcasse deformate da vermi e piaghe terribili accecavano la sua vista, le facevano girare la testa in una giostra d'orrore che nemmeno le più feroci tra le grandi belve della foresta avrebbero avuto il coraggio di guardare, né gli orgogliosi orsi bruni, che viaggiavano sovente da un capo all'altro delle Terre Centrali lasciando dietro di sé molta paura, né gli agili felini delle montagne, i quali, ogni tanto, scendevano in pianura terrorizzando i tetri villaggi sparsi. La ragazza dai capelli neri e i penetranti occhi azzurri non credeva a ciò che vedeva. Eppure i morti erano lì, con il volto martoriato e le bocche ancora piegate in un grido di eterno dolore. Stormi di uccelli neri volavano nel cielo color dell'ambra, e il Sole, sempre presente dietro alle nuvole impervie, calava lentamente dietro all'orizzonte. Arrivava la sera. Era tempo di tornare a casa.

Erineth Rosa BiancaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora