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«Tara?» La porta della camera cigolò, e i passetti svelti di mia madre risuonarono sulle assi di legno del pavimento. «È ora di alzarsi, amore. Sono già le sette e cinque».

Un improvviso fiotto di luce mi colpì dritto in faccia. «Hmmm», mugolai, voltandomi dall'altra parte. «No». Pressai la faccia contro la federa sudaticcia del cuscino e mi raggomitolai sotto il lenzuolo, sperando che quello di mia madre fosse solo uno scherzo di pessimo gusto. Non poteva essere già mattina.

«Niente "no"», ribatté lei. Si sedette sul bordo del materasso, facendone cigolare debolmente le molle, e mi accarezzò la spalla scoperta. «Devi andare in palestra. Alle nove comincia l'allenamento».

«Ma sono stanca», mi lagnai, la voce soffocata dalla stoffa ruvida del cuscino. «Stanotte ho dormito male».

Mamma sospirò. «In effetti ha fatto un sacco caldo. Ma adesso devi alzarti, Tara. Ti ho già fatto dormire abbastanza».

Magari fosse stato il caldo a tenermi sveglia!, avrei voluto dirle, ma mi limitai a mugolare contro il cuscino. «Non posso restare a casa, oggi?»

«A casa?» Le molle del letto cigolarono, segno che mia madre si era alzata, e il lenzuolo mi venne brutalmente strappato di dosso. «Sei impazzita, per caso?»

Io voltai la testa nella sua direzione, sforzandomi di tirare su una palpebra. Mamma mi sovrastava dall'alto del suo metro e settanta come un famelico predatore, pronto a fare di me un lauto pasto. Sfidarla non era mai una buona idea, ma quel giorno non vedevo alternativa: conoscevo bene i miei limiti, ed ero pericolosamente vicina a oltrepassarli.

«Solo per oggi», mormorai. «Sono anni che non salto un allenamento».

«Dici bene», scattò lei. «Non mi pare il caso di interrompere una tradizione tanto duratura, no?»

Mi puntellai sul gomito destro con un sospiro. «Non combinerei nulla. Tanto vale che resti a casa a riposarmi un po'».

«Riposarti un po'?» ripeté, prima di scoppiare in una risata secca. «Dico, Tara, stai scherzando? Vorrei ricordarti che hai dei doveri ben precisi, verso il tuo paese. Non puoi restartene a casa senza un motivo valido». Si rassettò i capelli con un sospiro, scoccandomi un'occhiata veloce. «Quindi adesso la smetti di dire stupidaggini e ti alzi. Subito», aggiunse, mentre si avviava a grandi passi verso la porta della mia camera.

«Agli ordini, capo». Mi grattai la nuca con la mano destra, sforzandomi di sorriderle. «Mi vesto e scendo».

«Sarà meglio», borbottò lei, prima di uscire in corridoio e chiudersi la porta alle spalle.

Si prospettava una giornatina interessante.

Mi vestii in fretta, senza badare troppo a ciò che stavo indossando, e controllai rapidamente il contenuto del borsone; dopo aver appurato di avere tutto, me lo caricai in spalla e scesi in cucina.

«Era proprio grosso», stava dicendo Giacomo, spalmando una dose generosa di nutella sul suo toast abbrustolito. «Dovevate vederlo. Non sembrava nemmeno umano».

Mia madre, seduta di fronte a lui, alzò gli occhi dal cellulare per guardarlo storto. «I cinghiali non sono umani, fino a prova contraria. È un concetto così difficile da capire?»

«Caterina, dài», la ammonì papà, distogliendo lo sguardo dal suo giornale. «Hai capito cosa intendeva».

«Deve imparare a esprimersi meglio».

Mentre i miei continuavano a bisticciare, io mi sedetti accanto a Giacomo e gli rivolsi un sorrisetto. «Parlavi del cinghiale che hanno catturato ieri?»

Cacciatori di Leggende - Plenilunio [VERSIONE DEMO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora