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«Tara? Come va con la valigia?» Mia madre bussò piano alla porta e si affacciò in camera, scandagliando l'ambiente con gli occhi. «Che brava! Hai già messo via tutto!»

Io, raggomitolata come un baco sul letto, distolsi lo sguardo dalla Parete dei Ricordi e lo spostai sui trolley allineati accanto alla porta. «Ho appena finito».

Mamma indugiò per un attimo sulla soglia, poi appoggiò a terra la cesta di panni che teneva tra le braccia e venne a sedersi davanti a me. «Quello che è successo è terribile, tesoro». Mi prese una mano tra le sue e abbozzò un sorriso, cercando di mascherare il suo sguardo preoccupato. «Ma so che riuscirai a riprenderti presto».

Non avrebbe parlato in quel modo, forse, se avesse saputo cos'era successo realmente.

Era passata quasi una settimana da quel giorno, e io ancora stentavo a credere a tutto quello che era successo. Edoardo non c'era più e, per spiegare la sua morte e il coinvolgimento mio, di Giorgia e di Daniele in tutta quella situazione incresciosa, i fratelli Castoldi avevano tirato fuori una storiella che involveva un cinghiale e qualcos'altro che non ricordavo. Io non avevo fatto domande, e né tanto meno qualcuno si era presentato alla mia porta per fornirmi una mezza spiegazione su come fossero andare a finire le cose. Perlopiù, comunque, cercavo di non pensarci: il senso di colpa era in agguato, pronto ad attaccarmi in qualsiasi momento. E più mi crogiolavo nel pensiero di quanto successo la settimana prima, più il terrore di aver preso la decisione sbagliata minacciava di sopraffarmi.

«Sto bene», dissi con una scrollata di spalle, all'occhiata interrogativa di mia madre. «Riprendere la solita routine mi aiuterà».

Lei annuì e si rialzò in piedi, andando a raccogliere la cesta da terra. «Partiamo sul tardi, così fa più fresco e non ci dobbiamo sorbire tutto il caldo soffocante di questi giorni».

«Perfetto».

La porta si rinchiuse e io rannicchiai le ginocchia al petto, chinando la testa in avanti.

Due giorni prima mi ero addirittura persa il funerale di Edoardo. Beh, a dire il vero ero andata in chiesa, e avevo anche dato una sbirciata oltre i portoni accostati, ma non avevo trovato il coraggio di entrare. Non dopo quello che avevo fatto.

E così avevo anche evitato di fare le condoglianze a Paola, o di andare al cimitero dove era stato sepolto.

Non mi sentivo degna, punto.

In fondo ero io quella che diceva che c'è sempre un'alternativa, no? Avrei dovuto trovarla anche in quell'occasione, e invece mi ero lasciata trasportare dalla paura e dalla convinzione che lui non sarebbe mai più tornato come prima.

Giorgia non si era più fatta sentire, né tanto meno Daniele. Non sapevo che fine avessero fatto, e non mi importava nemmeno: ero troppo impegnata a colpevolizzare me stessa per pensare che erano stati proprio loro a dare il via a ogni cosa.

Serena aveva provato a chiamarmi un paio di volte, ma quando si era resa conto che non le avrei risposto aveva smesso di tentare. Avevo apprezzato, in un certo senso.

A casa, invece, nessuno mi faceva troppe domande: associavano quel mio improvviso crollo emotivo all'incontro ravvicinato col cinghiale – o qualunque altra cosa avessero detto in giro Guglielmo e Vittoria – e perlopiù mi lasciavano tranquilla. Mamma mi aveva addirittura concesso di saltare un paio di allenamenti.

Presa da un moto di stizza, allungai le gambe e mi alzai in piedi. Avevo voglia di muovermi, uscire di lì, allontanarmi per un po' da tutto e tutti.

Scesi in fretta le scale e mi affacciai in cucina, dove mia madre era impegnata a svuotare il frigorifero.

«Vado a fare un giretto».

Cacciatori di Leggende - Plenilunio [VERSIONE DEMO]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora