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Dopo appena una manciata di secondi, Daniele distolse lo sguardo e riprese a camminare  tra i seggiolini blu degli spalti. Ora che mi aveva visto, la sua fretta sembrava addirittura aumentata. Voleva andarsene di lì al più presto, era evidente.

«Daniele, fermo!» esclamai. «Aspetta un attimo!» Quando capii che non si sarebbe fermato, aggirai rapidamente la trave e corsi attraverso la palestra, zigzagando tra pedane, cubi di gommapiuma e tappetoni storti.

«Tutto bene?» chiese Sofia, affiancandomi.

Io annuii, recuperando al volo i paracalli che avevo lasciato vicino alle parallele. «Sì. Devo riuscire a beccarlo prima che vada via, però».

«Quindi è un tuo amico?» indagò, mentre io aprivo la porta dello spogliatoio.

Decine di ragazze mezze nude chiacchieravano tra loro, frugando nei borsoni o negli armadietti affissi alle pareti; l'acqua di una doccia scrosciava da dietro il muretto piastrellato, e sottili spire di vapore iniziavano a serpeggiare tra le caviglie delle ragazze. C'era puzza di lacca, magnesio e sudore, lì dentro.

Io scrollai le spalle, gettando a Sofia un'occhiata veloce. «In un certo senso».

Una volta trovata la mia roba, decisi che cambiarmi non era in cima alla lista delle mie priorità: mi limitai a indossare i calzoncini sopra le culottes, calzando poi le Superga senza nemmeno un paio di calzini. Gettai nel borsone il resto della mia roba e, dopo aver augurato alle altre un buon proseguimento di giornata, mi fiondai fuori dallo spogliatoio.

All'esterno il caldo era quasi insopportabile; l'aria secca e bollente bruciava sulla mia pelle scoperta, e la luce del sole era così forte che mi costrinse a ripararmi gli occhi con una mano.

Daniele, in ogni caso, non era in vista; probabilmente aveva trovato il modo di uscire dal retro e si era dileguato prima che lo raggiungessi. In tutta sincerità, il motivo della sua presenza lì mi era del tutto oscuro. Magari era venuto solo per dirmi qualcosa su Giorgia; ma allora perché scappare in quel modo? E comunque come faceva lui a sapere che a quell'ora sarei stata in palestra?

Rimuginai su Daniele e i suoi graffi fino all'arrivo del 22, che mi portò in stazione nel giro di dieci minuti; l'interregionale passò poco dopo e, come al solito, mi sistemai accanto a un finestrino per osservare il paesaggio. Passando in prossimità di casa Abruzzese, una villetta immersa nel verde appena fuori da Roccascura, decisi di scattarle una foto: la proprietà era circondata da ettari ed ettari di terre coltivate, e ogni volta che ci passavo davanti ne rimanevo affascinata.

Davanti alla casa, un bambino correva libero nell'erba, sotto lo sguardo vigile della donna che stendeva lenzuola candide su uno stendino; poco lontano da loro, una bambina bionda spingeva un passeggino di plastica avanti e indietro, allungandosi di tanto in tanto per accarezzare il suo bambolotto. Sorrisi inconsapevolmente, ripensando a quando io e Giacomo eravamo piccoli: mi sarebbe piaciuto tanto tornare a quei tempi.

Quando scesi dal treno, il barbone non era più sulla panchina; sperai che fosse andato a comprarsi qualcosa da mangiare e che avesse un posto sicuro dove trascorrere la notte. Odiavo il fatto che certe persone fossero costrette a vivere in condizioni del genere, e odiavo ancor di più la mia impotenza in quella situazione. Facevo quel che potevo, certo, ma dubitavo che pochi euro potessero ribaltare la vita di un senzatetto.

Montai sulla bici con un sospiro, ma quando poggiai le cosce sul sellino mi lasciai sfuggire un urletto: era bollente. «E brava Tara. Lasciarla all'ombra no, eh?» Sistemai meglio la cinghia del borsone sulla spalla e, visto che non mi andava di aspettare che si raffreddasse, mi rassegnai a pedalare in piedi. Le ruote sgonfie della bici sobbalzavano sui sampietrini irregolari, e rischiavano di farmi perdere l'equilibrio da un momento all'altro. Tenendomi ben salda al manubrio sfrecciai per le viuzze pittoresche del paese, ammirando i vasi di fiori che sbucavano sui davanzali e i lampioni in ferro battuto tra una casa e l'altra. Roccascura,  con i suoi trecentoventidue abitanti, era uno dei paesi più piccoli e antichi della Garfagnana; a guardarlo dall'alto probabilmente appariva come un'accozzaglia di casette e campanili semi-inghiottiti dal bosco, con le strade tutte storte e una quantità eccessiva di fontanelle in pietra grezza. In realtà, osservandolo più da vicino, il paese era davvero suggestivo. Agli occhi di una City Girl come me – citando Edoardo – tutto quel silenzio e la scarsa presenza umana parevano quasi surreali.

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