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Se il mettersi nei pasticci fosse stato uno sport, io ne sarei stata campionessa olimpica indiscussa. Sapevo perfettamente l'effetto che mi faceva il the freddo, ma non avevo esitato a ingurgitarne un bottiglione intero senza dare peso alla completa assenza di autogrill che accompagnava l'ultimo tratto di strada per Roccascura. Aggiungete all'equazione la mia totale incapacità di tenere la pipì per più di dieci minuti, e il risultato non è difficile da immaginare. Non me la feci sotto, per fortuna, ma diciamo che ci andai molto vicino. Specie durante gli ultimi, fatali secondi, mentre correvo disperatamente su per le scale tentando di orientarmi per i corridoi vuoti e bui che mi separavano dal bagno.

Aprii la porta con una spallata e mi strattonai giù calzoncini e slip, crollando sul water con un grugnito degno di un maiale. Esisteva forse sensazione più bella, liberatoria e gratificante di una sana orinata trattenuta all'inverosimile? Dal sollievo mi veniva quasi da piangere.

Il suono delle serrande che si riavvolgevano riempì la casa, finché una lama di luce non bagnò il pavimento piastrellato del bagno. «E luce fu», sospirai, allungandomi per prendere un rotolo di carta igienica dall'armadietto sotto il lavandino.

Sentii dei passi pesanti risalire le scale, poi l'inconfondibile sbuffo secco di mio fratello. Pochi secondi dopo, infatti, il testone sudato di Giacomo apparve oltre la cima della gradinata; le cuffiette bianche pendevano inerti dalla tasca dei suoi jeans, urtando a tratti il trolley sgangherato che si trascinava dietro, e trasmettevano a tutto volume uno dei vecchi successi metal per cui Giacomo impazziva. Ciondolò mollemente verso la sua camera, asciugandosi la fronte col dorso della mano, ma con la coda dell'occhio mi vide e lanciò un urlo. «La chiudi o no quella porta?»

«Sei mio fratello, mica mi vergogno», risposi, alzandomi slip e calzoncini. «E comunque mi scappava troppo per pensare a cose futili come la porta».

Lui mi fece il verso e, dopo essersi assicurato che mi fossi rivestita, tolse la mano dagli occhi e si chiuse in camera sua.

«Tara, qui c'è la tua roba!» urlò mamma dal piano inferiore. «Devi togliere tutto immediatamente, capito? Che poi succede come l'anno scorso e io non ho voglia di sistemare tutto il disordine che lasciate in giro!»

«Ricevuto, sergente mamma», dissi, facendo il vocione. Scesi gli scalini due a due, e una volta in salotto feci la verticale. Mossi qualche passetto sulle braccia e mi fermai accanto a uno dei miei trolley. Piegai un ginocchio, sfiorando il manico con la punta del piede. «Dici che ce la faccio a portare qualcosa coi piedi?»

«Tara, rimettiti dritta, che poi ti fai male!» Mamma mi diede un colpetto sul polpaccio sinistro, e io finsi di perdere l'equilibrio. Sbattei volutamente il sedere a terra e presi a contorcermi con aria melodrammatica.

«Chiama l'ambulanza, presto!» urlai, tenendomi le natiche con le mani. «Sto morendo, sto morendooooo». L'urlo si trasformò in un accesso di risa incontrollabile, e lei mi colpì sullo stomaco col giacchetto di jeans che teneva in mano.

«Fai poco la spiritosa, signorina», mi rimbrottò, sparendo in cucina. «Quelle mosse da circo risparmiatele per la palestra, ci siamo capite?»

Roteai gli occhi e mi alzai a sedere. «Bla bla bla. Sei proprio noiosa». Mi guardai intorno, aggrottando le sopracciglia. «Dov'è papà?»

«A fare la spesa». Uno sportello sbatté, seguito a ruota dal cigolio di un cassetto. «Ricordi dove ho messo i detersivi, l'estate scorsa?»

Entrai in cucina e feci un'altra verticale, bloccando i piedi contro gli stipiti della porta. Piegai le braccia e scesi in capovolta. «No. Hai guardato in cantina?» Dopodiché mi lanciai in una lunga serie di salti del cosacco, con la gamba sinistra piegata e l'altra ben distesa.

Cacciatori di Leggende - Plenilunio [VERSIONE DEMO]Where stories live. Discover now