A · Breathe · Ω

By StarCrossedAyu

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[Storia di FareaFire e StarCrossedAyu] |¦ ⭐ Classificata nella Long List degli Italian Academy Awards - Fanf... More

Introduzione
01. A e Ω
02. Gelo e Calore
03. Ostilità e Attrazione
04. Rischi e Vantaggi
05. Insicurezza e Complicità
06. Imprevisto e Inesorabile
07. Amarezza e Rassegnazione
08. Raro e Spontaneo
09. Ardore e Premure
10. Confidenze e Catene
11. Unione e Violenza
12. Riconciliazione e Partenza
13. Amore e Ritorno
14. Abitudini e Inconvenienti
15. Legami e Stranezze
16. Trionfo e Malessere
17. Inizio e Fine
18. Shock e Disperazione
19. Scelte ed Addii
20. Frammenti e Decisioni
21. Sorpresa e Contatto
22. Rimorsi e Sintonia
23. Respirare
24. Timore e Batticuore
AB... O - Breve guida all'Omegaverse

25. Epilogo

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By StarCrossedAyu

C'era un silenzio surreale mentre gli avvocati delle due parti controllavano i documenti, girando i fogli, facendoli frusciare. I loro occhi esperti valutavano la forma ed il contenuto, alla ricerca di una qualsiasi pecca che potesse fornire loro un vantaggio sull'avversario, o un appiglio per contestare e strappare una vittoria.

Non ne avrebbero trovati.

Levi Ackerman in persona aveva redatto quegli accordi, digitando lettera dopo lettera, componendo ogni frase nella sua forma migliore. Non c'erano trappole, tra quelle parole, ma l'inchiostro formava una fila di mura invalicabile, che avrebbe bloccato senza alcuna possibilità di fuga chi si fosse ritrovato a doverle sottoscrivere.

L'autore, con espressione impassibile e braccia conserte, sedeva sulla poltroncina alla destra di quella occupata da Petra Ral, al centro esatto del tavolo. Erano della donna le mani che sfogliavano i fascicoli, i quali presto sarebbero stati firmati e poi spinti dall'altro lato del ripiano di vetro lucido, scambiati con quelli di cui Zacharias stava per concludere la lettura.

Era gelida l'aria che si respirava nella sala riunioni, all'ultimo piano del palazzo in cui avevano sede gli uffici dello studio legale Smith & Zackley.

Per Levi, il compagno sembrava essere l'unica fonte di calore presente. Al suo fianco, Eren teneva i gomiti sul tavolo e le mani incrociate. I suoi occhi, fin da quando era arrivato, non avevano smesso un solo istante di guardare quelli di Erwin Smith. La sua insistenza aveva come unico obiettivo quello di far sentire l'Alpha il più a disagio possibile.

Se la circostanza non fosse stata così solenne, l'uomo avrebbe riso e non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di far notare quanto Erwin – autoproclamatosi re leone tra tutti gli avvocati della città – apparisse un topolino intrappolato tra gli artigli di un gatto.

Quest'ultimo non batteva ciglio, rigido, perfettamente immobile.

Alla fine era stato costretto a correre ai ripari. Nonostante i mezzi e – soprattutto – i soldi a disposizione, il proprio esercito di avvocati nulla aveva potuto contro le due carogne che ora si trovava davanti: un Omega tanto ambizioso da spingersi fino al tracollo fisico pur di arrivare dove mai avrebbe potuto, sotto il dominio del più forte; un Alpha spietato – per anni la sua arma migliore – che aveva morso alla gola il proprio padrone, sedotto dalla cagna in calore che aveva affianco.

Col senno di poi, non era troppo stupito che si fossero scelti e marchiati. Erano fatti della stessa pasta.

Eren non distolse lo sguardo da Smith nemmeno quando l'altro fu costretto a farlo, per poter prendere una penna dalla tasca della giacca e firmare i documenti che erano stati minuziosamente controllati.

«E con questo è tutto» disse Petra, chiudendo con un clic la propria biro con cui aveva firmato la medesima carta a propria volta.

Ciascuna delle parti coinvolte si impegnava, da quel momento, a deporre l'ascia di guerra. La class-action sarebbe stata chiusa ed archiviata.

Eren aveva speso notti insonni e giorni tormentati, rimuginando sulla scelta che Levi e Petra gli avevano messo davanti.

La richiesta di negoziazione, infatti, aveva fatto esultare l'intera squadra, tranne il più giovane del gruppo.

Accordarsi equivaleva a lasciar stare. Arrendersi. Perdere.

«Non dovresti essere così duro con te stesso» gli aveva detto Petra. «Patteggiare con Smith è più di quanto chiunque sia mai riuscito a conseguire. Tutte le persone a cui ha fatto del male riceveranno un risarcimento – una somma sufficiente a cambiar loro la vita – e la pubblicità negativa che si è fatto in tutti questi mesi non sparirà. È un ottimo risultato, Eren.»

Non era stato semplice farsi da parte.

Si sentiva però un egoista, un incosciente, un cieco per ogni secondo in cui aveva pensato che rinunciare a quel compenso e proseguire con la causa fosse la scelta giusta. Lui non aveva bisogno del denaro, ma molti altri sì. Chi era per mettere il proprio sterile sogno di vendetta davanti alle necessità di decine di famiglie?

Eppure faceva male – e avrebbe continuato a farlo, forse per sempre –, nonostante tutto.

Ral si alzò in piedi e tutti i presenti fecero altrettanto, in un coro unisono di abiti di prima qualità che frusciavano e feltrini impolverati che strofinavano sul pavimento, mentre le poltroncine venivano spinte all'indietro. Due valigette ticchettarono quando i documenti vennero sigillati al loro interno, al sicuro.

Auruo raggiunse la porta a vetri e ne afferrò la maniglia, spalancandola ed invitando Petra a varcarla per prima. Gli avvocati della ex parte avversaria cominciarono a radunare le proprie cose, uscendo dal lato opposto della sala.

Eren sentì lo sguardo di Levi su di sé. Immobile accanto al tavolo, non si sarebbe mosso fino a quando il proprio mate non l'avesse fatto, ponendo fine a quella guerra di sguardi che proseguiva quasi senza battito di ciglia ormai da troppo tempo. Quando l'avesse distolto, sarebbe stato tutto finito per davvero.

Il giovane si sistemò la cravatta. Sentiva una stretta alla gola ma sapeva che, per quanto l'avesse allargata, quella sensazione non sarebbe sparita. Non era causata da una fonte esterna, bensì dalla bestia che da giorni e giorni ringhiava e graffiava il suo stomaco, tentando di risalire in superficie. L'orgoglio che l'aveva quasi spinto a uccidersi, pur di non darla vinta a Smith, viveva quel momento come un alto tradimento. Aveva controllato le sue azioni per tanto tempo, come un burattinaio muove la sua marionetta, ma mai come nell'ultimo anno Eren era cresciuto ed aveva imparato a domarlo.

«Andiamo» disse, sistemando la poltroncina sotto al tavolo. Ignorò quello che sarebbe sempre rimasto il proprio nemico, tendendo una mano a Levi, invitandolo a stringerla ed andar via.

«Non è finita qui.»

La voce di Smith arrivò alle loro spalle – per la prima volta da quando si erano accomodati nella stessa stanza e respirato la stessa aria – spezzando il silenzio ostinato che aveva mantenuto per tutta la durata dell'incontro. Eren chiuse i pugni e si girò verso l'Alpha biondo.

«Ero pronto a sacrificare ogni cosa, perché finisse» rispose, avviandosi verso l'uscita. «Credevo di poter buttare giù il muro, ma mi sbagliavo; è un lavoro troppo grande per una sola persona. Ma ho creato una breccia, spingendoti all'angolo, e spianato la strada. Verranno altri dopo di me, Smith. Tu e il tuo ingiusto mondo non potrete nascondervi dietro i soldi per sempre. Non hai capito niente. Questo non è che l'inizio.»

Uscì dalla porta aspettandosi di sentire da un momento all'altro una replica tagliente, furiosa, arrogante; invece, le sue parole ricevettero solo silenzio.

E qualunque espressione Erwin Smith avesse in viso, ad Eren non importò di guardarla.

* * * * *


La quiete sembrava tangibile, una coltre fumosa e biancastra che riempiva lo spazio tra loro. Gli unici suoni a malapena percepibili erano quelli del motore che faceva le fusa sotto al cofano, e dei loro respiri regolari.

Levi cambiò la marcia, accompagnando la leva con eleganza.

Aveva sentito la collera di Eren, in quei giorni, percepito la sua frustrazione, provato la sua delusione nell'accettare che Smith non avrebbe pagato neanche un decimo di tutto il male che aveva fatto; anni di ostracismo, violenze psicologiche e morali ai danni di una minoranza che non doveva invidiare niente a nessuno, quantificati in una somma che non avrebbe sanato nulla di tutto questo. Era difficile da digerire per chiunque avesse lavorato alla class-action, nonostante il risultato, ma per loro era una doppia sofferenza. Per Eren, in particolare, era una vera e propria agonia.

Fermò l'auto nel parcheggio del piccolo ristorante, i lampioni che illuminavano a stento la strada. Il viso dell'Omega era a malapena visibile.

Levi allungò un braccio andando ad accarezzargli la nuca, le giacche dimenticate sul sedile posteriore. Il lieve mugolio che ricevette in risposta, lo invogliò a parlare.

«Sono fiero di te.»

«Se lo dici tu» rispose funereo, già allungandosi verso la maniglia della portiera. Non era dell'umore giusto per le chiacchiere, almeno per ora.

Avrebbero ordinato del cibo da portare a casa e, nell'attesa, niente e nessuno gli avrebbe negato un drink; ora che finalmente i gemelli erano stati svezzati, non c'era più alcuna ragione ad impedirgli di mangiare e bere quel che voleva, quando lo voleva.

L'Alpha lo seguì, assecondando il suo tacito volere. Il bond vibrava, intriso della rabbia repressa di Eren ma soprattutto del suo rimpianto per non essere riuscito a fare di più.

Entrarono dentro, masticando parole che avrebbero solamente provato a riempire quel momentaneo distacco. Erano una coppia, tuttavia ciò non significava che ognuno non necessitasse del proprio spazio. Levi lo sapeva bene: conosceva Eren troppo a fondo per non riuscire ad interpretare la postura rigida delle spalle, il modo in cui serrava la mascella e la frequenza con cui aveva legato più volte i capelli ormai lunghi in uno chignon disordinato.

Si accomodarono al banco e, dopo che la cameriera ebbe segnato l'ordinazione andando a riempire due boccali di birra, l'uomo fece scivolare la mano sul bancone, andando a sfiorare le dita del compagno.

Eren non si ritrasse. Perché avrebbe dovuto? Girò il polso e lasciò che il palmo della mano di Levi aderisse al proprio, che le dita si intrecciassero; poi appoggiò il gomito al bancone e la testa alla mano libera.

«Mi vengono in mente mille cose che avrei voluto dirgli e mi sto rodendo il fegato» confessò diversi minuti dopo, quando già un paio di sorsi del suo Rum&Cola erano entrati nel proprio organismo.

L'Alpha ruotò il bicchiere sul marmo scuro, lasciando che i cubetti di ghiaccio si urtassero per poi affogare nella vodka.

«Hai portato il peso di questa lotta così a lungo, sulle tue spalle, che forse un po' ti eri piegato a quelle regole non scritte.» Eren non si mosse ma Levi era certo, a giudicare da quanto veloce fosse il suo battito, che stesse ascoltando. «Tra qualche anno lo avresti scalzato, ma come? Fingendoti ciò che non sei, nascondendo la tua identità, sfuggendo al suo giudizio che, diversamente, ti avrebbe condannato nelle retrovie.»

L'avvocato premette il polso su quello del proprio mate, i marchi che combaciavano alla perfezione, bruciando al solo contatto.

«Oggi invece è stato Eren Jaeger – l'Omega – a far sì che il suo gioco gli si ritorcesse contro. Conosco Erwin e non dimenticherà mai l'umiliazione che gli hai inflitto perché sa che hai ragione: oggi non è stata la fine, ma solo il principio.»

Le stesse parole – nel suo caso di minaccia – che aveva rivolto a Erwin Smith, ora Levi gliele stava ripetendo.

«Sì, beh... Sognerò di prenderlo a calci in culo ancora un bel po', prima che mi passi...» disse, seguendo con il dito umido il contorno del bicchiere. Completati un paio di giri, alzò lo sguardo dal liquido scuro e lo girò sull'uomo che per tutto il tempo era rimasto pacato a guardarlo.

«Grazie, Levi.»

L'altro non parlò. Si limitò ad aumentare lievemente la stretta, prima di sorseggiare il proprio cocktail.

In un modo o nell'altro, ben due generazioni "Jaeger" avevano dato a Smith del filo da torcere. Non osava immaginare cosa avrebbe potuto combinare una terza... Chissà cosa aveva in serbo il futuro.

Non dovettero aspettare molto, prima che gli venisse consegnato il cibo da asporto. In altri tempi, avrebbero cenato fuori in qualche locale di lusso, lontano da tutto e tutti. Adesso, invece, non vedevano l'ora di tornare a casa, nel loro nido, dove due piccole pesti li stavano aspettando.

Mentre Levi guidava, Eren osservava fuori dal finestrino. La musica in sottofondo, l'aria fresca della sera, le luci della città che si preparava alla notte. Adorava quel momento della giornata, quello dove tutto rallentava.

Quando l'auto fu parcheggiata, Levi ne uscì per primo e fece il giro attorno al cofano per aprire la portiera al ragazzo. Eren gli allungò i sacchetti che aveva tenuto tra le gambe fino a quel momento, godendosi il lieve tepore dei cibi caldi che attraversava plastica e cartone.

Il palmo candido dell'uomo, che teneva la cena in quello opposto, non tardò ad arrivare. Un gesto abituale, non importava la circostanza: che fossero felici, stanchi, di malumore, o avessero persino litigato; Levi tendeva sempre la mano ad Eren, invitandolo accanto a sé, nel posto che gli spettava di diritto.

L'Omega la strinse come ogni volta, intrecciando le loro dita e sfregando delicatamente il pollice sul suo dorso vellutato fino all'ascensore.

Chiusi nel cubicolo, l'odore delle pietanze arrivò forte alle narici dell'Alpha, il cui stomaco iniziò a gorgogliare.

L'appetito di entrambi si stava risvegliando, e l'idea di mettersi finalmente a tavola era invitante più che mai.

Ma non potevano, non subito.

Usciti dall'ascensore, Levi si fermò accanto alla porta ed attese che Eren inserisse le chiavi nella serratura. A quel punto però, invece di girarle, l'altro iniziò a scuotere debolmente il mazzo, facendolo tintinnare. In pochi secondi, il suono delle chiavi ebbe come risposta flebili gridolini e rumori di giocattoli lasciati cadere sul pavimento.

Le loro labbra si tesero in un caldo sorriso mentre aprivano l'ingresso e l'odore di talco, latte e pelle morbida li investiva con dolcezza.

Leo aveva lasciato perdere i cubi – completamente sbavati – in un angolo del salotto, gattonando più veloce che poteva per raggiungere i genitori, perdendo un calzino lungo la strada. La sua era una corsa di gioia, ma soprattutto competizione con la sorella che già trotterellava sulle proprie gambe, dondolando il pannolino un po' troppo gonfio. La zavorra non le impedì comunque di giungere per prima alla meta, anche se di pochi secondi.

Hope si aggrappò alla gamba della madre, occhi adoranti e riccioli al vento. Eren la prese subito in braccio, la boccuccia della piccola arricciata in una muta richiesta, dandole un bacio sulla guancia.

Il mugugno di protesta di Leo, arrivato secondo per l'ennesima volta, durò molto poco. Il pavimento gli mancò da sotto le manine paffute e le ginocchia, sollevato agilmente dal padre che aveva afferrato il retro della salopette, portandoselo sul braccio e baciandogli i capelli arruffati.

Carla si alzò dal cuscino che aveva messo a terra per poter giocare coi bambini. Aveva un libro di favole aperto accanto a sé, che stava leggendo con voce delicata mentre i gemelli giocavano. Sapeva che la stavano ascoltando, anche se la loro attenzione sembrava essere concentrata su tutt'altro. Anche con il figlio era stato così, ed il risultato era qualcosa di cui la donna andava fiera.

«Avete fatto tardi.»

«Abbiamo preso da mangiare. Fermati a cena, mamma, è anche per te» rispose Eren, richiudendo la porta.

Levi appoggiò il sacchetto di plastica calda sul ripiano della cucina e cominciò a tirar fuori uno dopo l'altro i contenitori, con una mano sola perché l'altra era ancora occupata a reggere il figlio.

«Col profumo che sento non me lo faccio ripetere due volte» rispose lei, iniziando ad apparecchiare. «Com'è andata, comunque?»

Eren rispose con un mugolio, rimettendo a terra Hope per potersi togliere la giacca e la cravatta più liberamente.

«È andata come doveva andare» commentò l'Alpha, fornendo qualche dettaglio in più. «Non potevamo spingerci oltre, Smith nemmeno. Abbiamo patteggiato. Il lato positivo? I nostri clienti verranno risarciti, la Smith & Zackley avrà da fare con la pessima propaganda che le abbiamo fatto e la Reiss ha la squadra di avvocati più temuta della contea.»

Leo diede un paio di schiaffetti al padre, ancora intento a scartare la cena, esigendo la sua attenzione. Insomma, era impossibile che tanto sporco passasse inosservato, si era davvero impegnato affinché la saliva scorresse fino al mento...! Non appena Levi se ne accorse, infatti, corse a rimediare al disastro con il bavaglino, strappandogli un urletto divertito; gli piaceva molto essere ripulito, solleticato dalla spugna soffice.

«Mi sembrano buone notizie» commentò la donna, iniziando a preparare anche per i bambini qualcosa da mettere sui ripiani dei seggioloni cosicché potessero mangiare insieme a loro.

Si girò per cercare lo sguardo del figlio, ma Eren aveva abbandonato la conversazione e la stanza, chiudendosi in bagno.

Era davvero stanco di sentir parlare di Smith, della causa, di quell'intera dannata giornata che non aveva ancora ingoiato del tutto.

Aprì l'acqua calda e si tolse i vestiti. Riflesso nello specchio vide il proprio corpo di profilo e sui fianchi le smagliature lasciate dalla gravidanza, più scure rispetto alla carnagione della propria pelle. Non sarebbero mai andate via del tutto, tuttavia non era un grosso prezzo da pagare per aver messo al mondo i suoi due bambini.

Non aveva molto tempo, lo sapeva; provò comunque a godersi ogni minuto di quella doccia con cui sperava di lavar via pensieri e ricordi della giornata, proprio come aveva sempre letto nei romanzi, e visto nei film. Quella roba non aveva mai funzionato davvero, e odiava chiunque avesse cercato di farglielo credere.

Il suono della porta che si richiudeva, oltre quello dell'acqua corrente, non lo sorprese più di tanto.

«Sto bene» disse, continuando a sciacquare i capelli.

«Lo so. Volevo solo farti compagnia. La doccia è grande, può ospitarci entrambi.»

L'anta di vetro fu aperta e, insieme allo spiffero freddo, entrò Levi che subito andò a cingergli i fianchi, baciandogli una spalla.

Eren sospirò.

L'acqua calda non bastava a rilassarlo ma, combinata con Levi, l'effetto arrivava molto vicino a quello sperato.

«Mi aiuteresti con i capelli?» domandò a voce bassa, sufficiente a non farsi coprire dal suono dell'acqua. «Non ho voglia di stare con le braccia alzate...»

Non ebbero bisogno di parlare. Eren si accomodò sulla sporgenza in pietra che fungeva da seduta e Levi, lì accanto, impugnò il flacone di shampoo. Iniziò a massaggiare la cute con calma, aumentando la schiuma ad ogni lieve movimento, mentre l'Omega, col capo reclinato all'indietro, emetteva fusa sottili che solleticavano il suo udito fine. L'Alpha era contento di poter riservare una coccola al proprio mate senza il rischio di venire interrotti da qualche pianto disperato o rumore preoccupante.

«Va bene così?» chiese, grattandogli delicatamente la nuca.

«Sì... Bene» gli rispose, appoggiando la fronte al suo fianco. Levi osservò le sue spalle rilassarsi gradualmente, e vi passò due dita proprio al centro, giù lungo la spina dorsale fin quanto poteva arrivare.

Più tardi gli avrebbe fatto un massaggio, se ce ne fosse stata l'occasione.

«Levi... Ora che la causa è finita e avremo più tempo... Vorrei parlare del trasferimento» mormorò Eren, una volta che l'altro gli ebbe risciacquato ogni bolla di sapone dai capelli. «Hope già inizia a camminare, ed io vorrei davvero quel giardino in cui lasciarli giocare...»

«Mh...» mormorò in assenso. «Sarà un bel cambiamento. Ci sono molte zone residenziali, hai già in mente qualcosa?»

«No, niente di preciso... Ho dato un'occhiata generica a qualche sito di agenzie, recensioni di quartieri e scuole, le solite cose...»

I ruoli si invertirono e fu il turno di Eren di versarsi nella mano lo shampoo da passare tra i capelli del partner.

«Mi piacerebbe un villino a due piani, per dividere bene la zona giorno e quella da notte. Potremmo avvicinarci a tua madre» propose, sciogliendosi sotto le dita di Eren.

Un urletto acuto, proveniente dal salotto, fece scoppiare la bolla in cui si erano temporaneamente rinchiusi e – non senza un sospiro – i due si affrettarono ad asciugarsi.

Anche con Carla a tenere a bada i bambini, ora che sapevano che i genitori erano in casa reclamavano giustamente la loro compagnia, dopo una giornata passata a lavoro, lontano da loro. La causa di Smith li aveva tenuti occupati anche troppo, ma era stato l'ultimo sacrificio, necessario a chiudere il cerchio.

L'Omega si infilò velocemente i boxer e Levi si godette ogni singolo centimetro di pelle scoperta.

«Sei bellissimo, te l'ho mai detto?» disse, strofinandosi la testa.

«Qualche volta» rispose facendogli la linguaccia, prima di infilare una maglietta e uscire dalla porta del bagno ancora coi capelli bagnati. Un asciugamano appoggiato sulle spalle assorbiva le gocce che scivolavano lungo le ciocche scure.

Con il suo arrivo le grida si calmarono quasi all'istante e quando Levi si unì a loro poco dopo, asciutto e vestito, il compito di far finire ai due bambini il contenuto dei loro piattini era nel suo massimo svolgimento.

«È un aeroplanino quello o un Boing 747?» fece l'Alpha, inarcando un sopracciglio.

«Il boccone è della dimensione giusta, smettila» lo rimbeccò subito Eren, pulendo l'eccesso verde dalle labbra di Leo col cucchiaino. «Presto avranno tutti i denti, o vuoi continuare a frullargli carne fino alla maggiore età?»

«La mia era un'osservazione. Non è vero, Hope?» sorrise alla bimba nel seggiolone, coi codini di nuovo dritti e la tutina a macchie al sapor di carota. «Vieni da papà, tua madre stasera è ostile. Andiamo a guardare i pesciolini...»

«Se rovescia di nuovo tutto il cibo nell'acquario, il filtro lo pulisci tu!»

Già nella camera adiacente, Levi rispose sbuffando: «Sì, sì... Che ti dicevo, biscottino?»

Carla, sulla porta che si asciugava le mani umide, sorrise.

Eren non rispose più, concentrandosi su Leo che gli aveva afferrato il cucchiaio non appena si era distratto.

L'arrivo di Levi a portare via la bambina fu utile: concentrandosi su un figlio per volta, riuscì a farli mangiare entrambi e a dedicarsi infine al proprio pasto, cosa di cui aveva davvero bisogno dopo una giornata trascorsa quasi a digiuno per colpa dello stress.

Carla li lasciò subito dopo cena, salutando i nipoti ed i loro genitori con un abbraccio.

Ripuliti a vestiti per la notte, nelle loro tutine coordinate, i pargoli vennero portati nella loro cameretta.

Levi controllò che il baby monitor fosse acceso, mentre Eren metteva ognuno nella propria culla. Erano vicinissime – praticamente attaccate – in modo che i fratelli potessero vedersi, cercarsi e dialogare in quel modo unico tipico dei bambini. Rimboccò loro le coperte e i due, pieni e assonnati, chiusero gli occhietti in pochi minuti.

Dopo un ultimo bacio della buonanotte, la coppia si avviò in camera da letto. Eren si lasciò cadere all'indietro sul materasso, lanciando una pantofola poco lontano. Levi gli accarezzò i capelli, raggiungendolo un istante dopo.

L'Omega rimase in silenzio per qualche minuto, ad occhi chiusi, respirando lentamente come se fosse già sul punto di addormentarsi. Poi li riaprì, puntando lo sguardo sull'Alpha.

«Prendi il portatile, guardiamo le case» disse, a voce bassa.

«Sicuro? Non vuoi riposare?»

«Sono stanco, ma non ho sonno... Non riuscirei a dormire...»

Levi allora raccolse l'oggetto dal comodino. Si mise seduto, la schiena poggiata contro i cuscini e il pc sulle ginocchia, sollevando un braccio in attesa che il compagno lo raggiungesse. Eren si accoccolò al suo fianco un istante dopo, la testa sulla sua spalla mentre il sistema si avviava.

Le dita dell'uomo scorrevano tra le ciocche lunghe, un movimento rilassante, quasi ipnotico.

Forse in quella posizione avrebbe potuto addormentarsi, ma ora era incuriosito e interessato a esplorare la città insieme a Levi, con occhi nuovi. Ogni luogo gli sembrava diverso ora che, pensandoci, vi immaginava Hope e Leo.

Aprirono un'inserzione e lo sguardo dell'Alpha si fece improvvisamente interessato.

La facciata dell'abitazione era piuttosto rovinata, ma nulla che potesse impensierire in fase di ristrutturazione. Gli ambienti all'interno erano grandi, luminosi; la cucina poteva essere ingrandita abbattendo un muro, creando un open space. Perfetto, per guardare i bimbi giocare mentre si apparecchiava. Il giardino era poco curato ma promettente.

«Ha delle potenzialità» disse, cercando l'approvazione di Eren.

«Andrebbe sistemata» commentò lui, sfogliando le fotografie con un dito direttamente sullo schermo. «Avremo più tempo libero coi nuovi orari, ma credi che riusciremmo a seguire dei lavori? Non è meglio prendere qualcosa di pronto?»

L'uomo aggrottò la fronte, segno che stesse riflettendo intensamente su qualcosa in particolare.

«Ti sembrerà sciocco, ma... Guarda l'albero, qui.»

Allargò l'inquadratura sull'enorme quercia proprio accanto la casa, coi suoi grossi rami e le radici che affondavano in profondità.

Eren osservò in silenzio, sperando che il corvino gli venisse in aiuto e completasse il proprio pensiero.

«Una... Pianta?»

«Sì, Eren, è una pianta» replicò, asciutto. A dispetto della risposta lievemente sarcastica, tuttavia, la sua mano non smetteva un attimo di disegnare cerchi, figure astratte e lettere che si inseguivano sulla pelle dell'Omega, lungo la spalla appena scoperta.

«Io però vedo cosa può diventare; in cosa la posso trasformare.»

«... Una pianta più grande? Un mobile? Vuoi tagliare la pianta?»

Con la mano libera, Levi si massaggiò il volto stanco. «No, non voglio farne legna per il camino... Ovviamente dovremo accertarcene, ma questa quercia sembra abbastanza solida da costruirci sopra una casetta.»

«Una casetta su un albero? Vuoi crearne una davvero?»

Da principio Levi non riuscì a capire se il tono di Eren fosse scioccato, spaventato, divertito... Forse tutto insieme.

Dopo un primo momento di confusione, tuttavia, l'idea di avere una di quelle casette che aveva sempre solo visto nei cartoni animati non poté che far sorridere l'altro.

«Mi piacerebbe.»

«Anche a me. Ricordo che da bambino ne desideravo una dove potermi rifugiare quando volevo stare per conto mio...» confessò, tornando con la memoria ai giorni in cui lo zio rincasava più brillo che sobrio. «Vorrei che per i nostri figli fosse un luogo di divertimento, fatto di condivisione e complicità.»

Passarono i minuti successivi a fantasticare su come arredare gli spazi, giocando coi punti luce delle vetrate, sognando l'infanzia di Hope e Leo tra quelle mura già piene d'amore.

«Levi...»

«Mh?»

«Sono felice di non aver chiuso bene la porta a chiave, quella notte...» mormorò Eren, ignorando il portatile.

Si rigirò sul letto, cercando lo sguardo dell'Alpha che non tardò ad incrociare il suo.

Nel petto dell'uomo già iniziava a gorgogliare un quieto suono di fusa.

«Oh, Ere-»

«... E dopo averci pensato bene, ti perdono per essere entrato senza bussare» concluse, con un sorriso smagliante.

Ci fu un attimo di immobilità totale, dove il mondo intero sembrò fosse andato in pausa, compreso il cervello di Levi.

«Ah. Quindi adesso dovrei dirti "Grazie"...?»

«Sarebbe un gesto educato.»

«Converrai allora che sarebbe altrettanto educato, da parte tua, scusarti per avermi letteralmente investito col tuo profumo altamente erotico... Non trovi?»

«Certo che no, non è mia la colpa se ti sei catapultato nel mio ufficio.»

«Nemmeno mia che tu non abbia serrato la porta. Sono un uomo generoso e, vista l'ora tarda e la giornata estenuante, ti propongo un accordo...»

Il portatile venne fatto scivolare ai piedi del letto, in modo da avere ampio margine di movimento. L'odore dell'Alpha si fece gradualmente più intenso in un lento crescendo. Quel profumo esigente raggiunse le narici di Eren un attimo prima che il palmo dell'uomo accarezzasse il suo viso; un contatto delicato che però celava una richiesta, un bisogno tanto atteso.

«Potremmo dimenticare l'accaduto e seppellire l'ascia di guerra. Conosco un ottimo modo per farlo...»

Era quasi un anno che il calore dell'Omega, come natura chiedeva, non faceva la sua comparsa. Ciò non vietava ai due di dimostrarsi affetto ma, complici i primi mesi di adattamento alla vita da genitori, lo stress dovuto al lavoro e le attenzioni che i gemelli richiedevano, niente aveva reso facile un simile scambio di "effusioni". Quello sembrava decisamente un buon momento.

Eren si lasciò scivolare tra i cuscini trascinando Levi con sé. Lo fissava con occhi ilari, vagamente lucidi mentre rispondeva al richiamo del mate con fusa suadenti e un sorriso così sfacciato da irritare ed eccitare l'Alpha in egual misura.

«Sei bravo a contrattare, Ackerman, te lo concedo...» rispose, solleticandogli il marchio sul collo con le labbra. «Ma non finisce qui, sappilo. Non voglio dimenticare proprio niente...»

E mentre le loro bocche erano già pronte a incontrarsi un suono li fece raggelare, bloccandoli in quella posizione sospesa.

Senza parlare, entrambi scesero dal letto affrettandosi verso la camera dei bambini, da dove il baby monitor aveva trasmesso lo strano tonfo che li aveva messi in allerta.

Aprirono la porta e, una volta dentro, sorrisero.

La culla della bambina era vuota, tuttavia non faticarono molto per trovarla: doveva aver inconsciamente cercato il calore del fratello e, ostacolata dai listelli di legno, aveva scavalcato il confine per raggiungere il proprio obiettivo.

Hope e Leo dormivano sereni uno accanto all'altro, stretti in un abbraccio fatto di manine paffute, gambette accavallate e boccucce aperte.

Le dita di Eren e Levi si intrecciarono senza bisogno di cercarsi.

«Neanche io voglio dimenticare...» sussurrò l'uomo e il cuore dell'altro perse un battito, tornando al giorno in cui tutto aveva avuto inizio.

«Forse hai bisogno che ti rinfreschi un po' la memoria... Sai, hai una certa età...»

Un ringhio sommesso fu l'indignata risposta. «Te la faccio vedere io, l'età!»

Ridacchiando, Eren uscì dalla cameretta tessendo promesse con gli occhi e Levi richiuse delicatamente la porta per non svegliarli.

Leo mugolò stringendo il dito della sorella e questa ricambiò la stretta.

I gemelli sorrisero, persi nel mondo dei sogni dove tutto aveva il sapore del miele e il tepore di braccia confortevoli in cui sentirsi al sicuro. Si avvicinarono così, senza far rumore, formando coi loro corpicini morbidi un piccolo cuore.

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