Succederebbe Tutto - H.S.

By _ariannabianco

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Loro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè... More

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By _ariannabianco

N/A: Buonasera! Questo è l'aggiornamento speciale 2k letture (un po' in ritardo).📣 Invito tutti a leggere con attenzione il capitolo, perché ci sono dinamiche particolarmente essenziali per comprendere il resto della storia. Se qualcosa non vi è chiaro, non esitate a domandare nello spazio commenti. Buona lettura💖


Edith

«Dove siamo?»

Il palazzo in paramano svettava nel cielo, fendendo l'aria ed incombendo sulle me ed Heath, che stava cercando un nome tra le targhette poste accanto al portone.

«Da Ivor. Volevi rinforzi, no?» Suonò al citofono e io semplicemente annuii. Non avevo nulla da ridire, per ora.

«Chi è?»

«Sono l'amore della tua vita!» Sghignazzò Heath dal citofono.

«Ti piacerebbe, coglione.» Replicò Ivor prima di mettere giù.

Un ronzio ci avvisò che la porta fosse aperta, quindi la spinsi in avanti e lasciai passare Heath perché non sapevo a quale piano si trovasse l'appartamento di Blake.

«Perché non prendiamo l'ascensore?» Domandai seguendo il mio amico su per la prima rampa di scale, uno dietro l'altra perché erano piuttosto strette. 

«Perché l'ascensore o è lento o si blocca.» Scrollò le spalle e io sbuffai. «A che piano si trova?» 

«Il decimo.» 

«Il decimo?!» Sgranai gli occhi e lui rise. Ero già stanca ed eravamo solo al terzo piano!

«Cos'è?! Non dirmi che non hai più l'età di fare le scale!» Mi canzonò.

«Esattamente.»

Ricoprimmo le ultime rampe in silenzio, Heath salendole due a due e io con il fiatone, quasi stessi correndo la maratona. Dopo qualche minuto arrivammo al decimo piano, quindi mi fermai accanto ad Heath davanti alla porta di Ivor, che uscì raggiante. «Ciao, ragazzi! Ce ne avete messo di tempo, eh? Perché non avete preso l'ascensore?» 

«Heath ha detto che è lento o che si blocca.» Lo indicai alla mia sinistra.

Ivor, che stava bevendo una birra, per poco con si strozzò. «Dai, sei uno stronzo.» Disse all'amico ridendo sotto i baffi e: «È perfettamente funzionante, Edith.»

Mi voltai di scatto verso Heath e gli tirai un pugno sul braccio. «Vaffanculo.» 

Lui rise e, seguendo l'amico all'interno della casa, mi invitò ad entrare. Lo superai e lasciai che chiudesse la porta alle spalle. 

«Allora Edith, come stai? Ho saputo da Hailee che non te la sei passata bene ultimamente.» 

«Per niente Ivor.» Mi tolsi il giubbotto e lo passai ad Heath, che si offrì di andarlo a posare insieme al suo. «Te, invece? Ho saputo che ti sei fatto un giro in centrale, dopo l'ultima serata al Saturn. Ci sono rimasta malissimo, tra l'altro.» Gli confessai.

«Tutto a posto, Edith. Sai, è vantaggioso avere il padre della tua ragazza e del tuo migliore amico, capo del dipartimento!» 

«Paraculo!» Gridò Heath ritornando in salone. 

«Da che pulpito, poi!» 

Sorrisi divertita.

Mi piaceva il loro rapporto: non si prendevano mai troppo sul serio eppure c'erano sempre l'uno per l'altro. Non avevo mai avuto un'amicizia del genere. 

Ivor ci invitò a sedere intorno al tavolo rotondo e nero che si trovava in salone, quindi si stravaccò sulla sedia e intrecciò le mani dietro la testa rasata. «Allora? Perché tanta urgenza di incontrarmi?» 

«Sarò molto diretta.» Mi sistemai i capelli dietro le orecchie e congiunsi le mani davanti a me. «Ricordi quando ti ho chiesto se mi aiutassi a diventare Blue Gage la prima volta in università?»

«Si?» 

«Aspettate, voi vi siete conosciuti all'università?» Si intromise Heath sgranando gli occhi. Noi, d'altro canto, scrollammo le spalle. Non era poi così rilevante.

«Dovresti anche ricordare che ti ho confessato di doverlo fare per via di mio padre.» Fissai i suoi occhi mentre Ivor annuiva incerto. «Quindi?» 

«Mio padre è Aaron Reyes. In quel periodo ho scoperto che fosse ricercato dalla polizia.»

Ivor strabuzzò gli occhi e sbiancò. «Oh, cazzo! Quell'Aaron Reyes?!» 

Sollevai lo sguardo al soffitto. Perché avevano tutti la stessa reazione?
Non mi aiutava né a rimanere calma né ad evitare di perdere la testa.

Perché tuo padre è un criminale con i fiocchi? O forse perché, ad arrestarlo, è stato il signor Atkinson?

«È impossibile, Edith. Dimmi che stai scherzando.» La sua voce era tesa.

«Non scherzo. Sono sua figlia, ma questo non è rilevante adesso.» Provai a convincerlo, a convincerci, usando un tono risoluto.

«Ah no? E cosa lo sarebbe, allora?« Ivor rise nervosamente. «Ho aiutato la figlia di un criminale ai tempi pluriricercato a sparire. Grandioso, no?»

«Questo non vuol dire che lo sia anche lei, Blake.» Heath mi difese e io ingoiai il boccone amaro. Dovevo aspettarmelo, dopotutto.

«Comunque. Mia madre è morta come ben saprai, dato che è la notizia è ovunque.» Continuai con voce monocorde.

Ivor si passò le mani sulla testa rasata e sospirò. «No, non lo sapevo. Mi...dispiace?»

Sollevai le spalle. Della sua compassione non me ne facevo nulla, quindi andai oltre: «Il punto è questo: sono tornata a Manhattan e ho scoperto che Haywood si sta occupando dell'omicidio di mia mamma e che, di fatto, sia sulle mie tracce. Mi ritiene colpevole, credo.»

«Lo sei?»

«Ma ti sembra, Blake?» Questa volta mi difesi da sola.

Tirai fuori la lista dalla tasca dei pantaloni e Heath continuò ad illustrare la situazione. «Abbiamo un altro sospettato: Dez Stone, un amico di Aaron e Jane Reyes. Solo che non riusciamo a collegarlo.» 

 «In che senso, ragazzi? Non capisco.»

E allora gli spiegammo di Chicago, del RedMoon, dell'anagramma, di Haywood. Quando finimmo, Ivor prese la parola rivolgendosi a me. «Due cose: cosa c'entro io con questa storia e quali sono le tue intenzioni.»

«Te la cavi bene con la tecnologia, no?» Gli chiese Heath, che proseguì. «È possibile, per te, entrare nel computer di mio padre?» 

«Punto primo: io sono solo un grafico.» Fece una pausa. «E poi...Tuo papà ?! Il capo del dipartimento di polizia?! Mi prendi per il culo?!» Si passò le mani sulla testa rasata mentre sospirava profondamente.
«Oltretutto, perché dovremmo spiare nel portatile di tuo padre?»

Sembrava sul punto di perdere le staffe, perciò decisi di intervenire. «Mentre ero a Manhattan ho sentito il capo e la collega di Haywood cospirare contro di lui e a discapito di Royce Atkinson e che, tra l'altro, il caso che sta seguendo era del loro papà.» Indicai Heath.

Ivor aggrottò le sopracciglia, scettico. «Ma perché dovrebbero confabulare contro Haywood? Non sono loro ad averlo reso chi è oggi?»

«È quello che dobbiamo scoprire. Allora, puoi fare o no quello che ti abbiamo chiesto?» 

Heath ed Ivor si scambiarono un'occhiata complice e il nostro amico si arrese sospirando. A quel punto, quando Blake si alzò per prendere il computer, capii che lo avrebbe fatto. Quindi tornò da noi, sfilò da un cassetto dietro le sue spalle l'alimentatore, lo inserì nella presa e accese il computer. Mentre aspettavamo che si avviasse, però mise in chiaro la sua condizione: «Non dite nulla ad Hailee, però. Solo questo vi chiedo.» 

Quasi avesse avuto il sesto senso, la sua fidanzata gli inviò dei messaggi, che lui ignorò dopo aver inserito il silenzioso. Indugiò ancora qualche secondo sullo schermo, poi lo capovolse sul tavolo e sospirò, chiaro segno che avrebbe preferito di gran lunga risponderle. 

Heath si accostò a lui. «Scusa se ti ho trascinato in questa merda, ma se Edith è innocente, se davvero ha ragione e i colleghi di Haywood cercano di farlo fallire, è mio dovere aiutarlo. Sono suo fratello e non posso tirarmi indietro.» 

«Tranquillo.» Ivor digitò qualcosa al PC e si rivolse direttamente a me: «A proposito, non sapevo che tenessi ad Haywood, Edith.»

«E io non ero nemmeno al corrente che tu sapessi si fossero incontrati.» Commentò Atkinson per cambiare discorso.

«Hailee parla molto.» Sorrise verso lo schermo. Era vero, d'altronde: la parlantina era uno dei marchi di fabbrica di quella ragazza.

«Infatti non tengo a lui. Mi interessa solo che non venga ostacolato mentre cerca di fare giustizia per mia madre.» Precisai incrociando le braccia al petto.

Probabilmente la mia affermazione intrisa di egoismo poteva essere dura da digerire per il fratello, ma l'espressione di Heath era piuttosto normale. Anzi, lasciò persino intendere altro, mentre mi guardava. 
Rabbrivii e il cuore mi schizzò in gola.
Lui sapeva, io sapevo, ma nessuno dei due lo avrebbe confessato all'altro. 

«Ma non sarebbe più oppor-» Ivor provò a replicare, però lo stroncai sul nascere: «No, non è meglio che lui lo sappia.»

Prima che si potesse scatenare un dibattito, Heath si intromise. «Hai trovato qualcosa?» 

«Mi ricordi il nome di tua mamma?»

«Jane Reyes o Turner.» 

Digitò qualcosa e si crucciò. «Okay, su di lei non c'è niente, però esiste una cartella su Aaron Reyes.»

Interessante. Davvero, davvero, interessante.

«Aprila, che aspetti?» Mi avvicinai con la sedia ad Ivor per vedere meglio schermo. L'occhio mi cadde subito su un'ulteriore file, denominato Dez Stone. 

«Puoi vedere il contenuto?» Lo indicai ad Ivor, che però trovò una cartella criptata dopo averlo selezionato. «Posso decriptarlo, ma ci andrà tempo.» 

Mi guardò si sfuggita ed io annuii, perciò digitò ancora qualcosa ed avviò il processo di decrittazione del file. «Volete qualcosa da bere, nel frattempo?»

Sia io che Heath acconsentimmo, quindi Ivor si spostò in cucina lasciandoci soli ed in silenzio. Pochi secondi dopo il suo telefono, che era rimasto sul tavolo in salone, tornò a vibrare. Il mittente era lo stesso: Hailee. Guardai Heath, che sospirò.  «Ehi Ivor, mia sorella ti sta chiamando ancora. Forse dovresti risponderle.» 

Evidentemente Cindra non era stata capace di calmarla.

Quando Ivor tornò dalla cucina con le mani piene di bottiglie di birra, fu troppo tardi: Hailee aveva messo giù. Senza commentare posò tutto sul tavolo, prese il cellulare, digitò qualcosa e lo riappoggiò sospirando.
Sembrava che avesse già capito ogni cosa.

«Avanti, cos'è successo?» Rassegnato, quasi fosse stato abituato a quella situazione, Ivor passò prima una bottiglia di birra ad Heath e poi l'altra a me.

«È successo nostro fratello, come sempre. Non è tornato con Edith perché ha del lavoro da sbrigare e a lei manca. Tutto qui.» La neutralità con il quale rispose, scrollando le spalle e strappando la birra, mi fece quasi innervosire.

«Come fai a dire tutto qui? Sai quanto sia importante per Hailee, Heath.»

A quel punto non riuscii a trattenermi e: «Perché non si parlano allora? So per certo che entrambi tengono l'uno all'altra.» Risposi.

Fin dalla prima volta in cui avevo incontrato Haywood, sin dalla sera del mio quasi arresto, lui non aveva mai smesso di ricordare la sorella e sottolineare quanto avesse fatto e stesse facendo per lei, per rendersi un fratello meritevole e migliore. E allo stesso modo Hailee dietro i suoi scatti di rabbia, le sue parole pungenti e la sua sicurezza, nascondeva il grande affetto che continuava a nutrire per suo fratello. Ed era quindi ingiusto che, per una serie di incomprensioni infinite, non riuscissero a trovarsi. Perché si volevano bene e non meritavano di star separati.

«È complicato.» Dissero all'unisono Ivor ed Heath.

Cosa c'è di complicato nell'alzare la cornetta del telefono e chiamare? Avrei voluto dire loro, ma poi rimasi in silenzio perché nemmeno io ero stata in grado di farlo con Haywood. Solo...Mi dispiaceva vedere due persone che, pur essendo emotivamente vicine, erano così dannatamente distanti.

«C'è qualcosa che posso fare per Hailee?» Si informò Ivor bevendo un altro sorso di birra mentre si rivolgeva ad Heath, che gli strinse una spalla con fare fraterno. «Continua a trattarmela bene, sempre. Solo questo.» 

Non riuscii a trattenermi, quindi mi intromisi: «E non credi che per trattarla bene, lui dovrebbe raccontarle che fa ancora documenti falsi?» 

«Quindi dovrei raccontarle anche di te?» Scattò Ivor. 

Feci per aprir bocca, ma non non emisi alcun suono. Forse, dopotutto, non era una buona idea quella di svuotare il sacco.

«Appunto.» Sospirò e Heath lo abbracciò.

«Mi dispiace tanto, Ivor.» Si staccarono, quindi Blake lo sguardo negli occhi con un sorriso tirato.
«Siamo una famiglia, no?» 

In quel momento, il rumore di una notifica sul computer attirò la nostra attenzione e fece cadere la conversazione. «Per Haywood questo ed altro.»

Ivor ci invitò a raggiungere il suo PC, sul cui schermo si era aperta una finestra contenente i files decriptati.
Heath si appoggiò allo schienale dietro le spalle del suo amico e allungò il collo per vedere meglio. Infine, leggendone il contenuto, strinse i pugni intorno al ferro della sedia. «Tutto qui? Solo dei vecchi tabulati telefonici di Dez Stone?» 

Mi sporsi anch'io per vedere meglio: sul desktop c'erano ben cinque pagine di chiamate e di messaggi in entrata e in uscita con la rispettiva ora e datazione, ma niente che al primo impatto sembrasse rilevante. Quindi perché il file era stato secretato?

«Heath credo che tu non abbia notato uno dei mittenti, cazzo.» Ivor sollevò il mento per sollecitare l'amico a prestare maggiore attenzione.
Mi incuriosii e assottigliai lo sguardo per notare cosa ci fosse di tanto importante. Quando lo realizzai, sgranai gli occhi: in grassetto capeggiava il nome di Gyles.

«Oh porca puttana.»

«Già.» Heath ed Ivor si scambiarono uno sguardo ricco di sottintesi, cui sfortunatamente non mi era dato sapere.

«Pensi che dovremmo chiamarlo?» Chiese Blake ad Atkinson. «Assolutamente.» 

E, a quel punto, non capendoci nulla di quella conversazione e stufa di essere tagliata fuori, intervenni. «Chi dobbiamo chiamare, scusate?»

Ma nessuno mi rispose.

***

Quando chiusi il rubinetto suonarono al campanello. Mi asciugai il viso, le mani, e mi guardai un'ultima volta allo specchio. Osservai la mia immagine riflessa e feci una smorfia perché era terribile: avevo due cerchi neri intorno agli occhi nonostante avessi passato tutta la giornata di ieri a dormire, e avevo i capelli gonfi e appiccicaticci pur avendo fatto una doccia prima di partire da Chicago. Provai a sistemarli in una coda bassa, ma il risultato fu scarso dal momento che furono più i ciuffi sparati in aria che quelli legati. Sbuffai e, sentendo Ivor ed Heath accogliere il nuovo arrivato, uscii dal bagno. 

Chiusi la porta dietro le mie spalle e, curiosa fino al midollo di sapere chi avessero contattato, mi incamminai verso il salone. Lo raggiunsi, mi aggiustai la maglietta e alzai lo sguardo.

«Cosa cazzo ci fa lei qui? Pensavo fosse sparita!»

Sbiancai all'istante e, non appena mi ripresi dallo stato di shock, fui sul punto di perdere le staffe. «Cosa diamine ci fai tu, qui!» 

Montgomery Johnson, in tenuta da motociclista, con il casco in una mano e le chiavi dall'altra, la solita bandana blu sistemata al di sotto del ciuffo e le labbra serrate, mi stava guardando contrariato. 
Il sentimento è reciproco.Avrei voluto dirgli, ma preferii rivolgermi ai miei amici. «Perché l'avete chiamato?» 

Mi ricordavo che, un tempo, Montgomery fosse stato amico di Haywood, ma non riuscivo a capire il perché lo convocassero soltanto adesso.
Stavamo parlando di Dez Stone, Royce Atkinson, di Gyles, cosa ci azzeccava lui? E supposto che lo avesse fatto, seriamente Ivor ed Heath pensavano che mi sarei rivelata, raccontandogli tutto? No, erano proprio fuori pista.

L'ultima volta Montgomery aveva fatto il moralista con me, provando a rifilarmi dei consigli non richiesti, e io mi ero arrabbiata. Così avevo risposto giocando la carta della spavalderia, del 'dì pure cosa vuoi perché non mi tange' , e lo avevo fatto perché avevo creduto di riuscire a sfruttare al meglio le mie opportunità.
Invece avevo fallito, confermando quanto lui avesse avuto ragione, e adesso non ero psicologicamente pronta a sorbirmi un'ulteriore predica non richiesta. Come non sarei riuscita a tollerare il suo sguardo compiaciuto o assistere al gonfiarsi del suo ego non appena gli avessi chiesto di partecipare al mio piano, perciò di aiutarmi. 

«Perché fa parte della squadra e può essere utile al caso.»

«Io non aiuto questa smorfiosa ed insolente traditrice.» Sputò con cattiveria Montgomery aprendosi il giubbotto di pelle: «E nemmeno voi dovreste. Questa vi accoltella alle spalle appena possibile.»

A quel punto scattai. Era troppo da sopportare in silenzio. «Ma vaffanculo!»

Provai ad azzerare le distanze agitando un pugno in aria, direzione il suo naso, ma fui trattenuta per la vita. 

«Avanti, avvicinati. O forse hai paura che ti finisca come l'ultima volta?!»

Continuai a dimenarmi. 

Montgomery avanzò, però Heath lo fermò per il petto e si interpose tra noi. «Possiamo, per favore, mettere le divergenze da parte per concentrarsi su quello che abbiamo trovato?»

Ci guardammo in cagnesco per qualche minuto, io tentando di placare il prurito alle mani e Montgomery stringendo le sue in un pugno, quindi ci andammo a sedere l'uno di fronte all'altra in rigoroso silenzio. 

«Allora, perché sono qui? Qual è l'urgenza?» 

«Gyles.» Replicò Heath.

«Gyles?» Domandammo all'unisono io e Montgomery. E io che credevo ci fossimo riuniti per indagare sull'omicidio di mia madre.

«Abbiamo trovato questi vecchi tabulati telefonici di Dez Stone.» Ivor fece scivolare sul tavolo i fogli che avevo stampato. «E guarda chi è uno dei mittenti?»

Montgomery, dopo aver letto, strinse i pugni, boccheggiò e sbiancò. Sembrava che avesse appena fatto una doccia fredda, ma cosa c'entrava lui con Gyles? Erano stati amici, fidanzati, conoscenti? Haywood non lo aveva nemmeno menzionato durante il viaggio. «Chi è Dez Stone

Ivor ed Heath si girarono contemporaneamente verso di me, che incontrai lo sguardo perplesso di Montgomery. Rimasi in silenzio, non sapendo che altro fare.
Si aspettavano sul serio che gli avrei raccontato la verità sul mio conto? Mentre Blake ed Atkinson li conoscevo, e di loro mi fidavo, di Johnson non sapevo nulla. Perché avrei dovuto rivelarmi a lui?
Gli avevo risposto male, avevo mandato in carcere i suoi amici. Si sarebbe vendicato sicuramente.

«Cosa diamine c'entri tu con Gyles?!»

«Niente!» Scossi il capo e incrociai le braccia al petto.

«Avanti, Edith. A lui puoi dire ciò che hai detto a noi. Credimi.»

«Come dicevo, a differenza tua, io copro le spalle a chi mi aiuta.» C'era un sottile e velenoso sarcasmo nelle sue parole.

«Aiutare?! Sul serio?! Sono quasi morta per colpa di quel bastardo!» Colpii il tavolo e mi alzai in piedi.

Montgomery mi imitò. «Se avessi tenuto a freno la tua linguaccia, forse non sarebbe accaduto bambolina

Ivor ed Heath abbandonarono le loro sedie, pronti ad intervenire nel caso in cui fossi scattata ma, sebbene avessi avuto voglia di saltargli addosso, contai fino a dieci e mi sedetti. 

«Bene.» Lo guardai con aria di sfida. «Allora penso che terrò a freno la mia linguaccia, adesso.»

Sentii Heath borbottare e Ivor dire a Montgomery: «Devi proprio fare lo stronzo ora?»

«Ascoltate, è una saccente di merda. Mi sta sul culo. Okay?»

«La cosa è reciproca, tesoro.» Lo canzonai.

Johnson sbuffò. «Mi avete chiamato perché era urgente. Bene. Perché il nome di Gyles compare venti volte. Chi cazzo è questo?» Sventolò i tabulati.

«Dez Stone è un amico di Aaron Reyes e di Jane Turner.»

Montgomery sgranò gli occhi. «Aaron Reyes? Quello del circolo di droga e prostituzione minorile?»

I suoi amici annuirono e io osservai la scena in silenzio. Quello era mio padre e me ne vergognavo oltre ogni limite.

«Perché Gyles lo contattava? Tu sei una di loro? Ecco perché avevi bisogno di documenti falsi.» Si rivolse a me. 

Sebbene fosse incazzato, il suo sguardo preoccupato lo tradì. Sembrava quasi terrorizzato all'idea che lei, con cui il legame era a me ignoto, avesse fatto parte del giro di mio padre. Al solo pensiero, i brividi scossero anche me. Tuttavia ricordavo di non averla incontrata nemmeno una volta, neanche per sbaglio.

«No e no.» Risposi sia per l'accusa che per i documenti falsi.

«E allora chi sei?»

«La figlia.»

Alternai nuovamente lo sguardo tra Ivor ed Heath, che mi stavano suggerendo di parlare, e alla fine mi arresi e confessai. Montgomery aveva abbandonato l'aria strafottente e aveva lasciato spazio ad un'espressione sconvolta. Sembrava seriamente coinvolto nella faccenda di Gyles, per cui avrei potuto usare quel nervo scoperto per tutelarmi. Così, se non avesse voluto collaborare, avrei fatto leva sui suoi sentimenti per minacciarlo sottilmente e per impedire che parlasse.

«Di Dez Stone

«Di Aaron Reyes.» Scrollai le spalle.

«Oh merda!» Imprecò togliendosi la bandana e passandosi una mano tra i capelli. «Ho bisogno di bere. Siamo sicuri che dica la verità?»

Ivor prese una birra e la fece strisciare sul tavolo fino a Montgomery, che la prese e la stappò con il cavatappi appeso alle chiavi della moto. Fece saltare il tappo, che roteò per terra, e ne bevve un lungo sorso. Infine si asciugò le labbra con il dorso della mano e mi indicò con fare minaccioso. «Perché sei qui? Sei per conto di tuo padre?»

«No.» Mi difesero prontamente Heath e Ivor.

«Perché io sono convinto del contrario. Andiamo ragazzi.» Si stravaccò contro lo schienale. «Lei spunta all'improvviso, chiede dei documenti falsi, si fa assumere al Castillo's, trascorre del tempo con Heath e Hailee, e dulcis in fundo Gyles è coinvolta con Dez Stone..È tutto chiaro. L'ha mandata suo padre per fare la spia, per vendicarsi di Royce. Vero?»

Ivor ed Heath rimasero in rigoroso silenzio e io rimasi freddata. Non avevo ancora fatto i conti con quella prospettiva e, davanti alle accuse di Montgomery, mi sentii morire dentro realmente.
E se anche Haywood, nonostante tutto e una volta scoperta la verità, avesse finito per pensare la stessa cosa?
Mi avrebbe ridotto in polvere con uno schiocco di dita.

«Assolutamente no. C'è un motivo se sono rimasta nascosta per tutti questo anni, non credi? Io sono qui per mia mamma.» Mi allungai sul tavolo per prendere la sua birra e ne bevvi un bel sorso. Dopotutto, quella conversazione non si poteva essere affrontare con la mente lucida. «È morta.»

La bevanda ambrata scivolò lungo il vetro facendo rumore. «Dovresti saperlo. La notizia è ovunque.» 

Non mi riconoscevo più per quanto gelida e apatica fosse diventata la mia voce. Però era meglio così: più mi distaccavo dalle emozioni, più riuscivo ad agire con senno. Lo avevo imparato negli ultimi anni e, anche se lo avevo accantonato per un po', il mio manuale di sopravvivenza restava ancora valido e ben collaudato. Per questo, era giunto il momento di ritirarlo fuori.
I sentimenti offuscavano la mente e gli ultimi giorni ne erano stata la dimostrazione, perciò avrei separato il cuore dalla mente.

«Ascolta, Bandana Blu. Anche se tra noi c'è qualche attrito, mi sembri un tipo sveglio.» Mi alzai, feci il giro del tavolo e mi sedetti dalla parte di Montgomery. Adesso ce l'avevo di fronte e a pochi centimetri. «Tu sei qui per Gyles, io per mia madre, Ivor per Hailee e Heath per Haywood. Capisci dunque che abbiamo tutti un motivo valido per collaborare. Pensi di riuscirci?»

«Ha-Haywood?! Perché cazzo salta fuori lui, adesso?!» Guardò Ivor ed Heath, sconcertato. Poi ricordai: al Saturn Montgomery mi aveva confessato di esser stato per tanto tempo amico degli Atkinson e che dopo, per una brutta storia, era stato allontanato. Che fosse stata proprio Gyles, la causa? «E come diavolo fai a conoscerlo, tu?!»

Scrollai le spalle, quasi non me ne importasse. «Ricordi la notte in cui il tuo amichetto ha cercato di uccidermi? Beh, dopo il fratellino Atkinson mi ha arrestata.»

«Oh cazzo, ma sei seria?» Irruppe Ivor colto di sorpresa mentre mi voltavo verso Heath, che fece finta di chiudersi la bocca e di gettare la chiave.

Feci un piccolo sorriso storto: non lo aveva raccontato a nessuno. Forse era più fedele di quanto pensassi. O, forse, stava semplicemente tutelando la reputazione di suo fratello.

«Comunque, tornando a noi. Haywood sta seguendo l'indagine sul presunto suicidio di mia mamma. Lui è convinto che si tratti di omicidio, però. E, da quel che ho capito, sospetta che ci sia un collegamento tra Dez Stone l'uomo che è stato ucciso a Chicago

«Non mi avevi detto che l'uomo fosse di Chicago.» Commentò Heath piuttosto loquace. Aggrottai le sopracciglia confusa dalla sua reazione, ma lasciai perdere. Dunque chiesi ai ragazzi di passarmi la lista e indicai una riga. «Combinazione, l'uomo ucciso si chiama Zed Ontes. Vi viene in mente qualcosa?»

«Oltre al fatto che pensi che tu sia coinvolta in questo omicidio?» Tentò di fare sarcasmo Montgomery ma: «Sì, sono Elle Hunt se ti interessa.» Decisi di assecondare il suo umorismo nero. «Era un mio cliente ma non l'ho ucciso.»

«Cliente?» Sollevò un sopracciglio prendendo in mano le fotocopie dei tabulati telefonici. «No, sai cosa? Non lo voglio sapere.» 

Sospirò e io con lui: ormai eravamo rassegnati all'idea di essere in una situazione di merda e senza via d'uscita. «Torniamo ai messaggi di Gyles. Si rivolgeva a Dez chiamandolo Zed o signor Ontes. Non può essere una coincidenza.» 

Ivor si messaggiò le tempie. «Ma come possiamo sapere con certezza che siano la stessa persona?»

«La sim è intestata a Zed Ontes. Più chiaro di così.»

«Sì, ma io non ho ancora capito cosa c'entri la madre di Edith.» Dichiarò Ivor e Heath annuì.

«Pronto? Haywood è convinto che sia stata io ad ucciderli. Perché avrei dovuto farlo? Per vendetta, suppongo. Per mio padre.» E dovevo assolutamente togliergli quell'idea dalla testa.

«Ed è così?» Mi domandò Montgomery.

«No! Diavolo no!» Scossi energicamente il capo. Ero una bugiarda, non un'assassina. «Ma potrebbe aver agito Dez Stone per conto di mio papà. E se mia mamma avesse scoperto dell'altro e, per metterla a tacere, loro le abbiano fatto volutamente del male?»

Ci avevo riflettuto a lungo mentre raggiungevamo casa di Ivor e mi sembrava una valida pista da seguire.

«Rimane il fatto che siano tutti morti, perciò cosa cambierebbe? Anche se fosse vero, non potrebbe finire in prigione quell'uomo.»

Siccome Montgomery sembrava stesse perdendo lo spirito di iniziativa, e dato che io avevo un disperato bisogno che tutti e tre collaborassero con me, decisi di giocarmi la carta vincente. «E di Gyles non ti importa? Non vuoi sapere se sia stato proprio Dez Stone ad ucciderla?»

Montgomery e Ivor mi guardarono sorpresi: evidentemente nessuno dei due si aspettava che io sapessi della morte della ragazza.

«Gyles si è uccisa da sola, Ross. Si è voluta sballare con il nostro amico.» Diede una pacca sulla spalla di Blake, che abbassò lo sguardo, e io sgranai gli occhi: «E ha finito per esagerare.»

Montgomery si alzò in piedi e si spostò vicino alla finestra, dove sorseggiò un altro po' di birra. Non sembrava se la stesse passando bene. «Tuttavia mi interessa sapere perché Gyles fosse in contatto con l'amico di Reyes, quindi ci sto.»

Heath mi guardò compiaciuto, quasi avesse voluto dire "Hai visto? Avevo ragione io.", e io annuii. Anche se non ero del tutto sicura che avrei potuto fidarmi ciecamente del loro amico.

«Ma toglimi una curiosità, Ross. Haywood lo sa? Sa chi sei?»

«Non deve saperlo.»

Montgomery coprì un sorriso furbo con la bottiglia, quindi scosse il capo e ritornò da noi. Intanto Ivor si era allontanato dal salone per rispondere ad Hailee, che aveva richiamato. «Perciò mi stai dicendo che hai una pista, ma che non vuoi rendere partecipe Haywood quando sta lavorando sul caso?» Alzò un sopracciglio. «Non ha senso. Lui è l'ispettore, non noi.»

«Mont, ragiona. Come reagirebbe Haywood se sapesse che, forse, l'uomo che ha assassinato Jane avesse a che fare anche con Gyles?» Heath gli toccò un braccio mentre si alzava. «Ha appena ripreso in mano la sua vita, si è risollevato dopo anni.»

«Quindi tocca di nuovo a noi fare il lavoro sporco.» 

Montgomery rise rassegnato, e io mi chiesi se ci fosse stata una terza versione della storia, un altro punto di vista da osservare, quello dell'amico che sembrava essersi rimboccato le maniche per poi venir tagliato fuori. Mentre le osservavo scolarsi un'altra birra con lo sguardo perso nel vuoto capii che forse, tra tutti i presenti, Montgomery fosse stato il più adatto collaboratore per affrontare questa situazione. I suoi sentimenti, la sua passione, le sue emozioni bruciavano.

«C'è dell'altro.» I suoi occhi incontrarono i miei. «I tuoi amici non mi credono, ma ho sentito il superiore e la partner di lavoro di Haywood complottare contro di lui.» Mi avvicinai. «Non ho idea del perché, ma sono interessati al caso che sta seguendo. All'inizio Haywood ha rifiutato il trasferimento e il capo lo ha sospeso. Tuttavia sapeva che lui non si sarebbe fermato e aveva supposto sarebbe andato a Chicago. E se fosse stato tutto parte di un piano?»

Se fosse stato qui, Haywood mi avrebbe minacciato per aver raccontato ai suoi amici quello che era successo, ma era necessario. Anche per lui, per il suo bene. «La sua collega era preoccupata che lui potesse scoprire di Dez Stone, ma è lì che ho sentito dire che fosse pulito, che Haywood non avrebbe trovato nulla.»

«Immagino non l'abbia fatto.» Commentò Montgomery.

«Abbiamo trovato solo il nome di Zed Ontes.»

«Che, combinazione, era uno dei sospettati di mio papà.» Aggiunse Heath.

«Che, però, nella cartella era sotto il nome di Dez Stone e affiancato a quello di Aaron Reyes.»

«Lo stesso che comunicava con Gyles.» Puntualizzò.

Annuii. «E che era un amico di famiglia e che, a quanto pare, potrebbe esser rimasto vicino a mia mamma.»

«Cazzo.» Heath si passò le mani tra i capelli.

«È una roba grossa, porca puttana.»

Rimasi in silenzio. Non c'era altro da aggiungere, d'altronde. Era una questione di enorme portata, lo sapevo, ma speravo anche che unendo le forze avremmo potuto affrontarla. Infondo ognuno di noi era motivato da una giusta causa, e tutti avevano un obiettivo comune, ossia fare giustizia a favore delle persone che amavamo.

E sì, tra noi c'erano molte divergenze.
E sì, avendo caratteri diversi ma ugualmente forti, ci saremmo contrastati.
Ma eravamo anche intelligenti, leali e capaci di giocare in squadra.

E sì, fino a quel momento avevamo combattuto separati. 
Ma questa volta sarebbe stato diverso.

Haywood ci aveva reso differenti.
Ci aveva unito.

«Allora, che dite? Ci state?» Domandai.

«Sì, ci stiamo.» Heath allungò la mano e Montgomery disse: «E magari gridiamo pure merda merda merda? Non faremo questa cosa, lo sai?» 

«Come sei antipatico, Mont.» Alzò gli occhi al cielo. «Qual è il piano?»

Risi.

«Pensate di potermi mandare un messaggio con le istruzioni?» Ivor fece irruzione nel salone catturando la nostra attenzione. «Non voglio fare il guastafeste, ma Hailee sta arrivando ed è già sconvolta. Preferirei non ci scoprisse a confabulare tutti insieme.»
Chiuse il portatile e lo posò insieme all'alimentatore nel cassetto dietro le sue spalle.

«Ci stai cacciando?» Gli chiese Montgomery scuotendo il capo.

«Sì, fenomeno. Ci sta cacciando.» Replicai lanciandogli la giacca da motociclista in faccia.

«Ivor...» Lo ammonì Heath chiudendo la zip del suo paravento mentre mi infilavo il mio giubbotto.

«Sì, te la tratto bene.» Sollevò gli occhi al cielo e ci accompagnò verso l'uscita. «Vi mando un messaggio appena Hailee se ne va. Voi acqua in bocca.»

«Come sempre fratello.»

«Grazie.»

Dopo averci sorriso, Ivor chiuse la porta e ci lasciò soli sul pianerottolo. Finii di coprirmi, perché non volevo riprendere la febbre e, con il cuore più leggero, seguii i due ragazzi giù per le scale.

«Dite che faranno cose sporche?» Scherzò Montgomery, che si prese una sberla sulla nuca da Heath. «Dico che te le prendi se mi ricordi che la mia sorellina fa certe cose con il mio migliore amico.»

Nascosi un sorriso.

Era bello constatare che, dopo l'ultima ora, qualcuno avesse ancora voglia di ironizzare.

Perché io stavo per impazzire.

Soprattutto perché mentre provavo a tenere separati mente e cuore, stavo già progettando la prossima mossa.
Ma prima dovevo procurarmi una cosa. «Allora, avete del tempo per accompagnarmi a comprare un cellulare?»

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