Succederebbe Tutto - H.S.

By _ariannabianco

6.5K 347 537

Loro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè... More

00
01
02
03
04
05
06
07
08
09
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
40
41
42
43
44
45
46
Avviso Importante: è richiesta la vostra collaborazione😛
47
48
49
50
51
52
53

39

84 7 8
By _ariannabianco

N/A: come promesso, secondo aggiornamento! Buona lettura.💖


Haywood

«Ehi, tu!» Stavo per varcare l'ingresso dell'albergo quando mi sentii richiamare.

Mi voltai e, dall'altro lato del marciapiede, vidi Edith uscire dal bar con due bicchieri di carta in mano. Incerto sul suo possibile umore, alzai una mano per salutarla e lei mi fece cenno di raggiungerla. Seppur scettico, decisi di acconsentire, quindi attraversai la strada facendo attenzione alle auto e la seguii fino ad una panchina, dove Edith si era seduta mentre mi aspettava. 

«Ciao, ispettore.» Mi sorrise e mi passò un bicchiere di carta bollente. Lo accettai, ringraziandola, e mi accomodai accanto a lei.

Ero confuso: perché era di buon umore? Come mai non mi stava aggredendo? L'ultima volta che avevo controllato, io ed Edith avevamo discusso mentre adesso mi aveva offerto...Che cosa mi aveva passato esattamente?

«Cos'è?» Diedi voce ai miei pensieri.

«Cioccolata calda.»

«Grazie.» Alzai un sopracciglio, sorpreso. Ero convinto di trovarla furiosa. 

Non sapendo come interpretare il suo gesto e per giustificare il silenzio, ne bevvi un sorso e rabbrividii. 

«Perché non siamo entrati?» Indicai il nostro hotel. «Fa freddo e fino a poche ora fa avevi la febbre.» 

Non volevo che le temperature quasi invernali peggiorassero la sua salute già precaria.

«Sto bene, Haywood. Sono coperta a sufficienza, no?» Con una mano si mostrò: indossava ancora il giubbotto, la sciarpa e il cappello che le avevo ceduto mentre raggiungevamo il West Loop, che le stavano tremendamente larghi.

Nascosi un sorriso bevendo un altro sorso di cioccolata. 

«Sei tu che con quel maglioncino potresti morire congelato da un momento all'altro.» 

«Questa mi riscalda abbastanza.» Le sventolai il bicchiere davanti agli occhi.

«Sono più che a posto.» La rassicurai, ma il vento mi smascherò perché tremai.

Dannazione!

Edith rise e, scuotendo il capo, mi allungò la sua cioccolata calda. Gliela tenni e lei si tolse la sciarpa.

«Cosa fai?! Così ti viene la febbre!» La rimproverai, dato che finire all'ospedale non era tra le mie priorità, però mi ignorò, annullò le distanze e mi sistemò la sciarpa al collo.

 «Anche tu. Non sei immortale, Atkinson.» Mi lanciò un'occhiataccia di sottecchi, che mi fece ridere, e poi osservò soddisfatta il suo lavoro quando finì di armeggiare con il tessuto pesante.

«Per tua fortuna, no.» Scherzai.
Edith sospirò scuotendo il capo. «E chi dice che ti voglia morto?»

Si tolse anche il cappellino e, prima che potessi impedirlo, me lo infilò. Per un attimo mi sembrò di ritornare alla mia infanzia, quando mia madre mi vestiva di tutto punto prima di andare a giocare con la neve insieme ai miei fratelli. «A volte sei quasi simpatico.»

Mi abbassò il cappello sulla fronte schiacciando i miei ricci.

«Ah no, forse quello simpatico era Jude.» Finse di ripensarci e: «Dove sono i dread, a proposito?»

«In qualche cassonetto disperso per Chicago

Quella parrucca era veramente pruriginosa ed era stato un sollievo liberarsene. Ancora non riuscivo a capire come Lyle riuscisse ad indossarle senza avere la sensazione di essere punzecchiato da pulci.

«Peccato.» Fece un mezzo sorriso e si staccò da me, stabilendo di nuovo le distanze.

Mi credevi sexy, vero? Avrei voluto provocarla, ma rimasi in silenzio perché non mi ero comportato bene e, quindi, non ero sicuro di potermi prendere anche quella confidenza.

«Com'è andata, allora?» Con un cenno mi invitò a passarle la sua cioccolata calda. Lo feci.

«Il proprietario del RedMoon ha confermato che Violelle fosse Elle Hunt e che Zed Ontes fosse un cliente abituale.»

Tradotto: Edith aveva avuto ragione e io torto marcio. 

Scrollai le spalle, come se fosse tutto regolare, e attesi la sua reazione.
A dir il vero me la immaginavo già, con il suo sguardo fastidiosamente compiaciuto e le guance arrossate dalla rabbia o forse dal freddo, mentre mi canzonava, perché andare al RedMoon era stata una totale perdita di tempo. Invece, con mia grande sorpresa, appoggiò una mano sul mio ginocchio e mi disse: «Mi dispiace, Haywood.»

«Perché?»

«Perché ci tenevi tantissimo.»

La sua risposta mi toccò il cuore, che prima sussultò e poi riprese a battere più forte rischiando di scappare fuori dal petto.

Non mi aspettavo questa Edith, ad essere onesto.

Non me la aspettavo affatto, dannazione!

Non essendo pronto a gestirla scrollai le spalle e, indossando la solita maschera di indifferenza, replicai: «Non importa, Edith. Seguirò un'altra pista. Non ne ho solo una, sai? Non è la fine del mondo. È normale amministrazione. È tutto sotto controllo.» 

Da quanto tempo mi ero trasformato in un bugiardo? E da quando mi riusciva così bene esserlo?

Per poco non mi convinsi delle mie stesse rassicurazioni: «È solo insolito, perché il mio istinto raramente sbaglia, però va bene. E io non voglio più annoiarti con il mio lavoro.»

Non le avevo chiesto di seguirmi a Chicago solo per essere aiutato, ma glielo avevo proposto con l'intenzione di allontanarla dai suoi drammi per un po': la morte di Jane Reyes, quella che diceva essere la sua babysitter, doveva averle lasciato un segno non indifferente se era scappata dal Queens per raggiungere Manhattan. Inoltre, sarebbe stato ingiusto farla andare via tanto provata e febbricitante.

Si era comportata male con mia madre e miei fratelli, che le avevano aperto la nostra porta di casa, e non avrei potuto negarlo, ma ero altrettanto certo che Edith avrebbe rimediato ai suoi errori. Per questo, quella stessa mattina, mentre andavo a recuperare il computer avevo inviato a mia mamma un messaggio per chiederle di non licenziarla: Edith sembrava una brava ragazza, dopotutto, e il fatto che si fosse fatta coinvolgere dalle mie ambizioni lavorative, per aiutarmi, lo aveva dimostrato.

Alla fine ero anche contento di condividere la mia esperienza a Chicago con lei, perché la sua compagnia mi faceva pensare ad altro all'infuori di papà, Heath, Hailee o del trasferimento. Per questo, perché mi piaceva quella ritrovata leggerezza, che avrei voluto che Edith provasse la stessa sensazione. 

La guardai di sottecchi, però fui colto in flagrante. 

Mi schiarii la voce. «Tu cosa hai fatto, invece?»

«Un giro.» Alzò le spalle. «Ero nervosa e ho pensato di fare una lunga passeggiata per scaricare la tensione.» Sospirò. «Poi sono tornata qui, volevo entrare ma ho lasciato a te la mia carta elettronica.»

Feci un sorriso storto.

Mi ricordai di quella volta in cui, settimane prima, l'avevo provocata solo per il gusto di vederla impazzire, ad un passo da una crisi nevrotica. Sembrava passato un secolo, cazzo. Quante cose erano successe e cambiate in poco tempo, invece.

«...Visto il bar...» Cercai di connettermi con il suo discorso. «Ho pensato potesse essere carino offrirti una cioccolata calda.» Sfuggì il mio sguardo, gesto che faceva sempre più spesso nell'ultimo periodo e: «Sei stato così gentile a prenderti cura di me...»

«Grazie.» Le sorrisi sinceramente.

Non ricordavo quando fosse stata l'ultima volta in cui mi era stato detto qualcosa del genere, perciò mi fece piacere. «È buonissima, tra l'altro. E poi è al cioccolato fondente, il ché ti fa guadagnare cento punti!» Ammiccai.

«Come se avessi bisogno di fare queste cose per conquistarti.» Scherzò e per poco non mi soffocai con la bevanda dolciastra.

In compenso, mi bruciai la gola. «Come, prego?»

«Io ti ho già in pugno.» Mi restituí l'occhiolino e continuò a bere con una finta espressione angelica, come se non mi avesse appena gettato contro una bomba.

«Ti piacerebbe.» Risi. «Dovresti portarmene almeno altre cinquanta, se volessi anche solo provare ad avere una singola possibilità con me.»

«Secondo me ti sopravvaluti troppo.» 

In che senso? Avrei voluto chiederle, ma cambiò discorso: «Comunque anche io amo la cioccolata calda gusto fondente, ed ero piuttosto certa che piacesse anche te.» Ne bevve un sorso e rimanemmo in silenzio per un po', Edith con lo sguardo perso nel vuoto, io con la testa altrove.

«Sai?» La richiamai. «Quando eravamo piccoli, ogni giovedì pomeriggio, mio padre portava me e i miei fratelli a prendere la cioccolata calda dopo scuola. Solo che devi sapere che io, Hailee ed Heath, avevamo stretto un patto.» Sorrisi al ricordo. «Adesso ti sembrerà stupido, però ci eravamo promessi che saremmo stati per sempre un'unica cosa. Questo ci aveva portato a dover scegliere ogni fottuto giovedì lo stesso gusto in onore della nostra fratellanza.» Ridacchiai.

Da bambini si dicevano tante cose sciocche: perché un sapore diverso avrebbe dovuto equivalere a non esser più fratelli?

«Ovviamente a me piaceva fondente, ad Hailee bianca e ad Heath al latte, quindi ci eravamo messi d'accordo. Inutile dire chi vinse.» Mi spostai il cappello che era sceso sugli occhi.

«Lasciami indovinare...» Edith finse di pensarci su. «Hailee.»

«Hailee.» Confermai sorridendo. «Quella testaccia dura ci aveva obbligato a bere cioccolata bianca perché- senti bene questa cazzata- "Bianco è il colore della pace e noi tre porteremo la pace nel mondo." Così, per tutti gli anni a venire, ogni giovedì avevamo bevuto la cioccolata calda bianca. Estate compresa.»

«Giura.»

Annuii. «Sì, cazzo. Io ed Heath volevamo vomitare ogni volta, per quanto fosse dolce e soprattutto per quanto facesse caldo in pieno luglio. Ma un patto era un patto ed Hailee è sempre stata la nostra piccola principessa...» E poi, all'improvviso, feci cadere il discorso.

Sostituii il sorriso con un'espressione neutrale.

Ancora una volta mi domandai cosa ci fosse successo e il perché ci fossimo allontanati irreparabilmente.
E di nuovo, ripensai alla notte in centrale, ad Hailee che mi aveva schiaffeggiato, urlando quanto mi avesse odiato, e ad Heath che mi aveva rimproverato di essermi perso a causa di Gyles, che era sempre stata irrecuperabile davanti agli occhi di tutti.

Vedevano anche me, così?

Un nodo mi strinse la gola, troppe emozioni si erano incastrate lì dentro, e la sciarpa iniziò a darmi fastidio: mi sentivo soffocare. Quindi la sciolsi e la gettai tra me ed Edith, che non aveva spostato neanche per un secondo la sua attenzione.

Le lanciai un'occhiataccia.

Perché cazzo mi guardi così, eh?! Smettila, dannazione! Avrei voluto inveirle contro, ma mi trattenni dal farlo. Non se lo meritava, d'altronde.

«L'hai più sentita Hailee?»

«Il patto.» Mi appellai alla tregua stipulata in macchina per troncare la conversazione.

Edith si accorse del mio cambiamento d'umore e si allontanò ancora di più da me. 

«Scusami.» Si incupì e mentre ripassava con un dito il contorno del bicchiere, mi diedi dello stupido.

Avrei voluto riavvolgere il nastro ed essere meno scortese, ma sarebbe stato comunque inutile: il rapporto con i miei fratelli era e sarebbe stato sempre un tasto dolente, forse persino più di Gyles. Parlare di Hailee ed Heath mi ricordava di aver perso una parte integrante di me e avrei preferito continuare ad ignorarlo, perché faceva meno male se non ci pensavo.

Non fa nulla, stai tranquilla. Avrei dovuto dirle, invece: «Dobbiamo rispettare i confini se vogliamo andare d'accordo, okay?»

«Pensavo che, dopo l'altra sera, certi limiti li avessimo superati.» Mormorò e per un attimo credetti di averlo immaginato.

Succederebbe tutto. «Cosa?»

Lei sospirò. «Per quel che vale, penso che Hailee ti ami esattamente come prima.»

«Ti ha detto qualcosa?»

E sì, sarebbe stato più semplice sbloccare il cellulare e chiamare mia sorella per chiederglielo direttamente, però ero un codardo e avevo troppa paura della sua reazione. Il nostro ultimo incontro mi aveva devastato e non mi ero ancora ripreso del tutto.

«Certe cose si capiscono e basta.» I suoi occhi verdi, riflesso dei miei, mi inchiodarono.

Mi chiesi se si stesse riferendo ad altro, in realtà, con quelle parole.

Magari a noi.

«Cazzo.» Imprecai sottovoce portandomi la mano libera alle tempie. Stavo delirando. «Tu, invece?»

«Mmh?»

«Quanto hai vissuto a Chicago?» Edith sfuggì il mio sguardo, aprì la bocca e la chiuse subito dopo.

Conoscevo quella reazione: stava valutando la situazione e le sue possibilità, se scegliere di darmi fiducia o meno. 

Alla fine sospirò. «Un paio d'anni.»

«Ti manca?» Strisciai sulla panchina in sua direzione.

«Un po'.» Guardò il cielo.

«Perché te ne sei andata?»

Chicago, omicidio a parte, non era una brutta città.
Un tempo, quando ancora avevo degli amici che tenevano a me, Chicago era stata la meta che noi avevamo scelto per il nostro viaggio all'insegna della follia e del divertimento. Ricordavo ancora le intere giornate che io, Ivor, Heath, Gyles, e Montgomery avevamo passato ad organizzare le nostre vacanze insieme. Peccato che a quel viaggio, avrebbe partecipato la metà del gruppo.

«È un interrogatorio?»

«No.» Perché viveva costantemente con l'ansia di essere controllata? Le metteva così tanta pressione la mia posizione lavorativa?

«Sai, quando due persone passano del tempo insieme, è naturale che finiscano per conoscersi talvolta. Ti sembra un reato?» Non ricordavo le esatte parole che Edith aveva usato con me, però provai comunque a citarle: il senso era lo stesso.

«Ah, quindi ogni tanto mi ascolti?» Sollevò le sopracciglia, sorpresa. «Me ne sono andata perché fare la spogliarellista non era la mia ambizione.»

«Ma hai detto che la facevi raramente, che solitamente servivi...» 

In quei giorni avevo scoperto molte cose su di lei, ma la storia del RedMoon non riuscivo proprio a digerirla: quel locale era pessimo e la clientela non era da meno.

Bastava pensare a Zed Ontes. Era stato anche un suo cliente? L'aveva toccata? Qualcuno aveva mai provato a farle del male? 

Erano tutte domande a cui avrei voluto dare risposta, ma mi trattenni dal porgerle. Infondo Edith me lo avrebbe confessato se avesse conosciuto Ontes, ne ero sicuro. Si era dispiaciuta per me, per non essere riuscita ad aiutare, quindi avrei smesso di fare l'ispettore con lei.

Eravamo solo due ragazzi normali, adesso.

«Usavo comunque il mio corpo in modi non convenzionali, Haywood.»

«Qual era la tua ambizione, allora?» 

«Laurearmi in storia dell'arte.»

Ecco spiegato il perché Edith avesse prestato tanta attenzione ai quadri esposti in casa mia e come mai avesse saputo molte cose sul loro conto.

Mi sorprese in senso positivo.

Mi sembrava di iniziare a conoscerla: mi aveva aperto uno spiraglio verso il suo mondo e mi sentii strano, quasi orgoglioso di essere riuscito a farne parte anche solo per pochi attimi.

«E come ci sei finita nel Queens?» E in quelle condizioni, poi. Con una mano bendata, le ginocchia sbucciate e i lividi sul collo. «Perché lavorare al Castillo's

«Perché sono a corto di soldi, mi sembra chiaro.» Tagliò corto e: «Tu, invece? Me lo spieghi come sei finito a Manhattan

Dovevate credermi quando dicevo che una grande parte di me avrebbe voluto raccontarle la mia esperienza travagliata, perché Edith mi dava l'idea di una che avrebbe potuto capirmi veramente, però ero bloccato. C'era un alto e fottuto muro che mi divideva dal mondo, da lei.

«Scusami, ma non ce la faccio.» Appoggiai la mia mano sulla sua, che non sapevo il perché fosse bendata, e si ritrasse. 

Distanza. Recepito.

Il nostro era un dare e ricevere.

Il suo atteggiamento era coerente, però mi sorprese quando continuò: «Sono felice di essere venuta con te, alla fine.»

«Perché?» Mi voltai con tutto il busto ed incrociai una gamba sotto il ginocchio.

«Mi sto divertendo e, in fin dei conti, è piacevole.» Imitò il mio gesto. «Ci andava.»

Edith appoggiò la testa contro lo schienale della panchina e una ciocca di capelli le ricadde sul viso.

«Lo so.» Osai spostarle il ciuffo dietro l'orecchio. Non mi cacciò e lo presi come un buon segno: «Si vede, che ti ha fatto bene.»

Anche se reduce da una breve influenza il suo incarnato aveva ripreso colore e i suoi occhi la vita, quella scintilla che dal primo incontro aveva attraversato il suo sguardo.

Ero contento che si fosse ripresa.

«Sai? Non è nemmeno così male trascorrere del tempo con te quando non sei arrogante e presuntuoso.»

Scossi il capo senza smettere di sorridere.

«Ammettilo, la parte più bella è stata essere la mia ragazza per finta. So che vorresti fosse vero.» La provocai.

«Ma basta!» Alzò gli occhi al cielo ridendo. «Ma la smetti?!»

Mi tirò una manata e il bicchiere con il fondo di cioccolata, adesso fredda, si rovesciò sui miei pantaloni. Edith spalancò lo sguardo e sospese in aria ogni movimento.

Conoscevo quell'espressione. Adesso mi tocca la guerra: diceva. 

Io risi di gusto e lasciai il bicchiere vuoto sulla panchina. «La tua faccia è epica.»

«Ti sei bruciato?» Con le dita tolsi un po' di cioccolata.

«Forse un poco.» Finsi di stare male.

«È un miracolo che il calore non abbia bucato i pantaloni.» Gemetti guardandola di sottecchi.

Edith scattò. «Oddio. Dove?!»

«Proprio qui non vedi?» Strizzai gli occhi e lei si avvicinò.

«Ma dove?»

«Qui!» E prima che potesse fare qualsiasi altra cosa, le imbrattai il viso di cioccolata.

Edith sussultò, spostandosi da me, ed imprecò. «Sei un fottuto infame, Haywood Atkinson!»

«Magari ti addolcisci.»

«Ah, io dovrei addolcirmi?» Infilò due dita nel suo bicchiere. «Quello acido tra i due, sei tu!»

Inutile dire che la disputa si concluse con due sciocchi ragazzi sporchi di cioccolata ovunque, ma almeno poterono essere spensierati dopo tanto tempo. E, credetemi, ne avevano davvero bisogno in quel momento.

N/A
Prossimi aggiornamenti martedì e giovedì. In quanti non vedono l'ora?

P.S.: quanto sono dolci questi Edith ed Haywood?😍 Anche se, lo ammetto, questo è niente in confronto al prossimo capitolo!

Ari🌷

Continue Reading

You'll Also Like

136K 11.9K 48
Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionaggio, non si aspettava di dover affrontare...
20.2K 758 52
Awed e Ilaria, sua sorella, tornano a casa dopo l'ennesimo spettacolo di esperienze D.M a cui l'aria aveva assistito... Arrivati sulla porta di casa...
11.1K 247 14
@judebellingham ha iniziato a seguirti
587K 23.8K 41
"Uno novembre. Ore zero quattro e sette di mattina. Il soggetto è esausto, sembra delirante. Si muove con lentezza nell'ombra, non reagisce agli stim...