A · Breathe · Ω

De StarCrossedAyu

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[Storia di FareaFire e StarCrossedAyu] |¦ ⭐ Classificata nella Long List degli Italian Academy Awards - Fanf... Mais

Introduzione
01. A e Ω
02. Gelo e Calore
03. Ostilità e Attrazione
04. Rischi e Vantaggi
05. Insicurezza e Complicità
06. Imprevisto e Inesorabile
07. Amarezza e Rassegnazione
08. Raro e Spontaneo
09. Ardore e Premure
10. Confidenze e Catene
11. Unione e Violenza
12. Riconciliazione e Partenza
13. Amore e Ritorno
14. Abitudini e Inconvenienti
15. Legami e Stranezze
16. Trionfo e Malessere
17. Inizio e Fine
18. Shock e Disperazione
19. Scelte ed Addii
20. Frammenti e Decisioni
21. Sorpresa e Contatto
23. Respirare
24. Timore e Batticuore
25. Epilogo
AB... O - Breve guida all'Omegaverse

22. Rimorsi e Sintonia

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De StarCrossedAyu

«Ciao. Di nuovo...»

Eren chiuse la chiamata. Il cellulare scivolò nel cappotto bianco che avvolgeva il suo corpo, coprendone le forme.

In quel momento, gli unici cambiamenti che Levi fu in grado di notare nell'Omega erano la forma del viso più rotondo, dalle guance piene e la lunghezza dei capelli che, lasciati crescere, si avviavano a raggiungere le spalle.

Il giovane aveva le mani in tasca ed una sciarpa marrone attorno al collo, la quale non faceva nulla per schermare l'odore dolce e naturale di Omega.

L'uomo restò pietrificato sul posto, il braccio che ricadeva debolmente sul fianco mentre il suo animo agitato metteva ulteriore confusione nella sua mente.

Cosa avrebbe dovuto fare? Come doveva comportarsi...?

«Vuoi... Vuoi accomodarti?»

«Sì, per favore...» rispose Eren, sfilandosi la sciarpa.

Levi si fece da parte, lasciandolo libero di entrare e lo aiutò a togliere il cappotto che, nell'ambiente tiepido dell'appartamento, era decisamente di troppo. L'altro indossava abiti eleganti, ma larghi e comodi, impregnati di decine e decine di odori: inchiostro, carta, dinamiche di altre persone. L'Alpha riconobbe la traccia di Petra. Il ragazzo doveva essere arrivato fin lì direttamente dall'ufficio.

Il luogo che fino a quel momento gli era sembrato inutilmente spazioso, eccessivamente grande nel suo essere desolato e vuoto, gli parve si fosse giustamente riempito dell'unica presenza necessaria affinché le mura perdessero la semplice funzione di isolarlo dall'esterno ed assumessero il compito di farlo sentire a casa.

Guardò Eren, andò ad appendere il cappotto, lo guardò di nuovo. Si sentiva sulle spine, come se un gesto troppo repentino potesse scatenare una qualche reazione capace di sfociare in una veloce e brusca separazione. Ancora.

Averlo lì, a pochi passi, gli sembrava troppo bello per essere vero. C'era così tanto da dire che Levi non sapeva da dove iniziare.

Mi sei mancato.

Posso stringerti?

Dimmi che mi hai pensato, anche solo per un minuto...

Le sue labbra secche si schiusero, la lingua si mosse e la gola emise i suoni necessari ad articolare, tra quei mille pensieri, una singola, unica domanda.

«Mi odi?»

«Ti ho odiato. Una parte di me lo ha fatto. Voleva eliminarti, cancellarti dalla mia vita perché era ciò che meritavi per avermi portato via ogni cosa» ammise Eren, a sguardo basso. Mentire non aveva senso, Levi l'avrebbe comunque percepito. Respirato.

Andò a sedersi sul divano senza aspettare un invito. Sembrava che l'Alpha fosse rimasto scioccato dalla sua comparsa, e gli sarebbe occorso qualche minuto per riprendere a comportarsi in modo normale.

Sospirò, quando le sue gambe non furono più costrette a sostenerlo, abbandonando per un istante la testa contro i cuscini.

«Un'altra la combatteva, ricordandole che sei il padre dei miei figli. Col tempo quelle voci si sono calmate entrambe.»

L'uomo spostò il peso da un piede all'altro, portandosi le mani in tasca come se quel luogo fosse il più sicuro del mondo e gli impedisse di compiere qualche sciocchezza. Aveva paura di toccarlo e ricevere un rifiuto. Nell'udire quelle parole, desiderò strapparsi il cuore dal petto.

Ti ho odiato. Voleva dire che adesso le cose erano cambiate?

Sei il padre dei miei figli. Era questo, ora, il suo ruolo? Quello di genitore e nulla di più?

Levi si sentiva inadeguato, come se fosse lui l'unico tassello sbagliato in quel puzzle intricato. Non si pentiva della propria scelta, l'avrebbe presa altre cento volte se questo avesse significato salvare Eren dal circolo vizioso in cui si era volontariamente infilato. Illudersi che le conseguenze non fossero state amare da digerire, invece, era tutt'altra storia.

«Cosa pensi, ora...?»

«Che mi hai salvato la vita...»

Eren lo guardava negli occhi e Levi riconosceva ogni singola scintilla che la luce provocava, riflettendosi nelle sue iridi. Erano calmi e sinceri, e se respirava il suo profumo otteneva solo altre conferme.

«Hai preso una scelta molto più coraggiosa della mia. Quando ce n'è stato bisogno, hai messo da parte tutto ciò per cui tu stesso avevi lavorato. Non riuscivo a vederlo, a capirlo, prima, ma adesso è tutto cambiato.»

La corazza che tanto si era sforzato di tenere alta, per paura di cedere e venire meno al giuramento di proteggere Eren a qualunque costo – fosse anche della loro relazione –, cadde giù. Prese a sgretolarsi al di sotto dei vestiti, crepa su crepa, liberandolo di un peso che si era portato addosso nell'istante in cui si era chiuso quella porta d'ospedale alle spalle, lasciandovi dentro le sole cose che oramai per lui avessero importanza.

Gli occhi si fecero lucidi, la voce meno ferma, l'animo più fragile.

«Avrei voluto ci fosse un altro modo, Eren. Mi dispiace.»

«Sì, anche io... Avrei voluto essere migliore. Invece per anni ho condotto una vita che mi ha portato più sofferenza e umiliazione di quanto potessi mai immaginare... Solo perché non riuscivo ad accettare di essere impotente.» Intrecciando le dita delle mani, cominciò a stringerle e pizzicarsele, una piccola tortura, un modo per distrarre la mente dal loop di pensieri in cui stava finendo. «E... Non lo accetto nemmeno ora...» ammise.

Attraversò il salone così velocemente da non rendersene quasi conto, almeno fino a quando non si trovò di fronte gli occhi impossibilmente verdi e sgranati del giovane Omega. Levi era in ginocchio di fronte a lui, le mani in procinto di prendergli il volto e accarezzarlo, sospese in quella posizione come se si fosse fermato appena in tempo. Strinse i pugni, lo sguardo fisso sul suo viso finalmente pieno e dal colorito sano.

«Tu sei perfetto così come sei, Eren. È il mondo che dovrebbe essere migliore. Hai lottato, adeguandoti a delle regole che nessuno dovrebbe seguire, a cui tutti si sottomettono e si arrendono. Il tuo spirito indomito non si è piegato, ma il tuo corpo non avrebbe retto quel ritmo ancora a lungo...»

Prese un respiro profondo, gonfiando il petto. «Possiamo cambiare questa società, tentare di renderla un luogo più equo. Per noi... Per i nostri figli.»

«Mi farai lavorare con te?» gli chiese, sciogliendo la stretta delle proprie dita.

Le mani di Levi ora appoggiate ai cuscini lo chiudevano in un confortevole recinto, e le sue ginocchia gli sfioravano il petto.

Era intrappolato su quel divano, ad opera dell'Alpha di quel territorio – appartamento – in cui si trovava, ma non c'era traccia di timore, né allarme. Eren era sereno, fiducioso; quella nota di agitazione che l'uomo percepiva, era tutta frutto dell'aspettativa di una risposta alla sua domanda. Una domanda così importante per lui in quel momento, che Eren sentì di volerla ripetere di nuovo, con parole uguali ma differenti.

«Verrai a lavorare con me?»

«Se è questo che desideri... sì. Accetterò l'offerta di Petra e porteremo avanti la class-action, insieme. Questa guerra è nostra, adesso. Saremo spada e scudo contro quel figlio di puttana e tutti coloro che discriminano i propri dipendenti, concedendo favoritismi unicamente in base alla dinamica e non al merito.»

L'odore di Levi lo avvolse, infondendogli fiducia nelle loro capacità e in cosa potessero ottenere, rendendole un tutt'uno. Eppure qualcosa fece sussultare Eren, un brivido che gli attraversò la schiena risalendo veloce fino a stringergli il cuore.

Dubbio. Insicurezza.

«Non voglio impormi su di te, Eren. Ci sarò sempre per voi» disse, guardando il ventre che custodiva le vite dei loro piccoli, «ma non voglio che la gravidanza influenzi il tuo giudizio. Sei libero di scegliere, qualunque sia la tua decisione io l'accetterò.»

In quella casa, lo stesso uomo aveva pronunciato delle parole che adesso sembravano appartenere a un'altra epoca.

Sceglimi ancora, Eren.

Aleggiavano nella stanza come fantasmi di un tempo andato, riportando loro alla mente tutto ciò che avevano attraversato, che avevano condiviso.

«Non mi sento... influenzato» rispose, imbronciando la bocca. «Questi due mi procurano qualche problema, ogni tanto, ma la mia mente è lucida, tanto per lavorare tanto per decidere con chi farlo. E per prendere... altre decisioni... Come quella di venire qui, stasera. Levi, spostati da qui, siediti accanto a me.»

Tese una mano, prendendo quella dell'Alpha e appoggiò l'altra sulla sua spalla. Obbediente, l'Alpha si mosse e prese posto sul divano, accanto ad Eren.

«Dicevo... Avrei potuto dirti le stesse cose anche al telefono, lo sai. Invece ho voluto bussare alla tua porta, e guardarti negli occhi mentre mi scuso con te. Perdonami Levi, per tutto quello che ti ho fatto passare con le mie sciocche decisioni autodistruttive... Ho quasi rovinato tutto...» disse, abbassando lo sguardo.

La strana tensione che l'Alpha sentiva in ogni nervo e giuntura, svanì col tocco di Eren.

Sollevò il suo viso con delicatezza, e con esso i suoi occhi colmi di rammarico e pentimento.

«Non ha più importanza, Eren. Sei vivo, qui, con me. È l'unica cosa conta.»

«No, no, per favore. Non avrò mai pace, in questo modo...», scosse la testa, allontanando la sua mano. «Ti chiedo scusa. Devi accettare o rifiutare... Non dire che non ha importanza, per me ne ha...»

«Ti perdono solamente se tu perdoni me: sono stato troppo duro, quel giorno; avrei dovuto pormi in maniera diversa, ma la paura di perderti era troppo forte anche solo per riuscire a respirare...»

Attimi di silenzio, colmi di tutto ciò che fino a quel momento non erano riusciti a dirsi, pieni di emozioni di cui non avrebbero mai potuto disfarsi.

«Ti amo, Eren. Non ho smesso di farlo nemmeno per un secondo, e credo non accadrà mai.»

«Cosa devo fare per avere una risposta da te!» Eren, sorridendo, alzò gli occhi al cielo. «Bene, d'accordo, inizierò io. Ti mostro come si fa: Levi Ackerman, ti perdono per aver fatto la cosa giusta ed avermi salvato la vita, anche se in modo traumatico ed impulsivo.»

«Eren Jaeger, ti perdono per avermi fatto preoccupare da morire e avermi rubato il cuore. Andava bene?»

Accennò un sorriso, il primo dopo più di un mese, i marchi tra le cosce che pulsavano all'impazzata.

«Quasi. Sei veramente pessimo ad accettare le scuse.»

Con un peso in meno sul petto, Eren si sentì improvvisamente stanco. Sospirò e chiuse gli occhi, sporgendosi per appoggiare la fronte a quella di Levi.

«Anche io ti amo, comunque.»

Fu come se il petto dell'uomo rischiasse di esplodere per l'emozione troppo forte, nel sentirgli pronunciare quelle sillabe tanto sognate.

«È la prima volta che lo dici... Puoi ripeterlo, per favore?»

«O-oh, andiamo... Ho ricevuto i tuoi marchi, avremo dei figli!» protestò Eren, rosso in viso per l'imbarazzo e vergognandosi come un ladro. «Era evidente, no...?»

«Forse...» lo prese in giro. «Sentirselo dire però fa un certo effetto.»

Le dita di Levi sfiorarono le sue gote arrossate, mentre il proprio respiro si faceva tremulo.

«Per quanto riguarda i marchi, beh... non li hai avuti tutti.»

«Ho avuto quelli per cui eravamo pronti.»

Con gli occhi Eren seguiva il percorso dei polpastrelli. Quando li sentì scendere verso la mascella e poi giù, verso la gola, un brivido gli percorse la schiena.

Quando giunse sulla ghiandola aumentò leggermente la pressione, tanto che Levi percepiva chiaramente il suo pulsare ritmico, quasi stesse intonando una canzone muta, priva di note.

«Voglio sentire quei morsi sulla pelle, Eren. Il tuo odore fondersi col mio, la mia carne prendere la tua forma. Desidero quei segni, i tuoi, per tutta la vita. E tu? Ti senti pronto...?»

«A-Adesso? Subito?» balbettò il ragazzo, mettendo una mano sullo stomaco gonfio.

«Non pretendo certo di saltarti addosso. Ho aspettato così a lungo, cosa vuoi che sia un'ora, un giorno, una settimana...?»

Con titubanza, il palmo di Levi raggiunse quello di Eren, attendendo un permesso che il ragazzo non esitò molto a concedergli. Attraverso la stoffa, l'Alpha sentì il tepore di quel ventre ora divenuto culla, e nonostante non percepisse alcun movimento al suo interno, sapeva che i loro piccoli erano lì. Caldi, al sicuro. Due miracoli, pazienti come il padre nell'attendere il momento giusto per venire al mondo e testardi come la madre, nel sopravvivere quando tutto urlava loro il contrario.

«Mi prenderò cura di loro, Eren. Mi prenderò cura di te...» mormorò, gli occhi appena lucidi per l'emozione suscitata da quella breve, fugace carezza al frutto del loro amore. «Tutte le tue cose sono ancora qui, esattamente dove le hai lasciate. Puoi farti un bagno, mentre preparo la cena. Vuoi?»

«Oh sì, magari...» sospirò l'Omega, con sollievo.

Dopo una lunga giornata di lavoro, era corso da Levi seguendo un colpo di testa ed ora il suo corpo ne pagava le conseguenze. Nonostante i grandi miglioramenti che aveva fatto nelle ultime settimane, il suo percorso di guarigione era ben lontano dal concludersi, dovendo rimediare ai danni causati da diversi anni di abuso di farmaci e stress da super-lavoro. Senza contare il fatto che la gravidanza l'aveva quasi ucciso fin dal suo principio.

«Aspetta... Levi...»

Con dolce delicatezza, Eren portò le mani ai lati del viso di Levi e lo guidò a sé. La sua bocca coprì quella dell'uomo, che dimostrò tutte le sue doti di autocontrollo per rispettare quel momento di ritrovata serenità e non trasformarlo nella scintilla dell'incendio che sentiva crescergli dentro.

Aveva bisogno di amore, il suo compagno, ma anche di cure.

Staccarsi dalle sue labbra fu più difficile di quanto credesse, attanagliato dall'intimo timore di perdere ciò che aveva appena ritrovato. Tuttavia si ripeté che Eren non sarebbe andato da nessuna parte; era tornato per restare.

«Vado a prenderti qualcosa da indossare per la notte e riempio la vasca. Rilassati, penso a tutto io.»

L'Alpha gli lasciò un ultimo bacio sulla fronte, per evitare di cedere alla tentazione crescente di assaporare il compagno come nell'ultimo periodo non aveva potuto, dirigendosi prima verso il bagno e poi in camera da letto alla ricerca della maglia più grande che avesse. Degli indumenti stretti avrebbero solamente dato fastidio alla sua pancia appena prominente, ed era l'ultima cosa che voleva. Lasciò tutto sul mobiletto accanto al lavabo, premurandosi di dirgli: «Se hai bisogno di aiuto, chiamami. Mi raccomando.»

La sagoma di Levi sparì definitivamente in cucina, dove Eren udì le ante aprirsi ed i fornelli accendersi.

Si ritrovò improvvisamente solo, nel mezzo dell'appartamento. Ricordava tutto di quel posto, ma dopo tanto tempo e i vari trascorsi, non riusciva a non pensare di star di nuovo invadendo uno spazio che non gli era più del tutto familiare.

«D'accordo... Laviamoci, tanto per cominciare», mormorò tra sé e sé, chiudendo la porta del bagno alle proprie spalle.

La vasca, ampia e comoda, era una delle cose di cui più aveva sentito la mancanza senza rendersene conto, finché l'acqua non l'aveva avvolto di nuovo. Rimase lì, a leggere e riordinare per colore le fiale di sali e bagnoschiuma, solo per avere qualcosa da fare nel frattempo.

Trascorse mezz'ora, durante la quale Levi combatté il suo istinto Alpha che gli imponeva di accudire personalmente il proprio mate, lavarlo, spazzare via ogni traccia di stanchezza e ogni dubbio che potesse indurlo a lasciarlo, di nuovo. Quel lato primordiale aveva patito l'assenza dell'Omega più di quanto credesse possibile, considerato il fatto che il bond ad unirli fosse incompleto. Tuttavia, la consapevolezza del suo stato di fragilità fisica ed emotiva, della prole in arrivo, lo aveva provato fino a renderlo oltremodo sensibile a tutto ciò che potesse minacciare l'attuale stato delle cose.

L'uomo combatté con ogni fibra del suo essere quelle paure infondate.

Eren si trovava lì, con lui, e lo amava.

Dio, gli era parso che la carne sulla schiena si squarciasse e un paio d'ali fossero spuntate per fargli prendere il volo, nell'udire quelle parole. Una rassicurazione verbale che quanto li unisse fosse forte e saldo, nonostante le incomprensioni e i dissapori ad averli visti protagonisti nell'ultimo, straziante mese.

Cucinò al meglio delle proprie capacità, maledicendosi per non avere i migliori ingredienti freschi da offrire al compagno. Come se farsi cogliere impreparato fosse stato un peccato mortale. Infine, una volta apparecchiata la tavola e tenuto la cena in caldo, andò a bussare delicatamente alla porta del bagno.

«Eren...?»

«È aperto.»

Eren era già vestito, anche se non del tutto asciutto. Le punte dei capelli erano ancora bagnate, dando l'idea di essere più scure, ed i piedi lasciavano orme umide sul tappeto del bagno.

L'aria e la sua pelle profumavano di bagnoschiuma, una fragranza dolce e fresca, una delle tante che il corvino si era procurato nei mesi passati appositamente per lui.

A Levi sembrò che il proprio cuore fosse troppo piccolo, per contenere tutto l'amore che provava per Eren.

«La cena è pronta... Tutto ok?»

«Quasi» rispose, strofinandosi con un asciugamano le ciocche. «Ci sono ancora i miei calzini? Quelli morbidi, li avevo lasciati qua.»

«Certo. Ti fanno male i piedi?»

Non aveva neanche terminato la frase che si era inginocchiato davanti al ragazzo, seduto sullo sgabellino di legno, e aveva preso a massaggiargli la pianta umida. Con l'aumento di peso dovuto alla gravidanza, presto le caviglie si sarebbero ingrossate e avrebbero richiesto attenzioni che Levi aveva tutte le intenzioni di concedergli.

«No! Ho so-solo freddo. Levi. Levi! Lasciami! Lasciami, per favore!»

Eren si aggrappò al lavandino, cercando di divincolarsi. A malapena era riuscito a rimanere in piedi, e solo quando si fu liberato dalla presa dell'altro riuscì a calmarsi, portandosi una mano al petto.

«No-non farlo! Vuoi farmi impazzire?! È stato terribile!»

Levi fissò prima lui, poi i piedi. Infine, tornò su Eren.

«... Soffri il solletico?»

«B-bada a cosa fai, Alpha. Indietro», rispose subito il ragazzo, mettendosi sulla difensiva. «I calzini. Non dovevi prendere quelli? Mh?»

La lentezza con cui l'espressione del corvino mutò da perplessa a palesemente divertita, colse l'altro quasi di sorpresa.

Sorridendo, Levi andò a prendere la soffice pallina colorata dal cassettone in camera da letto, impiegando pochi attimi a svolgere quel compito.

Li srotolò, abbassandosi nuovamente e facendo cenno ad Eren di posare un piede sul suo ginocchio.

«Vediamo se la scarpetta di cristallo ti calza a pennello» lo prese in giro.

Nonostante non fosse particolarmente entusiasta di farlo avvicinare di nuovo al suo "punto debole", Eren non protestò.

Alzò la gamba, puntò il piede, e sospirò di sollievo quando l'Alpha rimase fedele al proprio compito, limitandosi a far scivolare la stoffa lungo la gamba. Era passato solo un mese, ma già solo da quel singolo arto Levi riusciva a vedere quanto il corpo di Eren fosse cambiato.

I chili in più – quelli che avrebbero dovuto conferirgli l'aspetto tipico di un Omega – avevano modificato il modo in cui la pianta del piede aderiva alla suola della scarpa. Delle piccole callosità si erano formate sotto il tallone, e il collo del piede era più pieno, carnoso; il polpaccio non evidenziava più muscoli e tendini, ma si era fatto più rotondo. Era meraviglioso sfiorarlo, tastare quei segni di evidente salute.

Con entrambi i calzini indosso, Eren si rimise in piedi invitando Levi a fare altrettanto.

«Devi proprio guardarmi così?» chiese l'Omega, allungando una mano verso il suo volto.

«Così come?»

«Come se mi stessi... Studiando...»

«Lo sto facendo» fu la risposta. Levi si concentrò sul calore che percepiva sul viso, la delicatezza con cui Eren lo accarezzava. «Sei cambiato... Entrambi lo siamo, e non voglio perdermi nient'altro che non abbia già perso durante quest'ultimo mese.»

L'odore di Eren divenne più dolce, e si velò di imbarazzo e rimorso.

Si sporse in avanti, lasciandosi abbracciare con tutta la delicatezza che l'Alpha sapeva riservargli.

«Adesso andiamo a tavola, avrai fame...» disse quest'ultimo, mortalmente combattuto tra il nutrirlo e stringerlo a sé un altro po'. Il buon senso ebbe la meglio e, intrecciando le dita pallide con quelle naturalmente scure del ragazzo, lo guidò verso il tavolo da pranzo perfettamente apparecchiato.

Tutto era posizionato al millimetro, neanche fosse una sorta di incontro formale a cui presenziare.

Intimamente, l'Alpha si sentiva sotto esame, messo alla prova dall'Omega che avrebbe silenziosamente valutato le sue capacità nel prendersene cura, quando appena qualche settimana prima si era lasciato sopraffare dal sentimento, assecondando la richiesta di Eren che lo aveva portato quasi alla morte.

Pensarci non aveva senso, adesso; ciò che contava era farsi trovare pronto, sull'attenti, e Levi era uno a cui non piaceva perdere.

«Wow... Ho quasi paura di sedermi» commentò Eren, mettendo le mani sui fianchi. «Come se potessi rovinare tutto.»

La sensazione che tutto fosse uguale eppure molto diverso non lo lasciava stare. Se Levi si sentiva sotto esame, Eren ne avvertiva la tensione che lo portava a trovare un'impresa impossibile rilassarsi.

Si mise a tavola, ed aspettò che l'Alpha gli posasse il piatto di fronte. Il profumo era squisito, come accadeva ogni volta che Levi cucinava per lui.

«Spero che i tuoi gusti non siano sensibilmente variati... Se hai voglia di qualcosa in particolare puoi dirmelo. Andrò al supermercato a comprarlo, o al ristorante» disse, accomodandosi all'altro capo del tavolo. L'ansia da prestazione nell'Alpha era fisicamente palpabile.

«Levi... Mi stai facendo agitare...» confessò Eren, abbassando lo sguardo. «Per favore... Siediti e ceniamo, solo questo. Non mi serve nient'altro...»

L'altro mise a tacere il proprio Alpha e sé stesso: subissare l'Omega di attenzioni non richieste stava sortendo l'effetto opposto, mettendolo a disagio piuttosto che farlo sentire rilassato.

Fece quindi quanto richiesto, attendendo che Eren portasse il boccone alle labbra per primo. Da bravo padrone di casa, s'intende, e non perché fremesse d'impazienza nel conoscere il suo verdetto culinario.

«Grazie» disse l'Omega, mettendosi comodo.

Aveva fame e divorò metà del contenuto del suo piatto in pochi minuti, fermandosi poi del tutto.

Colpito dallo sguardo confuso e un po' sospettoso di Levi, si affrettò a dare una giustificazione.

«Non riesco a mangiare troppo tutto insieme. Faccio delle pause... Ma non lascerò nulla, non preoccuparti... »

Il corvino annuì, silenzioso, mettendosi lentamente in pari con il compagno e vuotando metà della propria cena con la posata calma che lo contraddistingueva. Il suo cervello elaborava pensieri su pensieri, i quali si accavallavano in cerca di spazio: come informarsi meglio sulla gestione di una gravidanza – in particolar modo quelle a rischio –, su quali specialisti interpellare che fossero loro di ulteriore supporto, quale tipo di cure i bambini avrebbero avuto bisogno alla loro nascita; cercava di tenere ognuno di essi a bada, relegarli in un angolo remoto per quando fosse stato realmente necessario affrontare simili argomenti, e non preoccuparsi troppo di qualcosa che poteva tranquillamente aspettare il giorno dopo.

Eren tenne fede alla parola data e ripulì la ceramica col pane, rendendo quasi inutile l'utilizzo della lavastoviglie. Levi si sentì orgoglioso dell'evidente gonfiore che adesso si intravedeva al di sotto della maglietta che l'altro indossava, e della sua espressione a metà tra il beato e l'assonnato; non erano trascorsi che pochi attimi, infatti, dall'ultimo morso al primo, sonoro sbadiglio che aveva reso gli occhi dell'Omega lucidi.

«Penso a tutto io. Tu vai a riposarti.»

Lo lasciò solo a riordinare, ripromettendosi che sarebbe stata la prima e unica volta.

Non possedeva un vero e proprio pigiama, ed anche se lo avesse avuto lì, a casa di Levi, ormai non sarebbe più riuscito a entrarci.

Quando raggiunse il letto, si mise a spostare tutti i cuscini, cercando di trovare loro la migliore combinazione e posizione, prima di stendervisi sopra con un enorme sospiro di sollievo.

La schiena lo stava uccidendo, e i suoi occhi stanchi iniziavano a dargli qualche problema.

Prima di arrendersi al sonno, tuttavia, prese il cellulare e chiamò la madre. Quando era uscito da lavoro, aveva corso così in fretta fino all'appartamento di Levi da avere a malapena il tempo di scriverle un messaggio dove la avvisava che forse non sarebbe tornato per cena.

Poco dopo, quando entrò in camera, Levi trovò il compagno profondamente addormentato, un cuscino stretto tra le gambe e la bocca schiusa, tipica di chi russa nel sonno. Eren non lo aveva mai fatto, prima.

Si sedette sul bordo del letto, osservandolo col cuore che si gonfiava ad ogni respiro. Che quel piccolo cambiamento fosse dovuto all'assenza dei soppressori o alla gravidanza, non importava. La sola vista del giovane, col guanciale a rendergli il riposo più confortevole, lì nella loro casa, gli aveva tolto un opprimente peso dal petto.

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