Te dimmi dove sei, mi faccio...

By Dallapartediultimo

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Sequel di "Dietro a te, er Colosseo nun se vede" Sono passati cinque anni da quando Sara aveva rivelato a Nic... More

PREMESSA.
1- Ne abbiamo parlato tanto, mamma.
2- Non ti ci mando solo perchè siamo in chiesa.
3- Osteogenesi imperfetta congenita.
4- Déjà-vu?
5- Tu sei destinata alla città eterna.
6- Forse non sarei nemmeno dovuta tornare.
7- Ho fatto na cazzata, Cassiolì
8- Peccato che io con te non ci voglio parlare.
9- Ogni volta che ti sono accanto non capisco più un cazzo.
11- Riapriamo 'sta scatola insieme?
12- Ma che me stai a da? 'A cartina de Roma?
13- Sei bella come Roma.
14- Te dimmi dove sei, mi faccio tutta Roma a piedi.
15- Sapevi che prima o poi sarebbe successo, no?
16- Ma so anche che da qualche parte la mia Sara c'è ancora.
17- Quinto piano, sopra tutti?
18- Ti passo a prendere alle 8?
19- Per te, mi giocherei anche l'ultimo frammento di cuore.
20- E non nascondere le lacrime, che tanto scendono in basso.
21- Io sono tutta cuore, Niccolò è fatto di paranoie e paure.
22- Vorrei soltanto amarti.
23- Ora del decesso, 11.42.
24- E' bravissimo anche a consolarti, no?
25- Ti porto a Napoli, bimba.
26- Voglio portarti a vedere il miglior tramonto di sempre.
27-Tu amore, regalami un sorriso.
28- Gà, dimme che stai a scherzà.
29- Se ti avessi chiamato tu non me lo avresti permesso.
30- Sono ancora incazzata, ma in questo momento ho bisogno di te.
31- Gabriè, m'hai portato il panino col salame, vero?
32- Ho bisogno de te, na carbonara e un bicchiere de vino rosso.
33- Resti stasera?
34- Moriconi, che hai combinato?
35- Me lo fai un sorriso?
36- Essere felici insieme.
37- Camilla sarebbe stata orgogliosa del suo papà.
38- Sei la donna mia, nun te deve nemmeno guardà.
39- L'amici e la donna mia nun se toccano.
40- E ci avrei scommesso su noi due, una vita intera sempre in due.
Sequel

10- Non è mai troppo tardi, anche se sono passati cinque anni.

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By Dallapartediultimo

"Dottoressa, mi scusi. La cerca il dottor Cataldo, è qui per un paziente" sapevo benissimo che questo momento sarebbe arrivato ma non pensavo così presto. Non avevo raccontato nulla a Marco di ciò che era successo nelle ultime settimane, non che lui fosse molto interessato, ma ora era lì e io sarei voluta solamente scappare.

"Grazie Cecilia, digli pure che ora arrivo" ringraziai l'infermeria per poi fare un grosso respiro e successivamente sistemare il camice uscendo dal mio ambulatorio. Stavo sperando con tutta me stessa che il paziente non era chi pensavo, perché se era lì significava che la situazione era peggiorata. Ma mi bastó un attimo per incontrare quei due volti che conoscevo, purtroppo, molto bene.

"Quanto è grave?" Dissi soltanto nel momento in cui mi trovavo a pochi passi da Marco. Se aveva fatto spostare una famiglia da Milano a Roma, la situazione non poteva avere niente di positivo.

"Tanto Sà, se sono qui è perché possiamo salvarlo solo io e te insieme" lui mi guardò con sguardo compassionevole. Non capivo se stava cercando di chiedermi un favore oppure si era reso conto di aver fatto un gesto che era assolutamente da evitare.

"Hai già fatto abbastanza, non credi?" Il mio tono era tagliente eppure non riuscivo ad essere comprensiva con lui in quel momento. Sarebbe spettato a me parlare con i genitori e non potevo far altro che continuare a dargli notizie negative, mentre loro continuavano ad aggrapparsi a quel briciolo di speranza che ancora avevano.

"Hai voglia di litigare ancora?" Lui mi tiró dentro il mio ambulatorio chiudendo poi la porta. Avevo massima fiducia in Marco e nel suo lavoro ma stavolta si era lasciato trascinare troppo dalla razionalità.

"Mirko è un bambino di cinque anni con osteosarcoma. Sapevi benissimo cosa comportava quell'intervento" lui sbuffó sedendosi su una sedia e mettendosi le mani tra i capelli, e lo conoscevo abbastanza da poter affermare che si stesse innervosendo fin troppo.

"Si, lo sapevo. Ma non c'era il tempo e te l'ho anche spiegato. Ho dato tutta la mia vita per questo lavoro e so cosa devo fare" io mi limitai ad alzare gli occhi al cielo. Non avevo la minima idea di come riuscire a salvare quel bambino, nonostante avessi sotto mano la cartella clinica che mi aveva portato Marco.

"Non esiste soltanto il lavoro, Marco"  dissi sedendomi sulla mia sedia e non alzando lo sguardo dal fascicolo.

"Quindi adesso non si tratta più di Mirko, si tratta di noi, vero?" Io soltanto in quel momento trovai il coraggio di alzare lo sguardo notando che lui aveva già gli occhi fissi su di me.

"Non possiamo andare avanti cosi, da quando sono venuta a Roma hai perso un qualsiasi tipo di interesse, quelle poche volte che riusciamo a sentirci parliamo soltanto di pazienti o finiamo per litigare. Non voglio più vivere un 'amore in corsia', ma tu sei disposto a lasciare un po' la corsia per me?" Dissi il tutto con gli occhi lucidi. Il sentimento da parte mia c'era ancora anche se dentro di me sentivo che pian piano si stava affievolendo e allo stesso tempo con lui avevo condiviso tre anni della mia relazione, era pur normale che mi dispiacesse.

"Ho dato tutta la mia vita per questo lavoro" io annui semplicemente con il rammarico dipinto in volto mentre tornai poi con gli occhi sulla cartella del bambino. Lui si alzó attirando di nuovo il mio sguardo su di lui.

"Ti passo a portare le ultime tue cose e poi torno a Milano. Sii felice, Sà" lui uscì dalla stanza lasciandomi da sola, io misi la testa tra le mani lasciando che una lacrima solitaria scivolasse lungo il mio viso. Ci tenevo a lui e sapere che ciò che provavo non era ricambiato non mi faceva stare per niente bene.
Ma nonostante tutto, avevamo un progetto in partenza e un paziente da curare. E a prescindere da ciò che diceva il cuore, non avrei mai abbandonato quei bambini alle tristi sorti.

"Sà" riconobbi quella voce senza nemmeno aver bisogno di alzare gli occhi verso di lui. Qualcuno aveva deciso che durante quel giorno non meritavo pace.

"Che ci fai tu qua?" Alzai lo sguardo verso di lui mentre lui entró nel mio ambulatorio. Io sorriso osservandolo bene, era completamente imbacuccato a causa della sua ipocondria, nonostante le temperature alte, eppure sembrava stare bene. Ma se c'era stato qualcosa in grado di far entrare Niccolò in un ospedale, doveva essere qualcosa di grave.

"Adriano mi ha chiamato in preda al panico. Ha detto che stavano cercando di venire da te ma nessuno li faceva passare" io ascoltai le sue parole per poi guardare lo schermo del computer e notare che si trattava di Tommaso.

"Sono in pronto soccorso, andiamo che li faccio salire" io uscì dall'ambulatorio aspettando che uscisse pure lui per chiudere poi la porta alle nostre spalle. Mi avviai verso l'ascensore seguita poi dal moro. L'ascensore che arrivó per prima ovviamente fu quello più stretto, che dovevo condividere con la persona che con la sua vicinanza mi faceva mancare l'aria e allo stesso tempo la stessa persona per cui mi ero ripromessa di dover star il più lontano possibile.

"Come fai a essere così calma?" Chiese lui appena si chiusero le porte dell'ascensore. Avevamo cinque piani da fare e io volevo evitare qualsiasi tipo di contatto con lui, tanto che guardai il telefono, controllando i prossimi pazienti.

"È un codice verde, Niccolò. Non c'è niente di cui preoccuparsi" risposi non alzando lo sguardo. Mi sentivo perforare l'anima dai suoi occhi nonostante erano ancora coperti dagli occhiali da sole e non lo stessi nemmeno guardando.

"Adriano non ne sembrava molto convinto" disse lui in risposta tenendo sempre lo sguardo fisso su di me e soltanto in quel momento, rassegnandomi all'idea che non mi avrebbe dato pace, alzai lo sguardo verso di lui. Inconsciamente sorrisi ricordando un Niccolò padre, ogni singola volta che vedeva o sentiva il minimo movimento da parte di Camilla nella mia pancia, andava completamente in paranoia eppure ora, sembrava non riuscire a capire il mio migliore amico.

"Adriano è il padre, andrebbe in paranoia anche se uno dei due si sbuccia un ginocchio" lui mi guardò alzando un sopracciglio per poi sorridere, anche se era completamente imbacuccato, negli anni avevo imparato a leggere ogni singola piccola rughetta del suo viso che si formava quando sorrideva, così come avevo imparato a leggere i suoi occhi anche se coperti dagli occhiali da sole.

"Me lo ricordo bene che vuol dire" lui sorrise di nuovo a quel ricordo mentre io abbassai di nuovo lo sguardo verso il telefono deglutendo a fatica, perché parlarne con lui faceva sempre così male?

"Dovremmo parlarne prima o poi, magari senza urlarci contro. Perché non ci prendiamo un caffè?" In quel momento mi sembró di non avere più respiro e la poca aria che c'era nell'ascensore inizió a mancare. Non capivo se era per il fatto che voleva parlare di ciò che era successo anni prima o per il fatto che mi avesse chiesto di prendere un caffè insieme.

"Che senso ha farlo adesso? Sono passati cinque anni, Niccolò. E poi mi sembra che tu sia stata chiaro, faccio parte del tuo passato. Siamo andati avanti ed è meglio per entrambi che continuiamo ognuno per la sua strada" notai i suoi lineamenti cambiare da rilassati a infastiditi. Stava per ribattere quando fortunatamente le porte dell'ascensore si aprirono permettendomi di nuovo di avere un respiro regolare. Notai Niccolò dirigersi verso Adriano e che si alzó seguito poi da Gaia che mi vide dietro al moro. Mi fermai davanti alla reception dell'ospedale.

"Cassio in neuropsichiatra infantile" dissi all'infermiera firmando poi il foglio mentre Adriano, Gaia e Tommaso vennero verso di me seguiti poi da Niccolò. Fortunatamente stavolta l'ascensore era quello più grande.

"Che è successo?" Chiesi ai due ragazzi mentre l'ascensore saliva, con tutta le lentezza possibile di un ascensore di un ospedale.

"Sono due giorni che ha la febbre alta, vomito e diarrea. Nemmeno con la Tachipirina si abbassa" io guardai Tommaso notandolo molto pallido in viso. Gaia tra i due era quella più calma anche se era lei che teneva in braccio Tommaso che continuava a piangere mentre Adriano continuava a mettersi le mani tra i capelli con Niccolò che provava a calmarlo inutilmente.

"Non ha mangiato nulla in questi due giorni?" Chiesi mentre fortunatamente arrivammo nel piano dove era situato il mio studio. Io aprì la porta facendo accomodare i ragazzi mente Gaia provó a poggiare Tommaso sul lettino che però non aveva nessuna intenzione di lasciare le braccia della mamma.

"Siamo stati qualche sera fa a cena, poi ha iniziato a vomitare e non ha mangiato più nulla. Abbiamo provato a dargli qualcosa ma non lo voleva e per quel poco che si sforzava di mangiare lo vomitava" io annuì ad Adriano che sembró leggermente più calmo per poi avvicinarmi a Tommaso.

"Tesoro, ma perché piangi? Mi dici dove ti fa male?" Chiesi mentre lui sembró soltanto in quel momento staccarsi dalle braccia di Gaia e sedersi sul lettino. Lui si tiró su la maglietta per poi indicare un punto nella sua pancia.

"Ho paula dell'ago, zia" avendo da poco tre anni non riusciva ancora a parlare bene e sopratutto non riusciva a dire la r, tanto che la sostituiva sempre con la lettera l.

"Ma qui non ci sono aghi. Facciamo così, se tu ti stendi e ti fai toccare il pancino da zia, poi puoi tornare a casa" lui non sembró molto convinto tanto che mi guardó storto per poi voltarsi verso i genitori e Niccolò.

"Mi dai anche anche la calamella?" Lui mi guardó ricevendo poi da me un sorrisone sincero.

"Solo se mi prometti che la mangerai quando sei guarito, va bene?" Lui annuì per poi stendersi alzando di poco la maglietta. Io sfiorai a malapena il suo pancino per capire cosa avesse. Lo aiutai a tirarsi giù la maglietta per poi aiutarlo a scendere.

"Una per te e una per Lollo. Ricordati che mi hai promesso, eh" lui annuì felice tornando poi tra le braccia di Adriano che si sedette sulla sedia seguito da Gaia e Niccolò mentre io li precedetti sedendomi nella sedia dietro la scrivania.

"Ha mangiato pesce, vero?" Loro annuirono e io cercai di tranquillizzarli in qualche modo.

"È una semplice intossicazione alimentare. Niente di preoccupante e sopratutto non c'è bisogno di farmaci. Nei prossimi giorni sarebbe opportuno farlo mangiare il meno possibile ma fatelo bere tanto, che sia acqua, succo di frutta, va bene tutto. Quando passa la febbre introducete lentamente dei cibi secchi per poi tornare ad un'alimentazione corretta" Gaia mi sorrise annuendo mentre Adriano sembró tranquillizzarsi. Sentì qualcuno bussare alla porta e soltanto dopo aver urlato "avanti" vidi comparire Marco.

"Abbiamo avuto qualche complicanza ma alla fine è andato tutto bene. È in stanza 16" io alzai lo sguardo notando il suo viso distrutto e non per l'intervento, insomma faceva interventi anche di venti ore consecutive, un intervento di due ore per lui era una passeggiata, bensì per ciò che era successo tra di noi qualche ora prima, eppure non riuscivo a capirlo. Non si interessava a me, avrebbe dato tutto per il suo lavoro, allora perché starci male?

"Grazie" dissi soltanto tornando con lo sguardo sul foglio che stavo scrivendo da rilasciare a Gaia e Adriano, mentre lui chiuse la porta.

"Ma quello era Marco?" Alzai lo sguardo verso Gaia, voleva davvero affrontare ora quell'argomento? Davanti ad Adriano e sopratutto a Niccolò?

"Si, è qui per un paziente" risposi con tutta l'apatia possibile, non era né il luogo né tantomeno il momento per affrontare quel tipo di argomento. Lei mi guardò con un sorriso malizioso e io, conoscendola fin troppo bene, alzai lo sguardo mandandole un occhiataccia che lei colse al volo. Fortunatamente tutto ciò sfuggì ai due ragazzi.

"Sà" avevo lasciato il foglio ai due genitori per poi accompagnarli alla porta e salutarli, salutando poi anche il piccolo Tommaso. Niccolò era rimasto leggermente qualche passo indietro e soltanto in quel momento si era voltato verso di me, notai che non indossava più gli occhiali da sole permettendomi di perdermi ancora una volta in quegli occhi color cioccolato di cui, anni prima, mi ero perdutamente innamorata.

"Non è mai troppo tardi, anche se sono passati cinque anni" io lo guardai senza riuscire a parlare per poi distogliere lo sguardo, facendo di nuovo fatica a reggere il suo sguardo. Lui si allontanó e io iniziai a respirare affannosamente per poi mettermi le mani tra i capelli.
Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo, o forse la verità era che lo capivo fin troppo bene, ma quell'idea mi turbava talmente tanto da non volerlo ammettere a me stessa.

Buonasera.
Le parti che avvengono all'interno dell'ospedale sono abbastanza "fantasiose", so che negli ospedali italiani non avviene nulla di tutto ciò, o almeno non nella maniera in cui l'ho scritto ma mi serviva farlo così per la storia.
So che il capitolo può risultare un po' noioso, ma spero che vi piaccia lo stesso.

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