Succederebbe Tutto - H.S.

By _ariannabianco

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Loro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè... More

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By _ariannabianco

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Edith

Stavo camminando e riflettendo sul da farsi da dieci minuti ormai, indecisa se fare una deviazione nella mia vecchia casa oppure se andare direttamente in stazione.

Mentre ci pensavo, mi sistemai meglio lo zaino sulle spalle e sbuffai quando la manica del maglione si incastrò con la spallina. La spinsi dentro il giubbotto di jeans e contemporaneamente mi maledii per non averla restituita ad Haywood.

Non ero più sicura di volerlo incontrare di nuovo dopo la sua uscita di scena: ancora non riuscivo a capacitarmi di come mi avesse circuita e poi, una volta ingannata, se ne fosse andato come se nulla fosse, con un'affermazione a dir poco scortese.

Sperava di non vedermi più.

La sua dichiarazione non mi aveva sorpreso perché lui era fatto così: formulava un pensiero e poi lo rivelava ad alta voce e senza filtri, però il suo atteggiamento mi aveva deluso lo stesso.
Non mi aspettavo una separazione eclatante, degna di un film, con i due protagonisti che finivano per scambiarsi un bacio passionale, perché noi eravamo conoscenti, ma credevo che in quanto tali avremmo potuto salutarci almeno con rispetto reciproco.

Era evidente che lui non l'avesse pensata così e, per quanto mi riguardava, eravamo a posto.

Almeno non mi avrebbe più cercata, se fossi sparita una volta per tutte.
Soprattutto perché era stato chiaro nel lasciarmi intendere che non avrebbe più abbandonato il suo lavoro per perdersi in sciocchezze come me.

Però mi andava veramente bene, lo giuravo: preferivo di gran lunga l'Haywood ispettore, determinato e irremovibile, che lo scorcio di ragazzo che avevo potuto conoscere nelle ultime ventiquattro ore o poco più.

Perlomeno quel suo lato riuscivo a capirlo e, a fatica, a gestirlo.

Alla fine decisi di recarmi direttamente in stazione, perché se ci fossero stati dei poliziotti davanti casa mia non sarei stata in grado di spiegare il mio legame con la vittima senza contraddirmi. 

Annoiata, scalciai un sassolino e lo vidi rotolare fino a quando non cadde in un tombino.

Non sapevo davvero cosa farne del mio futuro, al momento.

Notai che uno dei miei anfibi si fosse slacciato e, borbottando, mi chinai per legarlo.

In quel momento mi passò accanto un fuoristrada a tutta velocità, che provocò una ventata tale da farmi perdere l'equilibrio facendomi cadere con il sedere per terra. Insultando mentalmente il conducente, finii di fare il fiocco e mi tirai su, ma quando ripresi a camminare, notai che la macchina in questione avesse arrestato la sua corsa al fondo del marciapiede.

Doppiamente coglione, pensai mentre proseguivo in quella direzione. Tanto fumo per niente, per fermarsi pochi metri più avanti.

A volte non riuscivo ancora a capacitarmi della stupidità delle persone.

Mi affiancai al veicolo e, da curiosa quale fossi, gettai uno sguardo all'interno di essa, fino all'istante in cui il guidatore abbassò il finestrino per rivelarsi.

«Mi stai seguendo, per caso?!» Domandai infastidita.

Haywood, d'altro canto, mi guardò con la sua espressione strafottente e compiaciuta. 

«Non da molto in realtà.» Picchiettò le dita sul volante, spostando l'attenzione oltre il parabrezza.

«Posso sapere il motivo di questo pedinamento?» Appoggai le mani sopra il finestrino ormai del tutto abbassato.

Mi sembrava un dejavù, di rivivere quel giorno all' hotel di settimane prima. 

«Come sei melodrammatica.» Constatò sarcasticamente.

«Senti, non sono in vena di scherzare. Quindi  mi dici cosa vuoi ancora da me oppure puoi andartene.» Tagliai corto.

Non poteva comportarsi così con me, come se fossi un burattino da giostrare a suo gusto e piacimento. Gli avevo permesso fin troppo di pilotarmi e, adesso, ne avevo le palle piene.

«Vieni a Chicago con me.»

Soffocai una risata e: «Bella, questa. Ma da dove ti escono fuori ste cose?»

Scossi il capo e: «Incredibile, davvero.» Dissi staccandomi dall'auto per continuare a camminare verso la stazione, lasciandolo alle mie spalle.

Non aveva alcun diritto di trattarmi in quel modo irrispettoso, prima abbandonandomi sul ciglio della strada come se nulla fosse, e poi ripresentandosi per impormi di andare con lui a Chicago.

Oltretutto, cosa doveva farci lì?

Il solo nome di quella città mi faceva venire i brividi e il fatto che lui, il migliore ispettore sul campo, volesse recarsi lì, mi fece tremare ancora di più. 

«Perché non vuoi venire?»

Sollevai gli occhi al cielo quando la macchina si affiancò a me. «Perché dovrei?»

«Per farmi compagnia.»

Bloccai i miei passi e lui inchiodò.

«Stai scherzando, spero.»

«Sono serissimo, invece.»

Prendendo un profondo respiro mi voltai, mi appoggiai contro la portiera e infilai la testa all'interno dell'abitacolo. Incrociai le mani davanti a me e, dopo aver fatto appello al mio autocontrollo, cercai un contatto visivo con lui.

Fissai i suoi occhi, di un verde puro e brillante ma impenetrabile, e constatai che fosse veramente serio.

Ma perché adesso voleva la mia compagnia?

«Voglio qualcosa in cambio, altrimenti non vengo.» Provai a trattare.

Sarei tornata a Chicago solo per una buona ragione.

«Davvero? Cerchi di contrattare con me?»

Rise ma io rimasi impassibile.

«Va bene. Cosa vuoi?» Si arrese.

«Perché vai a Chicago?»

Borbottò qualcosa di poco comprensibile, probabilmente relativo al fatto che tendessi a ficcare il naso in cose che non mi riguardavano, però finsi di non ascoltarlo e, anzi, lo incitai con un'occhiata a parlare.

«Hanno trovato un uomo assassinato all'Hotel Loop Chicago. Voglio indagare.» Tagliò corto.

«Perché?» Finsi di essere il più neutrale possibile.

Dentro di me, invece, stavo morendo lentamente: se avesse indagato veramente a fondo, avrebbe potuto trovare delle tracce che lo avrebbero condotto a me, anche se ero piuttosto certa di non averne lasciate, e sarebbe stato un disastro. Forse avrei dovuto andare a Chicago, giusto per controllare la situazione.

«Se vuoi sapere il perché, voglio un'altra cosa in cambio.» Appoggiò il gomito sul lato del suo finestrino, osservandomi compiaciuto.

«Cosa?»

«Che tu mi aiuti nell'indagine.» 

La sua richiesta mi spiazzò, sopratutto perché non mi era sembrato di capire che i suoi casi venissero gestiti esclusivamente da sua altezza Haywood Atkinson, quindi aggrottai le sopracciglia mentre cercavo di dare un senso a quella situazione.

«Tutto qui?»

Dov'era il trabocchetto?

«Tutto qui.» Scrollò le spalle.

«Allora, sali?» Si allungò per aprire la portiera del passeggero dall'interno e mi scrutò con una determinazione tale che mi fu impossibile dire di no.

«Mi auguro che tu rispetti la tua parte del piano.» Esitai, ma la mia mano era già sulla leva dello sportello.

«Tranquilla.» Mi fece l'occhiolino e io, sospirando, mi arresi e salii in auto.

«Tranquillo è morto.»

*


«Posso accendere la radio?»

«No.» Tagliò corto e io, sbuffando, ritornai a guardare il paesaggio fuori dal finestrino scorrere sotto i miei occhi. 

I viaggi lunghi mi annoiavano e il pensiero di doverlo affrontare immersa nel silenzio mi faceva venir voglia di aprire la portiera e di gettarmi in corsa.

«Allora parliamo.» Proposi, ma invece di rispondere a parole, lo fece con un gesto, ossia accendendo la radio. 

Sollevai gli occhi al cielo.

Grandioso.

Prima mi proponeva di fargli compagnia e poi, appena gli chiedevo di conversare, mi troncava sul nascere. Ero felice che avesse acceso la radio, accogliendo la mia richiesta, ma non conoscere il motivo che lo spiengesse a non volersi confrontare con me, mi frustrava parecchio. Soprattutto perché, di fatto, non gli avevo fatto nessun torto.

«Perché vuoi che venga con te a Chicago se poi non hai intenzione di professare parola?»

Mi voltai e, nel farlo, i capelli scapparono da dietro le orecchie, dove li avevo sistemati dopo essermi tolta il giubbotto.

«Non lo so.»

«Non lo sai?»

Che razza di risposta era? 

«No.» Scrollò le spalle senza distogliere lo sguardo dalla strada. 

Quel ragazzo era un vero e proprio dilemma, un secondo prima era disponibile e l'altro irritante, però era anche bellissimo e mi maledii per averlo pensato.

Il sole era nascosto tra le nuvole, ma la luce che filtrava attraverso esse illuminanò i suoi ricci e li rese ambrati. I suoi capelli erano piuttosto lunghi, per essere un uomo, ma non avevano nulla di femminile. Anzi, li trovavo addirittura di una bellezza quasi classica, come ogni lineamento del suo viso e ogni tratto del suo corpo.

Era un tripudio di equilibrio ed armonia. 

Risi tra me e me constatando che, di fatto, rapportarsi con lui fosse tutt'altro che armonioso ed equilibrato.

«Per quanto ancora vuoi osservarmi?»

Colta in flagrante da un'occhiata fugace, spostai subito l'attenzione sulle mie mani intrecciate sulle gambe, e arrossii. «Non ti stavo fissando.»

«Ma se non ci credi nemmeno tu mentre lo dici.»  Fece dell'ironia e io, infastidita, gli tirai un colpo sulla spalla. 

«Smettila. Non ti guarderei se tu mi parlassi.»

«Quindi lo ammetti.»

Sussurrai un epiteto poco cortese, che fu accettato con grande divertimento da parte sua, e io alzai il volume della radio per non dover sentire la risata di Haywood che, dovevate credermi, era meravigliosa. Ma, alla luce di quanto accaduto in casa sua prima di partire, ritenevo fosse meglio ascoltare lo speaker che parlava delle previsioni del tempo dei prossimi giorni.

Proprio quando la stazione radiofonica stava per cambiare rubrica, Haywood la spense e picchiettò l'indice sulla mia coscia per richiamare la mia attenzione.

«Dimmi.» Replicai senza smettere di fissare il punto in cui il suo dito mi aveva sfiorato.

La pelle al di sotto dei jeans stava formicolando. 

«Vuoi parlare, quindi parliamo.»

Se avessero distribuito il premio per la persona più lunatica del mondo, lo avrebbero consegnato sicuramente a lui.

Nonostante la mia frustrazione, accolsi al volo l'opportunità e, per quanto possibile, mi girai per poterlo osservare. Appoggiai la schiena tra il sedile e la portiera. 

«Ti piace l'arte? Ho notato che in casa tua ci sono riproduzioni di molti quadri importanti.»

Avevo scelto quella domanda per rompere il ghiaccio, perché credevo fosse innocua, infatti mi aspettavo che rispondesse subito e con estrema tranquillità, invece lo vidi irrigidirsi sul sedile del conducente come se avessi appena toccato l'unico tasto che non avrei dovuto sfiorare.

«Vuoi davvero incominciare la conversazione parlando di arte?»

«Perché no? Io amo l'arte, in tutte le sue forme.» Provai a metterlo a suo agio e: «Beh, oddio. L'architettura non mi fa sempre impazzire. È bella da vedere ma difficile da studiare.» Mi corressi.

«Neanche a me piace particolarmente, però amo molto Van Gogh.»

«Ho notato la Notte Stellata, infatti. Però non mi sarei aspettata che Van Gogh fosse tra i tuoi pittori preferiti.»

L'artista in questione non aveva dipinto una qualsiasi notte stellata, ma aveva dipinto la sua notte stellata, aveva preso quello squarcio di natura al di fuori della finestra del suo manicomio e l'aveva interiorizzata, l'aveva resa propria restituendone una visione del tutto soggettiva, proiezione della sua stessa anima, che viaggiava tra le paure, il sentimento, il tormento.

Perciò fu sorprendente scoprire quanto ad Haywood, sempre così pragmatico, piacesse.

«Ah sì? E come mai?» Sembrava essersi incuriosito, oltre che sciolto.

«Non lo so, pensavo fossi più uno da pittori realisti. Courbet, Millet...Sai, uno di quelli che vogliono riportare sulla tela la realtà concreta, quella fatta di fatiche e di sforzi, e non soltanto quella degli agi. Credevo che ti piacesse più uno di loro, ecco. Un artista che, senza munirsi di filtri, riporta il dato oggettivo a prescindere da quanto questo sia schiacciante, crudo e sconvolgente.»

Di fatto, i pittori che avevo menzionato non rientravano tra i miei preferiti, ma se avessi dovuto pensare ad Haywood per come avevo imparato a conoscerlo, lo avrei ricondotto sicuramente a loro e non ai grandi Raffaello, Michelangelo, Da Vinci, o addirittura il Canova, per i quali le forme e le regole erano tutto.

Ovviamente per Haywood le norme erano altrettanto importanti ma, a differenza loro, non idealizzava: al contrario, lui era un ragazzo dalla passione per lo schiacciante realismo e per l'autenticità estrema.

«Sai, apprezzo il tuo commento, però se ricordi agli esordi Van Gogh si era appassionato del sociale, dei ceti minori e delle loro sofferenze, poi in un secondo momento ha abbracciato l'impressionismo e l'ha talvolta superato, diventando uno dei migliori artisti post-impressionisti.» Mi corresse. «Ritornando al quadro, la Notte Stellata nasce da un contatto diretto con la realtà che, però, non viene resa fedelmente bensì interiorizzata fino all'estremo. Non a caso diventa una potente visione ornica che fa affiorare tutte le sue emozioni, le sue paure, i suoi tormenti, i suoi viaggi dell'anima, e questa forza è resa dalla sua pennellata ineguagliabile. È la sua notte, non so se mi segui.»

Mi riservò un'occhiata veloce. «È qualcosa di estremamente unico e mi piace. Mi fa impazzire la sua autenticità nonostante il resto, a prescindere da come potessero considerarlo i suoi contemporanei.»

Sentirlo parlare di Van Gogh con tanta passione mi fece quasi venire voglia di riprendere in mano i testi di storia dell'arte per rivedere insieme ogni opera, ma preferii continuare a confrontarmi dato che opportunità del genere erano rare con lui.

«Quindi, da questa tua dichiarazione, posso desumere che tu sia un amante l'autenticità. Che poi sia in linea o meno con la mentalità più conforme e diffusa non ti interessa. L'importante è essere vero a prescindere dagli altri e da quale sia la la loro visione del mondo, giusto?»

«Più o meno.»

Sorrisi e, dato che si era ormai sciolto, gli sottoposi un altro quesito. «E invece perché l'Ophelia di Millais

Ne avevo visto la riproduzione di sfuggita prima di uscire di casa, ed ero rimasta ancora una volta piacevolmente colpita da come Haywood potesse essere rimasto catturato da una tela come quella, che solitamente non attirava l'attenzione di molti, e non da una più famosa.

Supposi che la sua scelta fosse stata legata all'edizione di Amleto che avevo visto sul suo comodino.

«Poi dovrai anche spiegarmi perché sai tutte queste cose.» Precisò, ma non protestò e: «Comunque ho scelto quella copia per i fiori, essenzialmente.»

«I fiori?» L'ultima volta che avevo studiato l'Amleto era stato molto tempo fa, per cui non mi ricordavo esattamente cosa volessero significare.

«Ogni fiore, secondo la tradizione, rappresenta qualcosa. Ophelia, nel momento in cui è metaforicamente uccisa da Amleto, perché lui ha rifiutato il suo amore e ha assassinato il padre, cade in uno stato di follia che lei manifesta attraverso la poesia e lanciando dei fiori o delle erbe particolari. Ad esempio, il rosmarino, è quella del ricordo.» Mi lanciò un'occhiata di traverso per vedere se lo stessi seguendo, ma la verità era che non riuscissi a smettere di ascoltarlo. «Ma non voglio annoiarti. Di fatto, l'ho scelta per il papavero, che simboleggia l'oblio. Non chiedermi perché, ma in quel momento l'ho trovato interessante.»

«E quella per Shakespeare è una passione o...?» Mi sistemai nuovamente contro il sedile e guardai davanti a me, dove i cartelli dell'autostrada segnalavano l'ingresso per un autogrill. 

«In realtà è la prima volta che mi approccio a Shakespeare con serietà. Non so ancora se mi piaccia o meno, ma ho trovato Amleto stimolante. È molto moderno, credo. Adesso non voglio fare il critico letterario, ma penso che sia un po' tutto noi.» Azionò la freccia a destra e si preparò ad immettersi nella corsia di decelerazione. 

«Concordo, anche se ammetto di non conoscerlo benissimo. Sai, io sono una che ha trovato stimolante Macchiavelli e Alfieri, per cui  personalità totalmente diverse. Una volta una mia amica mi ha detto di essere masochista, per questo.»

«Credo che potremmo continuare questo dibattito più avanti, che dici? Adesso avrei un po' di fame.» Concluse Haywood parcheggiando l'auto e spegnendo il motore.

«Abbiamo parlato troppo eh?» La buttai sul ridere mentre prendevo lo zaino sui sedili posteriori e scendevo dalla macchina.

Richiusi lo sportello dell'auto insieme ad Haywood che, pochi secondi più tardi, fu al mio seguito.

«Decisamente. Penso che questo dibattito si possa sostituire alla tua richiesta di sapere il perché voglia indagare a Chicago.» Si accostò al mio fianco.

«Vedremo.» Gli sorrisi.

«No, è certo.» Sentenziò tenendomi aperta la porta e spegnendo ogni entusiasmo provato sino ad allora.

Così ritornò ad essere quello di sempre: un ragazzo interessante circondato da impenetrabili mura. 

Sospirai, ma non replicai nemmeno.

*

Uscii dall'autogrill e seguii Haywood, che mi aveva lasciata indietro con le mani piene di cibo.

Invece di tornare verso l'auto, ci spostammo presso l'unica porzione di marciapiede esposta al sole e facendo attenzione a non far cadere gli snack, ci sedemmo l'uno accanto all'altra, con lui alla mia destra. 

«Credo che la situazione ci sia sfuggita di mano.» Constatai mentre rovesciavo sulle mie gambe un pacchetto di mandorle, una barretta di cioccolato agli Oreo, il sacchettino contenente il mio croissant alla marmellata e una bottiglia d'acqua naturale.

«Decisamente.» Concordò appoggiando sulle sue gambe la focaccia chiusa in un involucro di carta, due Kinder bueno e una bibita energetica. 

Sì, abbiamo esagerato.

In mia discolpa potevo dichiarare di non aver consumato un pasto decente dalla cena a casa di Heath, perchè il morso alla barretta di stanotte non poteva essere considerato tale.

«Però conta che non faremo più soste. Almeno, questa è la mia intenzione.» Aggiunse e io annuii.

«Grazie.» Afferrai il bicchiere contenente il cappuccino che mi stava passando e: «Anche per aver pagato, intendo. Posso restituirti la mia parte, sai?»

Tentai nuovamente di saldare il mio debito, ma lui scosse il capo, irremovibile.

«Va bene così.» Mi assicurò, anche se continuavo a sentirmi in colpa. 

Più che altro non ero a disagio perchè Haywood avesse speso dieci dollari per me all'autogrill, quanto più perchè avesse deciso di pagarmi per un mese l'albergo nel quale vivevo momentaneamente nel Queens. Non sapevo come, ma sembrava che già allora avesse intuito che non avessi una dimora fissa. Quindi non volevo pesargli ulteriormente, soprattutto non dal punto di vista economico.

Un camionista ci passò davanti e squadrò Haywood dalla testa ai piedi a causa del suo abbigliamento: indossava ancora i pantaloncini corti che gli avevo visto a casa sua ma non sembrava curarsene o avere freddo. Per cui fulminò con lo sguardo l'uomo impiccione, che si dileguò tornando al suo tir.

Rimanemmo in rigoroso silenzio per diversi minuti, attimi nei quali la tensione salì incontrollata perché non sapevo come procedere e comportarmi: se mi fossi fatta gli affari miei mi avrebbe considerata maleducata, adesso che avevamo fatto dei progressi? 

Siccome non accennava a parlare, aprii il sacchetto e tirai fuori la brioches: la avvolsi nella carta e, mentre ne addentavo un pezzo, rivolsi un'occhiata repentina ad Haywood. Quest'ultimo, però, mi stava già osservando così, colto in flagrante, spostò l'attenzione altrove. 

«Io ho rispettato la mia parte del patto.» Continuando a guardare il cielo, sferzò il silenzio che era diventato imbarazzante e: «Adesso è il tuo turno.» Concluse mordendo la focaccia farcita.

«E come potrei aiutarti nell'indagine in un autogrill?» Bevvi un sorso di cappuccino.

Anche se avrei preferito si fosse attenuto all'accordo originale, ossia di rivelarmi il preciso motivo che lo avesse spinto a partire per Chicago, non protestai: alla fine era stato gentile con me e non me la sentivo di contrastarlo. Anche se ciò non significava che mi fossi arresa.

Invece di rispondermi, sostenne tra i denti la focaccia, alzò un fianco e sfilò dalla tasca sinistra il portafogli. Lo aprì e quando vidii che la sua focaccia stesse per cadere, andai in suo soccorso e l'afferrai per il sacchetto.

Mi ringraziò e tirò fuori una fotografia. 

«La conosci?» Haywood riprese la focaccia e mi passò la foto. 

L'afferrai, aprendola sulle mie gambe, e riluttante abbassai lo sguardo.

Mi bastò riconoscere l'ambiente intorno alla bambina per capire dove fosse e di chi si trattasse, e mi si gelò letteralmente il sangue nelle vene: ero io, la bimba con i codini spaziali nel giardino di Vera -la mia vicina di casa- tutta sdentata, con il vestitino bianco e le scarpe rosa, e per poco non mi soffocai con l'ultimo boccone della brioches.

Come si era procurato quella foto?

«Perchè me lo chiedi?» Temporeggiai per controllare la tensione e per procrastinare la sua indagine, perchè di questo sostanzialmente si trattava.

Perchè mi stava cercando?

«Sei una pessima bugiarda.» Iniziò, facendomi seccare la gola e tremare le mani. «Ieri mi hai chiesto di occuparmi della morte della signora Reyes, ma lo hai fatto con un grande trasporto, una certa passione che ha reso evidente il fatto che tu la conoscessi.» Mentre si spiegava, il tono della sua voce rimase neutrale come se mi stesse dando delle semplici indicazioni per risolvere un problema non troppo complesso, e ciò mi intimorì.

Haywood era totalmente calato nel suo ruolo di ispettore,- freddo, attento, diretto- e il suo sguardo penetrante faceva intendere che non si sarebbe lasciato scappare ogni mia minima esitazione o movimento. Al ché decisi di ricompormi. 

«Cosa vorresti sapere nello specifico? Chi sia questa bambina?» Finsi di non riconoscerla, e provai ad indagare in punta di piedi perchè temevo che mi avesse voluto con sè soltanto per arrestarmi dopo avermi fatto credere di essere pseudoamici. 

«La bambina è la figlia di Jane Turner, moglie di Aaron Reyes: Gia Blue, è il suo nome. Dovresti conoscerla, se conoscevi la donna, no?» Annuii, scettica e: «Vorrei sapere qualcosa in più sul suo conto, sulla famiglia in generale.»

«Okay.»

Sospirai, soprattutto perchè non avevo alternative: se mi fossi rifiutata di parlare, avrebbe potuto fare due più due e collegare il volto della bambina a me. Se avessi confessato, invece, avrei potuto cercare di salvarmi costruendo almeno una storia credibile.

Optai per la seconda opzione e cambiai strategia.

«La signora Reyes è stata la mia babysitter per molti anni. Era una donna gentile, buona, ma anche irremovibile e severa quando si trattava dell'educazione. Per me è stata come una madre.» È stata letteralmente mia madre. «I miei genitori lavoravano spesso, perciò ho passato molto tempo con lei.»

Gli restituii la foto, sperando che gli bastassero quelle poche parole, e lo osservai di sottecchi mentre rifletteva.

Mi sentivo in colpa nei confronti di mia madre, prima per averla abbandonata e poi per stare infangando la sua memoria: apprezzavo che Haywood stesse gestendo il presunto omicidio, ma avevo anche la sensazione che lo stesse facendo in virtù di un caso più complesso, per cui avrei preferito, finchè fosse stato possibile, non essere coinvolta, quindi tutelarmi.

«Passavi del tempo anche con la figlia?»

Dover parlare di me, mi innervosì.
Quindi mi alzai in piedi e: «Più o meno, non avevamo degli ottimi rapporti. Non ci stavamo particolarmente simpatiche, infatti la madre la mandava sempre dalla vicina quando andavo da lei.» Improvvisai, pregando di esser credibile.

Parve bersela.

«Fino a quando sei stata con quella famiglia?»

«Non lo so...Otto, nove anni?» Finsi di pensarci. «Ad un certo punto sono cresciuta, sai?»

Quante domande ancora voleva farmi?

«Mandava via la figlia perchè era aggressiva?» Si alzò in piedi anche lui, ma solo dopo aver raccolto i pacchetti di snack che avevo lasciato sul marciapiede. 

«Non crederai mica che sia stata lei ad ucciderla?!» 

Sentendomi ferita nel profondo per poco non urlai, ma quando mi ricordai di dovermi contenere perché Haywood mi stava squadrando attentamente come se avesse già sospettato di qualcosa, mi schiarii la gola: «No, quello che intendevo è: Gia non sarebbe stata mai capace di queste cose.»

E mi sarebbe piaciuto se anche lui avesse potuto confermato, dal momento che mi aveva conosciuta personalmente.

«Perchè no? Se la madre la mandava via, qualcosa significa.»

Compresi il suo punto di vista e, realizzando di essermi messa nei pasticci, provai a rimediare. 

«Sì, che non poteva gestire due bambine cocciute che discutevano. Sai quanto sia tosto?» Lo guardai dritta negli occhi. «Davvero, io e Gia non ci siamo mai alzate un dito nonostante l'antipatia. Lei non era cattiva, anzi, era educatissima e rispettosa, soprattutto nei confronti dei suoi genitori.»

Quella non era una bugia.

Ero stata cresciuta con dei principi, e tra quelli il rispetto verso gli adulti e mamma e papà, che facevano di tutto per non farmi mancare nulla. Con loro non avevo mai alzato nè la voce nè le mani. Ovviamente mi ero anche arrabbiata, ma nulla che si fosse trasformato in aggressività o addirittura violenza.

«Nove anni, quindi. Hai più avuto sue notizie?»

«Perchè?» Presi la bottiglietta d'acqua e svitai il tappo.

«Perchè pare che sia morta.» Per poco non scoppiai a ridere e l'acqua mi andò di traverso. Tossii rumorosamente ed ebbi persino paura di morire asfissiata quando continuai. 

Haywood, d'altra parte, si era avvicinato e mi stava dando dei colpetti alla schiena per farmela passare e: «Tutto okay, Edith?»

«Si, grazie.» Mi schiarii la voce. «Mi è solo andata un po' di acqua di traverso.»

«L'ho notato.»

Stava ironizzando di nuovo con me? Perché non era il momento.

«Allora, pensi davvero sia morta?»

«No, per questo te l'ho chiesto.» Accortosi di aver lasciato la mano sulle mie spalle, la tolse immediatamente.

«Ho perso i contatti con quella famiglia, Haywood. Io e i miei genitori ci siamo trasferiti dalla parte opposta della città e non li ho mai più visti nè sentiti. Poi ho lasciato Manhattan, perciò...» Lasciai la frase in sospeso, ma sperai che il discorso finisse lì.

Non avrei potuto dirgli altro, anzì, mi ero persino esposta più di quanto avrei dovuto fare. 

«Perchè te ne sei andata?» 
Mi domandò mentre raccoglieva i nostri snack e mi invitava a seguirlo con un gesto del capo alla macchina.

Mi sistemai lo zaino sulla spalla e, siccome non mi aveva aspettato, lo raggiunsi con grandi e veloci falcate.

Quando finalmente fui vicino a lui, con un leggero affanno, mi spostai i capelli dietro le orecchie e lo guardai.

«Questo non rientra nell'accordo.» Puntualizzai.

Haywood sollevò gli occhi al cielo e, una volta davanti alla sua auto, fece il giro di essa per salire dal lato del guidatore. Lo imitai, quindi aprii la portiera e mi accomodai sul sedile del passeggero, gettando su quelli posteriori il mio zaino e le merendine che Haywood mi aveva passato in rigoroso silenzio. 

Fui sollevata nel constatare che la nostra conversazione sulla mia vita fosse caduta, in quanto mise in moto il veicolo e non mi considerò per diversi minuti. Lo guardai di sfuggita, giusto per accertarmi che non si fosse arrabbiato, e poichè era rilassato alla guida, mi abbandonai contro lo schienale di pelle. Anche se, dovevo ammetterlo, mi sembrava strano che avesse mollato l'osso con tanta facilità. 

Ripensai all'ultima volta che aveva avuto un comportamento del genere, quando alla fine scoprii che si fosse acquietato solo per farmi cadere nella trappola, per costringermi ad aiutarlo con le denunce contro Ray Smith, e allora mi venne spontaneo studiare nuovamente il suo viso.

«Sento che mi stai osservando, di nuovo.»

Spostai lo sguardo sul parabrezza, improvvisamente diventato interessante.

Come facesse ad avere sempre la piena visione della situazione, solo lui lo sapeva: io non sarei mai stata in grado di mantenere l'attenzione sulla strada e di accorgermi di essere guardata da un passeggero.

«Se tu mi dici il perchè te ne sei andata da Manhattan, io ti dico perchè indago su quel caso a Chicago

I miei dubbi sulla rassegnazione di Haywood si rivelarono veri, perciò non mi stupii quando provò a contrattare, al contrario mi innervosii perchè sapeva perfettamente come rigirarsi le persone senza che queste avessero una possibilità di scampo. Le scrutava, le ascoltava attentamente e poi, dopo averle fatto credere di aver dimenticato tutto -perchè nel momento in cui gli parlavi si fingeva disinteressato-, le faceva una proposta che avrebbero fatto fatica a rifiutare.

Individuava il punto debole e dopo, facendo leva sulla curiosità della persona, si ritrovava inevitabilmente pronto a colpirlo.

Era come se testasse fino a che punto si sarebbe spinta pur di ottenere ciò che desiderava: nel mio caso specifico, il perchè stesse facendo tutto quello, appunto.

«Non mi interessa più.» Respinsi l'offerta.

«Stai mentendo. Muori dalla voglia di saperlo.» 

Aveva ragione, ma non gliel'avrei data vinta.

Se gli avessi dovuto spiegare il perchè avessi lasciato Manhattan, non solo sarei scoppiata a piangere, ma mi sarei tradita con le mie stesse mani, e dato che avevo comunque ricevuto qualcosa in cambio da lui -la conversazione intima sull'arte e la letteratura di prima, che mi aveva aperto uno spiraglio sulla sua persona-, non considerai una grande perdita non conoscere il motivo del suo viaggio a Chicago.

In ogni caso, mi aveva voluto con sè e certamente io non sarei rimasta con le mani in mano, anzi, avrei fatto qualcosa per scoprirlo da sola.
Magari seguendolo, chissà.

«Fidati che mi va bene così. Forse sei tu che non puoi resitere all'interesse che provi nei miei confronti.» Scherzai e rivolsi l'attenzione fuori dal finestrino senza osservare nulla di particolare, ma con un sorriso sulle labbra perchè sapevo di aver centrato esattamente il punto.

Infatti nascose una risata con un finto colpo di tosse e, picchiettando la mano sul mio ginocchio, replicò: «L'importante è esserne convinti.»

«Oh, lo sono. Credimi.» Ridacchiai afferrandogli il polso e spostando la mano sul cambio. «Questa dovresti tenerla qui. Se non ti interesso non dovresti nemmeno cercare un contatto fisico.»

Lo presi in giro.

«Sai che roba, è solo una mano.» Sollevò gli occhi al cielo, ma sorrise di sbieco. «E ti stai solo illudendo.»

Risi sommessamente, soprattutto quando aggiunse: «Quindi non innamorarti troppo di me.»

«Adesso sei tu che ti illudi.» Mi portai una mano sulla pancia: «Non succederà mai, fidati.»

«Staremo a vedere.» Si voltò un attimo e mi rivolse un sorriso.

«Non vedo l'ora, guarda.»

N/A

CIAO A TUTTI! Oggi è un grande giorno per la storia perché raggiunge 1000 letture! Un piccolo traguardo che, per me, vale molto! Significa che la storia di Edith ed Haywood vi stia piacendo e non posso che esserne felice ed entusiasta!
Quindi eccoci qua, con questo aggiornamento bonus!

Ancora una volta Haywood rimescola le carte in tavola, quindi torna indietro e chiede addirittura ad Edith di andare con lui a Chicago! E lei cosa fa? Accetta ovviamente!

Perché, alla fine, chi li capisce quei due?!
Si odiano e poi si vogliono bene.
Si respingono e poi si avvicinano.
Si allontanano e poi si pensano.
Cari protagonisti, schiaritevi le idee per favore!

Cosa davvero è interessante in questo capitolo?

- Edith ed Haywood provano ad avere una conversazione civile che, inaspettatamente, porta a scavare ancora più a fondo una delle passioni del nostro ispettore: l'arte. Haywood parla del suo artista preferito, Van Gogh e lo fa con un trasporto tale che Edith capisce il perché gli piaccia. Alla fine Haywood è così che si sente a volte, proprio come lui!

-Haywood mostra la foto di Gia ad Edith e chiede spiegazioni. Come ha sempre detto, lui è un passo avanti gli altri e ci ha messo un millisecondo a capire che Edith conoscesse davvero la signora Reyes. Tuttavia, la nostra combinaguai riesce a cavarsela con una storiella niente male, direi. No?

E niente, amici e amiche di Wattpad! Questo è tutto! Noi ci sentiamo al prossimo aggiornamento!

Piccolo spoiler: Edith ed Haywood passeranno MOLTI giorni insieme da SOLI, a Chicago, condividendo la STESSA stanza. Cosa succederà?

Restate sintonizzati!
Un abbraccio,
Ari🌷

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