A · Breathe · Ω

By StarCrossedAyu

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[Storia di FareaFire e StarCrossedAyu] |¦ ⭐ Classificata nella Long List degli Italian Academy Awards - Fanf... More

Introduzione
01. A e Ω
02. Gelo e Calore
03. Ostilità e Attrazione
04. Rischi e Vantaggi
05. Insicurezza e Complicità
06. Imprevisto e Inesorabile
07. Amarezza e Rassegnazione
08. Raro e Spontaneo
09. Ardore e Premure
10. Confidenze e Catene
11. Unione e Violenza
12. Riconciliazione e Partenza
13. Amore e Ritorno
14. Abitudini e Inconvenienti
15. Legami e Stranezze
16. Trionfo e Malessere
17. Inizio e Fine
18. Shock e Disperazione
19. Scelte ed Addii
21. Sorpresa e Contatto
22. Rimorsi e Sintonia
23. Respirare
24. Timore e Batticuore
25. Epilogo
AB... O - Breve guida all'Omegaverse

20. Frammenti e Decisioni

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By StarCrossedAyu

Non sapere era la sensazione peggiore del mondo. Peggiorata dal fatto che era lui stesso a relegarsi in quella condizione di ignoranza forzata. Il cellulare era lì sul comodino, immobile e silenzioso, a portata di mano e se lo fissava troppo a lungo gli pareva quasi di vederlo muoversi. Di tanto in tanto, quando i suoi occhi si chiudevano per la sonnolenza causata dalla monotonia, il suono di una vibrazione glieli faceva riaprire in tutta fretta, solo per scoprire che si trattava di uno scherzo della sua immaginazione.

Erano passate ore da quando Levi era uscito dalla sua camera con la salda determinazione di prendere tutto ciò per cui aveva lavorato e soffocarlo senza pietà. Lo conosceva abbastanza da sapere che non si sarebbe rimangiato una decisione simile, non avrebbe procrastinato o rimuginato e che quindi ormai tutto doveva essere accaduto. Poteva chiaramente vederlo già seduto nell'ufficio di Smith a rivelare ogni cosa.

Non poteva invece prevedere la piega che avrebbero preso gli eventi, e sperò di cuore che niente di grave fosse accaduto... Se Smith avesse fatto del male a Levi...!

La porta della sua camera si aprì ed Eren si sollevò su un gomito, girandosi tanto in fretta da farsi quasi male. Un'infermiera che spingeva un carrellino gli sorrise, aggiunse un foglio alla cartella clinica appesa ai piedi del suo letto e se ne andò. Eren tornò a sdraiarsi, gli occhi puntati sul soffitto di quadrati bianchi e luci neon.

Non poteva essere Levi.

Non sarebbe tornato, non poteva tornare. Quando se n'era andato, in preda alla rabbia, Eren aveva specificamente chiesto alla caposala di non concedergli più l'ingresso, se mai si fosse presentato di nuovo, ma in cuor suo già sapeva che le sole parole che gli aveva rivolto come addio sarebbero state sufficienti a tenerlo alla larga. L'Alpha non avrebbe rischiato di mettere ulteriormente sotto stress il suo compagno imponendogli la propria presenza, non così presto dopo una lite così intensa, non durante un ricovero.

* * * * *

Aveva fallito, miseramente.

Una nuova fase della propria vita aveva ufficialmente inizio dove, da uomo di successo e con una famiglia in arrivo, precipitava nell'abisso dello sconforto. Non solo non era riuscito a salvaguardare l'impiego di Eren, concretizzando così le paure dell'Omega, ma aveva perso la fiducia del compagno per nulla. Se soltanto fosse riuscito nel proprio intento, adesso non si sarebbe sentito come un relitto alla deriva.

Levi si passò le mani tra i capelli con fare nervoso, seduto al tavolo nel salotto del proprio appartamento. Ci doveva pur essere una soluzione, un modo per arginare il danno ed impedire che l'angheria di Smith non costasse al ragazzo anni di sacrifici e lavoro; per dimostrargli che anche senza nascondere la propria dinamica poteva fare carriera ed arrivare ai vertici; per convincerlo che la vendetta lo avrebbe solamente condotto alla rovina, sua e delle creature che portava in grembo.

A quel pensiero, il cuore gli si strinse e lo stomaco si annodò in un groviglio inestricabile: Eren aspettava due bambini, figli inaspettatamente concepiti dall'amore che condividevano e che Levi era certo avrebbe provato per il resto della propria esistenza verso il giovane dalle iridi di smeraldo e lo sguardo di fuoco. Avrebbe fatto di tutto per loro; persino rubato o ucciso, se necessario. Non sapeva però se Eren avrebbe accettato il suo aiuto, non dopo quanto accaduto quel giorni. Conosceva troppo bene la sua indole fiera ed il suo orgoglio senza eguali, e la possibilità che rifiutasse gli alimenti per il mantenimento suo e dei bambini era molto alta. Doveva metterlo in condizione di provvedere a sé stesso e le loro creature in arrivo.

La sua mente tornò in quella stanza di ospedale dove, appena poche ore prima, lo aveva lasciato in preda alla furia e al dolore. Non osava immaginare cosa avrebbe provato nel ricevere la lettera di licenziamento, celermente inviatagli da Erwin per liberarsi di lui. Pregò che quel malessere non nuocesse al suo fisico provato, e che qualcuno si prendesse cura di lui. Sperò che avesse avuto il buonsenso di contattare la madre per ricevere il supporto che solo un genitore amorevole può elargire in momenti tanto delicati.

Fu proprio il pensiero di Carla, Omega dalla passata carriera legale, che diede all'uomo un'idea tanto improvvisa quanto azzardata. Era da molto che non sentiva la collega - almeno un paio d'anni -, ma sapeva per certo che avrebbe ascoltato il suo disperato appello. Recuperò il suo numero dall'agenda cartacea che nonostante la tecnologia moderna si ostinava a portare nella ventiquattrore di pelle nera, e digitò le cifre sullo schermo luminoso del cellulare per poi portarlo al proprio orecchio. Un solo squillo e all'altro capo qualcuno rispose con tono austero.

«Studio Legale Reiss.»

«Buongiorno, vorrei parlare con l'avvocato Ral.»

«Chi la desidera?»

«Levi Ackerman.»

Nell'udire quel nome, la segretaria soffocò un verso sorpreso.

«La prego di attendere in linea, signor Ackerman» concluse con professionalità. Furono pochi i secondi che trascorsero, prima che la musichetta di intrattenimento si interrompesse e una voce dolce come il miele lo apostrofasse con affetto.

«Deve essere in arrivo l'Apocalisse se mi chiami, in ufficio per giunta.»

Levi sollevò un angolo della bocca sottile, perfettamente certo che Petra stesse sorridendo come una bambina che ha ricevuto un cucciolo per Natale.

«Qualcosa del genere, ma ti assicuro che hai di che guadagnarne.»

«Vuoi propormi un affare?» lo canzonò lei, il fruscìo di alcuni fogli in sottofondo.

«Devo chiederti un favore.»

Petra si irrigidì immediatamente, la propria attenzione totalmente dedicata alla richiesta che il suo amico aveva da farle. Levi non aveva mai contato sull'aiuto di nessuno, era un dato di fatto, e quelle parole la scossero non poco. Posò il fascicolo del caso che stava supervisionando appena un attimo prima, dimenticandosene completamente e poggiandosi allo schienale della seduta imbottita.

«Certo, ti ascolto.»

«Preferirei discuterne di persona, se ti è possibile.»

L'avvocato non indugiò neanche un secondo: chiamò la segretaria tramite l'interfono, rimandando tutti gli impegni di quel pomeriggio alla prima data disponibile in agenda e, una volta libera, si concentrò nuovamente sulla conversazione in corso.

«Non ho ancora pranzato» informò il corvino. «In memoria dei vecchi tempi...?»

Levi abbozzò un sorriso. «In memoria dei vecchi tempi.»

* * * * *

Petra attraversò la sala da pranzo del ristorante, il suono dei tacchi ad accompagnarla lungo il tragitto. Avrebbe trovato quel tavolo – lo stesso che numerose volte li aveva ospitati anni addietro – ad occhi chiusi. Tuttavia, nonostante la sensazione oltremodo familiare nello scorgere la sua figura darle la schiena, si accorse immediatamente di quanto Levi fosse diverso dall'uomo che aveva conosciuto in passato. Si accomodò di fronte all'amico, constatando che non si fosse affatto sbagliata.

Le iridi dell'Alpha, sempre risolute, erano spente ed il suo sguardo stanco, con borse scure sotto agli occhi e il colorito più pallido di quanto non fosse mai stato in precedenza. Il suo aspetto, nonostante non risultasse trasandato, non era però impeccabile ed alcuni dettagli, come il bavero della giacca appena sgualcito ed il collo della camicia leggermente sbottonato, rivelavano molto della sua condizione psicologica ed emotiva.

Levi era provato nel fisico e nell'animo, con un pensiero ricorrente che lo distoglieva dalle vecchie abitudini che avevano contribuito a rendere la sua persona leggendaria e temuta tra i banchi dei tribunali dell'intera contea. Ciò che la colpì maggiormente, comunque, fu il suo odore. Era sempre stato bravo a mantenere un profilo discreto, qualunque fosse l'emozione che lo animasse, ma ciò che trasudava dalla sua pelle adesso era inconfondibile.

Angoscia, preoccupazione, istinto di protezione.

Il corvino era in pena per qualcuno, a tal punto da non curarsi che degli estranei percepissero il suo tormento e di mostrarsi vulnerabile. Sollevò gli occhi, trovando quelli ambrati della donna che andò immediatamente ad accarezzargli i pugni chiusi, uniti tra loro sulla superficie candida del tavolo.

«Levi...»

«Ciao, Petra.»

Uguale, eppure completamente opposto al precedente sé stesso. A Petra si strinse il cuore, mentre gli sorrideva con affetto e Levi sospirò pesantemente, riflettendo da quale punto fosse meglio iniziare. Aveva timore di sbagliare, ancora, e non poteva più permettersi alcun errore.

Un cameriere servì loro dell'acqua fresca, raccogliendo velocemente le ordinazioni per poi sparire nel nulla esattamente come era arrivato. In quel locale la discrezione era praticamente un vanto, ed era quello il motivo per cui l'uomo lo prediligeva per certi incontri d'affari.

«Hai un'aria stanca... Triste...»

«Se ti dicessi che appena qualche giorno, qualche ora fa ero la persona più felice del mondo, mi crederesti...?»

«Sì» gli rispose sinceramente. «Solo una tale gioia può portare una disperazione simile. Cosa è successo, Levi?»

L'Alpha si liberò dalla sua stretta gentile, poggiando le spalle allo schienale imbottito. Avrebbe potuto dire che si era innamorato, perdutamente e pazzamente di un Omega tanto coraggioso quanto sconsiderato, e il proprio struggimento era la diretta conseguenza per averlo perso. Sarebbe stato semplice e conciso, ma non era questo ciò che Petra aveva bisogno di sapere, non subito almeno.

«Ho lasciato la Smith & Zackley. Mi sono licenziato.»

La bocca dell'amica formò una piccola "o" per lo stupore.

«Cosa? E perché?»

L'Alpha si prese il giusto tempo per raccontarle ogni cosa dal principio, esponendole i fatti in maniera chiara e senza troppi preamboli. Tentò di suonare professionale e lucido, ma dalle sue parole trasudava tutto l'amore e la profonda stima che provava nei confronti di Eren, anche senza chiarire che fosse il suo compagno. Non fu necessario esplicare l'ovvio. Ne tessè le lodi, portando acqua al proprio mulino, ma Petra non aveva bisogno che indorasse la pillola.

La fama dei due avvocati li precedeva di chilometri, e solamente uno stolto non avrebbe approfittato di un'occasione tanto ghiotta: i migliori su piazza erano a spasso e, non appena la voce si fosse sparsa, tutti gli studi si sarebbero gettati su di loro come degli avvoltoi. La notizia della futura paternità dell'amico le illuminò il volto roseo, arricchendo un quadro che avrebbe dovuto essere idilliaco e invece era tinto dei colori della disgrazia. Proprio per questo Petra sapeva che quella non era una chiacchierata di piacere, visto il tono mesto del corvino che sembrava tutto fuorché gioioso di diventare genitore.

«Perché hai chiamato me, Levi...?» Un attimo di silenzio intercorse tra i due.

«Perché sei corretta, imparziale. Sei un ottimo legale, lo sei sempre stata, e non sei scesa a compromessi per arrivare dove sei ora. Sai cosa voglia dire essere discriminati per la propria dinamica, e quanto sia difficile farsi valere in questo ambiente di sciacalli. Smith è certamente tra i peggiori in circolazione, con la sua piramide dorata di potere, ma nessuno qui è senza peccato. Accoglieresti Eren a braccia aperte, faresti valere i suoi diritti e gli daresti le gratificazioni che merita per la sua dedizione al lavoro e il suo talento.»

La donna – Omega – sapeva benissimo a cosa Levi si stesse riferendo: lei per prima aveva dovuto lottare per far sì che le venissero riconosciuti i meriti faticosamente accumulati con anni di gavetta e, una volta raggiunta la tanto ambita quanto sudata posizione di socio senior alla Reiss, aveva fatto dell'equità e della meritocrazia un vero e proprio grido di battaglia. Gli Omega che si laureavano in giurisprudenza erano pochi, ma certamente lì erano bene accetti ed i loro diritti pienamente garantiti.

Levi dovette fermarsi un secondo, riprendere fiato perché gli sembrava che l'aria si fosse fatta di colpo irrespirabile e il terreno sotto di loro instabile. Deglutì a vuoto, un boccone amaro che aveva il sapore miserabile della perdita.

«Non so cosa lui stia provando, ora... Ho tentato di comprendere, ma è evidente che non ci sono riuscito. Abbiamo due visioni della vita così diverse che mi è impossibile capire appieno il suo travaglio, le sensazioni che lo stanno investendo. Ma tu puoi. Non mi importa quale sia il modo, o che non possa essere io a stargli accanto e sostenerlo, adesso. Desidero soltanto che Eren stia di nuovo bene, nient'altro.»

Le dita di Petra trovarono le sue in una stretta lieve, volta unicamente a confortarlo.

«Non accoglierei solo lui, Levi. Questo studio sarebbe onorato di avvalersi della vostra presenza. Ti ho sempre stimato per la tua competenza nel nostro lavoro, e gira voce che il giovane Jaeger sia secondo soltanto a te. Assumerò entrambi, puoi decidere tu le condizioni.»

La tensione che l'uomo aveva provato sino a un attimo prima si dissolse come neve al sole: Eren avrebbe ottenuto un nuovo impiego, i suoi sacrifici non sarebbero stati vani e ciò avrebbe almeno in parte rasserenato il suo animo, permettendogli di affrontare al meglio la sfida rappresentata dalla gravidanza.

«Ti ringrazio, Petra. Non ti pentirai di averlo nel tuo team» le disse, colmo di sollievo e gratitudine. «Tuttavia, personalmente preferisco declinare la tua offerta.»

«Prometto di assegnarti una buona fetta dei nostri maggiori clienti» aggiunse l'altra come incentivo. L'Alpha scosse il capo.

«Non voglio che Eren rifiuti il posto a causa mia... La situazione per ora è... piuttosto tesa. Vedersi obbligato a lavorare a stretto contatto con me potrebbe indurlo a cercare altrove. Vorrei non lo informassi di questo nostro incontro, quando lo vedrai.»

«Oh, Levi... D'accordo, farò quanto mi chiedi, ma sappi che da noi hai una scrivania assicurata.»

«Sono in debito con te.»

«Non dirlo neanche per scherzo» gli schiaffeggiò giocosamente la mano. «Gli proporrò un colloquio non appena tornerò in ufficio.»

«Aspetta almeno una settimana, potrebbe insospettirsi. Non so neanche se ha già ricevuto la lettera di licenziamento...!»

«Una settimana?! Sai perfettamente quanto sono pettegole le segretarie, di questi tempi! Qualche rivale potrebbe anticiparmi e soffiarmelo da sotto al naso. Un solo giorno» negoziò lei.

«Due.»

Petra si morse l'interno della guancia, ponderando se cedere o meno. Infine sospirò pesantemente, spostando così una ciocca di capelli rosso fragola che le ricadeva davanti al viso.

«Va bene. Non un minuto di più.»

«Sai essere ragionevole, quando vuoi.»

«E tu un gran rompiscatole.»

Consumarono il pasto prevalentemente in silenzio, scambiandosi qualche battuta senza impegno di tanto in tanto. Levi, da galantuomo, pagò il conto e una volta sulla soglia del ristorante fissò Petra negli occhi, supplicandola con lo sguardo.

«Aggiornami. Per favore...» aggiunse, la voce ridotta a poco più di un sussurro. La donna sorrise dolcemente, percependo la preoccupazione e la dedizione dell'Alpha verso il proprio compagno.

«Lo farò.»

* * * * *

«Devi mangiare qualcosa...»

«Non ho fame.»

«Non costringermi a fare il gioco dell'aeroplanino.»

Eren sollevò una delle sopracciglia. «Non sono un bambino!» replicò, col tono infastidito di chi si sente preso in giro.

«Allora non comportarti come tale. Devi mangiare di più, ora.»

Carla spinse nuovamente il piatto verso suo figlio, che con un sospiro arreso si mise seduto dritto ed afferrò il cucchiaio. Non appena le labbra toccarono il cibo, il suo stomaco si contorse per i morsi di fame che fino a quel momento aveva ignorato o nemmeno notato, troppo preso a lasciarsi tormentare da questioni su cui non aveva potere di agire e ad assenze, alle quali era troppo orgoglioso per rimediare. Da quando la madre era arrivata, Eren aveva cominciato a sentirsi rapidamente molto meglio. Forse perché ora aveva qualcuno con cui parlare, forse perché lei si assicurava che mangiasse e bevesse con regolarità. Era riuscito ad uscire da quel limbo grigio in cui era scivolato lentamente fin da quando aveva ricevuto la raccomandata di licenziamento, ultima e definitiva prova del fatto che Levi aveva davvero mantenuto la propria parola.

Con lei al suo fianco, Eren era stato in grado di tornare a casa entro pochi giorni dal tracollo che lo aveva visto protagonista, quel mattino in ospedale. Il silenzio da parte dell'Alpha continuava ad essere un peso che diventava sempre più insostenibile, ma la sconfitta bruciava ancora troppo perché potesse immaginare di fare il primo passo.

Sebbene fosse stata corretta e formale sotto ogni punto di vista legalmente attaccabile, la lettera ricevuta dallo studio in cui aveva passato più di dodici ore al giorno per cinque anni non aveva mancato di fargli percepire quando disprezzo ci fosse da parte del mittente. E riguardandola per l'ennesima volta, Eren non faceva che immaginare quali potessero essere state le espressioni dei suoi ex colleghi quando si erano resi conto che la persona con la quale avevano lavorato, gomito a gomito, per così tanto tempo li aveva ingannati. Era sicuro, ci avrebbe scommesso, che molti di quegli Alpha e Beta dalla morale corrotta tanto quanto il loro Presidente si sarebbero sentiti feriti nell'orgoglio per motivi ben differenti da un'amicizia tradita. Gli Alpha in particolare. Molti di loro già mal sopportavano l'idea che un Beta potesse metterli in ombra a quel modo, ma Eren Jaeger aveva sempre goduto della protezione di Smith, a cui importava più portare a casa vittorie, che sostenere i più incompetenti avvocati che condividevano la sua dinamica.

Tuttavia, ora era diverso.

Un Omega li aveva ingannati e battuti per così tanto tempo, restando sempre non uno, non due, ma decine di passi avanti a loro, scalando i ranghi e puntando alle cariche più alte, il tutto senza che qualcuno si accorgesse di ciò che si celava dietro un sorriso affascinante ed un paio di occhi appassionati.

In quel momento, seduto al tavolo della sua cucina, a gambe incrociate su una sedia a malapena grande abbastanza da permetterglielo, Eren era l'ombra di ciò che era stato. E si odiava per essersi ridotto in quel modo.

Un boccone dopo l'altro, tutto il cibo scomparve nella sua bocca ma lui non si mosse. Rimase seduto lì, a fissare il piatto vuoto come se potesse rivelargli il prossimo passo da fare per riprendere in mano la propria vita.

Una lettera scivolò sulla superficie liscia del tavolo.

Eren la prese, prima che superasse il bordo e cadesse a terra, poi alzò lo sguardo verso Carla, che lo osservava dall'estremità opposta.

«Cos'è?»

«Era nella cassetta, l'ho raccolta tornando dalla spesa.»

Eren la girò e sbiancò in volto, vedendo stampato sul lato opposto il simbolo di uno studio legale.

«Ne ho avuto abbastanza di questa roba» borbottò, rispedendola in scivolata verso la madre. Carla si accigliò, ma se c'era qualcuno che conosceva come il palmo della propria mano, quello era suo figlio. Così non disse nulla e abbandonò la stanza, senza toccare la lettera che rimase nell'esatto punto in cui si era fermata, per metà a sporgere sul vuoto dove una folata di vento o un minimo movimento avrebbero potuto farla precipitare sul pavimento.

«Non la voglio, ti ho detto!» le urlò dietro Eren, incrociando le braccia.

Carla non gli rispose. Lasciò il figlio solo con la lettera, l'una a fissare l'altro come se fosse una gara a chi avrebbe ceduto prima. Sorrise, quando sentì il suono della sedia che si muoveva, un sospiro, la carta che si strappava, un foglio che si spiegava.

Eren cominciò a lasciar correre lo sguardo su quelle righe sentendosi sconfitto in partenza, ma parola dopo parola la sua attenzione divenne più viva, fin quasi a fargli scordare di continuare a respirare. Una firma, fatta con una calligrafia pulita ed elegante siglava l'ultima pagina, ed apparteneva ad una donna, un'avvocatessa che conosceva da... forse fin dall'inizio della propria carriera. Era diventata famosa per il gran numero di casi chiusi, soprattutto class-action contro grandi e potenti avversari che avrebbero fatto impallidire molti legali. Studi importanti, grandi, come quello di Smith.

Eren non aveva mai affrontato Petra Ral personalmente, ma aveva incontrato – e battuto – diversi dei suoi collaboratori, nel corso del tempo. Un po' ora se ne pentiva, anche se probabilmente erano state proprio quelle sconfitte ad impressionare la donna che ora gli stava offrendo un lavoro. E lo faceva con parole curate, delicate, ma che molto chiaramente gli facevano capire quanto tenesse ad una sua risposta positiva, anche solo per qualche collaborazione se non fosse stato interessato a impegnarsi con un contratto stabile.

Eren non aveva più usato il cellulare da quel giorno in ospedale, se non per fissare con fastidio crescente la sempre uguale pagina di messaggi con Levi, che il silenzio tra loro rendeva irritante e poco interessante.

Quel giorno però, per la prima volta, l'Alpha aveva lasciato il primo posto nel podio dei suoi pensieri.

Ascoltò per qualche secondo l'ovattato suono della linea telefonica in attesa di connessione, finché una voce femminile, dal tono morbido e squillante, rispose.

«Pronto, parlo con Petra Ral? Sono Eren Jaeger. Ho ricevuto la sua lettera... Accetto.»

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