A · Breathe · Ω

By StarCrossedAyu

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[Storia di FareaFire e StarCrossedAyu] |¦ ⭐ Classificata nella Long List degli Italian Academy Awards - Fanf... More

Introduzione
01. A e Ω
02. Gelo e Calore
03. Ostilità e Attrazione
04. Rischi e Vantaggi
05. Insicurezza e Complicità
06. Imprevisto e Inesorabile
07. Amarezza e Rassegnazione
08. Raro e Spontaneo
09. Ardore e Premure
10. Confidenze e Catene
11. Unione e Violenza
12. Riconciliazione e Partenza
13. Amore e Ritorno
14. Abitudini e Inconvenienti
15. Legami e Stranezze
16. Trionfo e Malessere
17. Inizio e Fine
18. Shock e Disperazione
20. Frammenti e Decisioni
21. Sorpresa e Contatto
22. Rimorsi e Sintonia
23. Respirare
24. Timore e Batticuore
25. Epilogo
AB... O - Breve guida all'Omegaverse

19. Scelte ed Addii

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By StarCrossedAyu

Gettò i propri abiti e le lenzuola in lavatrice. Il sangue era penetrato attraverso gli strati, arrivando ad impregnare il materasso stesso. Poco importava, l'avrebbe cambiato. Non poteva dormirci, non dopo ciò che era accaduto. Con la consapevolezza di cosa avrebbe potuto ricordargli.

Lavò sé stesso, preparò una borsa con cambi di abiti puliti, oggetti utili per la permanenza di entrambi in ospedale. Non avrebbe lasciato Eren da solo neanche un minuto. Doveva esserci, qualunque cosa fosse accaduta. Lo aveva giurato.

Si trovò di nuovo nella camera dell'Omega a tempo di record. Avesse usato il teletrasporto, sarebbe stato più lento. I pneumatici della sua auto avevano letteralmente divorato l'asfalto lungo il tragitto, mentre guidava veloce ma con prudenza. Non era il caso che aggiungessero un letto accanto quello del ragazzo.

Varcata la soglia, trovò il compagno ancora assopito, un vassoio di cibo sul comodino poco distante.

Levi andò a posare il borsone nell'armadietto, sedendosi poi sul bordo della scomoda branda dove Eren riposava. Aveva gli occhi gonfi, persino adesso che erano chiusi si notava quanto avesse pianto. Non era facile accettare cosa stesse accadendo. Quanto rischiassero di perdere.

Con le dita, titubante, gli spostò la frangia. Il pensiero di ciò che germogliava nel suo ventre lo spinse a scendere più in basso e sfiorarne un lembo di pelle scoperto.

Due piccoli semi che avrebbero potuto avere piedi paffuti, tenere mani e visi tondi da ammirare...

* * * * *

Ripulito l'organismo dalle tracce dei soppressori, il corpo di Eren tornò velocemente alla normalità. La carnagione riprese colore, i suoi occhi erano più brillanti e vivaci. Il cambiamento maggiore fu nell'appetito. Levi non l'aveva mai visto mangiare così tanto, in un anno di pranzi e cene condivisi. Le flebo, uniti ai pasti sostanziosi – ed agli spuntini di dolcetti e merendine che spesso il ragazzo si faceva portare dal proprio Alpha –, riportarono nel giro di due giorni un po' di carne sulle sue ossa.

Il giovane stava gustando una leccornia al cioccolato, il compagno che lo osservava colmo di gratitudine per quel recupero così veloce, quando la dottoressa Brzenska fece il suo ingresso in camera. Tra le mani reggeva la cartella clinica di Eren, voluminosa per le numerose analisi e cui era stato sottoposto.

Levi si irrigidì immediatamente. Lo sguardo della donna era mortalmente serio, al punto che iniziò a temere fosse portatrice di brutte notizie.

Eppure, Eren stava benissimo. Aveva letto, chiesto. Si era informato su quali sarebbero state le conseguenze ed i sintomi che si sarebbero manifestati nel caso in cui l'opzione peggiore fosse divenuta realtà. Per non farsi cogliere impreparato, per non lasciare che Eren leggesse nei suoi occhi confusione o sorpresa; essere forte per lui anche in quel momento in cui una parte del suo cuore sarebbe senz'altro andata perduta per sempre.

Forse era l'istinto a guidare quei sentimenti ma pur non avendoli mai visti, pur sapendo della loro esistenza solo da pochi giorni, era già come se li avesse conosciuti da sempre.

«Dottoressa» disse, alzandosi in piedi.

«Non si scomodi, signor Ackerman. Ho qui le analisi degli ultimi tre giorni e sono molto positive. Per quanto mi riguarda, siete liberi di tornare a casa oggi stesso.»

Eren, che in tutto il tempo non aveva smesso di mangiucchiare il suo dolcetto, quasi lo strinse tra le dita.

«Stanno bene?» chiese, portando un braccio a circondarsi lo stomaco.

«Una gravidanza, la prima, gemellare e dopo aver messo il fisico sotto sforzo? Sono stabili, ma delicati.»

Gli occhi di Levi non abbandonarono quelli della donna, mostrando serietà e compostezza quando avrebbe invece solo voluto cantare per la gioia di saperli vivi. Istintivamente, strinse la mano di Eren, adagiata sul letto.

Per far sì che la situazione rimanesse tale, però, molte cose andavano cambiate.

«Faremo tutto ciò che è necessario affinché crescano sani e forti. Seguiremo le sue indicazioni.»

La dottoressa si portò una ciocca dietro l'orecchio, parlando con aria professionale.

«Mi pare superfluo farvi notare che questa è, a tutti gli effetti, una gravidanza a rischio. Non so quali siano i motivi che l'hanno spinta a mischiare tanti soppressori, Signor Jaeger, ma vanno posti inderogabilmente in secondo piano. Lei necessita di riposo: nessuno sforzo di alcun genere, deve condurre uno stile di vita sano e nutrirsi in maniera adeguata. Eviti i salumi, prediliga frutta e verdura, assecondi le sue "voglie" perché è il suo organismo che le comunica un fabbisogno. Le visite, con me o un diverso medico se lo desidera, dovranno essere frequenti e regolari. Mi aspetto che metta su almeno tre chili nelle prossime settimane, è fortemente sottopeso data la sua dinamica e soprattutto il suo stato.»

Ognuna di quelle parole furono assorbite dall'Alpha, intenzionato a mettere in pratica, alla lettera, quei consigli, quasi fossero dei comandamenti divini.

«Vuol dire che non mi segnalerete?»

La voce di Eren spezzò per un momento il flusso di pensiero dell'uomo.

«Per quanto sconsiderata, la sua condotta non è stata illegale. Può essere paragonata a chi mescola alcol e farmaci, con la differenza che lei non è stato un pericolo per nessun'altro al di fuori di sé stesso. Fino all'arrivo dei bambini, perlomeno, di cui non era a conoscenza...»

«No, assolutamente... Sospenderò i soppressori durante la gravidanza, non voglio che capiti loro qualcosa...»

Quelle parole fecero annuire la dottoressa, che riprese a parlare con il suo monotono tono informativo dell'esatta dieta che il ragazzo avrebbe dovuto seguire, delle varie figure mediche che l'avrebbero seguito, delle fasi che quei successivi sei mesi avrebbero comportato.

Dentro Levi però qualcosa si agitava. Un fastidio che non faceva che pizzicargli il petto, come un insetto con il suo pungiglione velenoso.

Durante la gravidanza, aveva detto Eren. Un limite molto specifico. Un tempo determinato, finito il quale... Cosa sarebbe accaduto? Attese che la dottoressa uscisse, promettendo di tornare al prossimo turno con le carte per la dimissione, e che Eren ritornasse al proprio dolce, lasciato in disparte durante la conversazione ma non per questo dimenticato.

Andò a chiudere la porta, con calma, controllando sé stesso ed il proprio odore, per non mettere in allerta nessuno, soprattutto il ragazzo.

Restò un attimo lì fermo, radunando i pensieri e facendo ordine tra le priorità.

«Come hai intenzione di gestire la situazione...?»

Il suo fu un mormorio basso ma deciso, e la mano di Eren si fermò a mezz'aria mentre portava nuovamente il dolcetto alla bocca.

«In che senso...?» domandò, incerto.

«Il lavoro.»

«Oh. Beh, sarà difficile... Ma credo di poter convincere Smith a lasciarmi lavorare da casa, per qualche mese, fino alla nascita. Mi adora, e se farò in modo di non perdere neanche un caso nel frattempo, non mi farà problemi e...» si fermò un attimo, contando sulle dita, «ad Aprile, Maggio al massimo, potrò rientrare in studio.»

Soddisfatto, afferrò il dolce e lo spinse in bocca, finendolo in un solo boccone.

«Dirò che mia madre sta molto male, o che è la mia compagna ad avere una gravidanza a rischio. Cose così, me la caverò» aggiunse, parlando a bocca piena mentre tornava a stendersi comodamente sui cuscini.

Il corpo dell'uomo si irrigidì, udendo la conferma di ogni sua paura fluire dalle labbra del compagno come se fosse tutto un'inezia, un intoppo sul proprio percorso facilmente aggirabile, una faccenda di poco conto.

La verità, invece, era una sola, e probabilmente Eren l'aveva totalmente sottovalutata: aveva rischiato di morire.

Quando gli occhi dell'Alpha incontrarono quelli del ragazzo, quest'ultimo vi lesse la fiera determinazione che lo animava ancor prima che il suo odore mutasse.

«Credi davvero che ti permetterò di farlo...? Che ti lascerò prendere ancora quell'intruglio come se nulla fosse accaduto, niente sia cambiato?» Il suo tono era tremendamente basso, nel vano tentativo di contenere la rabbia. «Avremo dei figli, Eren. Diventerai madre, e renderai me padre. È così che vuoi la nostra vita? Costantemente preoccupati che il tuo fisico non regga lo stress delle medicine, consumandoti giorno dopo giorno? È questo che desideri per noi, per loro

In quei momenti, rari, rarissimi, Eren ricordava che Levi oltre ad un uomo e brillante avvocato di successo, era anche un Alpha e che possedeva ogni goccia di quel potere intimidatorio ed autoritario, anche se era capace di tenerlo sotto controllo meglio di chiunque altro avesse mai incontrato.

L'Omega quindi inspirò la sua rabbia, ed Eren fu costretto a strozzare un guaito in gola, per impedirsi di dargli voce.

«È successo solo perché mi hai... Insomma, perché sono capitati i gemelli. Stavo benissimo prima e sarei stato benissimo anche dopo...» provò a replicare, cauto e testardo come solo Eren poteva essere, un Omega che tiene testa al suo Alpha.

«Oh, non ci provare nemmeno, non osare prendermi per culo o a scaricare le tue colpe su di me!» sbottò, esasperato dal modo in cui il suo mate negasse l'evidenza.

«Le mie colpe?! Sarebbe colpa mia se aspetto dei bambini?! Mi sono scopato da solo, vero?» ringhiò mettendosi seduto sul letto, la schiena dritta ed i pugni chiusi.

L'Alpha si morse il labbro, costringendosi a respirare profondamente.

«Anche io ho la mia parte in tutto questo. Avrei dovuto fermarti, impedirti di continuare ad avvelenarti in nome di una vendetta che non ti ha portato altro che problemi. Hai mai notato quanto tu sia fottutamente magro? Lo sei sempre stato e, se la tua dinamica fosse realmente quella di un Beta, non ci avrei dato troppo peso. Ma sei un Omega, Eren, e il tuo corpo emaciato tenta disperatamente di proteggere ciò che hai in grembo.»

Gli si avvicinò, prendendogli le mani e portandosele al viso, gli occhi chiusi e il cuore che batteva all'impazzata. Eren era sulla difensiva, il suo sguardo freddo ed ostile. Era il momento della verità, la resa dei conti.

«Vieni a casa con me, a casa nostra. Mi prenderò cura di te, dei nostri bambini, vi darò tutto ciò di cui avrete bisogno e anche di più. Lascia questo lavoro, rassegna le dimissioni. Troveremo un altro posto dove non sarai costretto a nascondere chi sei per fare carriera. Ti prego, Eren...» esalò trattenendo il fiato, in attesa. Sperò che la sua supplica fosse sufficiente a distoglierlo dai suoi propositi, che ciò che aveva da offrirgli fosse abbastanza.

L'espressione di Eren si oscurò. Non c'era più rabbia, sul suo viso, ma Levi non lesse alcun assenso o entusiasmo nei confronti della propria proposta e quella era di per sé già una risposta.

«So che lo farai. So che non gli farai mai mancare niente ed ogni loro bisogno sarà soddisfatto...» disse, con voce calma. «Ma quel lavoro è importante per me... Quello che Smith ha fatto e continua a fare, io sono l'unico che sia mai arrivato così vicino a fermarlo...»

Qualcosa nel petto di Levi si ruppe. Percepì distintamente la crepa che si era formata espandersi, nel momento in cui la consapevolezza che Eren non si sarebbe fermato aveva attecchito e messo radici.

Raddrizzò la schiena, assumendo una posizione fiera, da Alpha, nonostante il suo orgoglio fosse profondamente ferito. Tuttavia, non avrebbe lasciato che quest'ultimo gli fosse d'intralcio.

«L'unica cosa importante, per me, sei tu. Se non hai intenzione di rinunciare, se non vuoi tirarti indietro, mi costringi ad andare all'ufficio del personale per comunicare loro la tua reale dinamica.»

Pronunciò quelle parole con la morte nel cuore, consapevole che le conseguenze sarebbero state difficili da affrontare. Eppure, non si era reso conto di quanto.

Lo sguardo che Eren gli restituì fu di puro terrore. Levi era certo di non averlo mai visto davvero spaventato, perché niente nell'anno appena trascorso si era lontanamente avvicinato a quello.

«Ah... No. No, Levi non–... Perderei ogni cosa per cui io abbia lavorato, da... Da quando ho memoria.»

Non si trattava più solo dei cinque anni passati allo studio di Smith. Levi stringeva ora in palmo di mano la sua intera vita: gli anni passati a promettere alla madre che le cose sarebbero cambiate, gli studi disperati per poter essere il primo in ogni corso della propria università e mantenere le borse di studio, le lettere di raccomandazione che l'avevano condotto fino allo studio di Smith. E tutto ciò che aveva ingoiato, boccone amaro dopo l'altro, durante il periodo trascorso tra quelle mura.

Aveva consegnato a Levi il suo più grande segreto, le sue speranze ed il suo sogno. L'aveva sempre considerato un luogo sicuro, in cui riporli. E dentro di sé non riusciva a concepire che ora quel rifugio fosse sotto assedio.

«Non puoi farlo...»

Quanto poteva fare male, un simile sguardo. Essere coscienti di avere il coltello dalla parte del manico e pronti ad affondare la lama lì, dritta nel suo cuore.

Levi sapeva che stava rischiando ogni cosa, ogni possibilità di costruire un futuro insieme ad Eren, una famiglia unita, un percorso condiviso.

Il loro rapporto, forse, non sarebbe sopravvissuto a un simile colpo. Ma Eren sì.

Il corvino strinse i pugni e digrignò i denti, sputando fuori le parole che probabilmente lo avrebbero condannato a un'esistenza misera ma in cui l'Omega era vivo, in salute e accudiva i piccoli miracoli che avevano concepito insieme.

«Preferisco mandare tutto a puttane, piuttosto che seppellirti. Mi dispiace, Eren, ma se devo perderti sarà alle mie condizioni.»

La sorpresa si tramutò subito in rabbia. Spostando le coperte, senza distogliere lo sguardo dal suo viso, scese dal letto. I piedi nudi colpirono il pavimento freddo e si appoggiò al comodino, quando sentì le gambe tremare. Dopo gli ultimi giorni passati a letto, dovevano sostenere il peso di un corpo più pesante di quanto ricordassero.

Levi si sporse istintivamente per aiutarlo, ma un deciso schiaffo sulla sua mano lo fece indietreggiare. Nella stanza si respirava solo furia e disprezzo.

«Non posso credere che tu, dopo tutto questo, possa fare una cosa del genere! Non me ne frega un cazzo della tua sindrome dell'eroe, è con la mia vita che stai giocando a fare Dio!»

Era questo che pensava...? Che agisse così solo per coscienza e null'altro?

Lo sguardo di Levi si fece vitreo, la sua espressione illeggibile mentre il cuore si accartocciava su sé stesso, pronto a disintegrarsi definitivamente.

«Posso comprendere il tuo rancore. Posso sopportare il peso della mia scelta. Ciò che non posso accettare, è vivere in un mondo in cui tu non esisti, Eren.»

Nel momento in cui gli diede le spalle, pronto ad andarsene, Levi percepì distintamente il filo ad unirli tendersi fino allo stremo. Probabilmente, non si sarebbero visti per molto tempo.

«Ti amo.»

E quando richiuse la porta dietro di sé, udendo Eren battere rabbiosamente i pugni sull'uscio bianco, il filo si spezzò al suono della sua rabbia.

Lo faceva per lui, si disse.

Lo faceva per tutti loro.

* * * * *


Il fischio dell'altoparlante, collegato direttamente al piccolo auricolare della segretaria, attrasse l'attenzione dell'uomo, impegnato a leggere alcuni spessi fascicoli.

«Signor Smith, il Signor Ackerman chiede di vederla.»

Ackerman? Levi non aveva preso un congedo, per quei giorni? Che cosa ci faceva in ufficio a quell'ora del mattino? Perfino lui non aveva ancora ricevuto il caffé che ogni giorno un'avvenente cameriera gli portava a mano dallo Starbucks più vicino.

«Fallo entrare» rispose, aggrottando la fronte, mentre metteva da parte il proprio lavoro.

La porta si schiuse, attraversata dalla sagoma sbiadita del suo uomo migliore. Beh, uno dei due.

Levi era pallido – più del solito almeno –, col viso stanco e lo sguardo spento. Non indossava il suo completo sartoriale, né pareva lì per una visita di piacere.

«Buongiorno» disse, prima di prendere posto dinanzi la sua scrivania perfettamente lucidata.

«Ti risponderei altrettanto, ma la tua faccia mi dice tutto il contrario. Hai avuto una notte brava? Ti sei ubriacato e hai dimenticato che non dovresti essere qui?»

Avrebbe dovuto ridere, forse. Una simile eventualità equivaleva a cancellare dalla memoria l'ultimo anno della sua vita. Non aver trovato Eren, febbricitante e in pieno calore, rintanato nel suo ufficio. Non aver vissuto i momenti più belli della sua grigia esistenza. Non essersi innamorato di un giovane Omega dagli occhi ardenti e il sorriso più bello che avesse mai visto.

Abbozzò un sorriso di circostanza, passandosi una mano tra i capelli. «Non proprio. Devo parlarti di una questione... delicata.»

L'espressione di Smith si fece seria, ma il suo sorriso era gentile e gli occhi sinceri.

«Dimmi tutto» rispose. «La mia porta è sempre aperta.»

E lo era davvero. Smith avrebbe dato e fatto qualsiasi cosa per compiacere il suo fiore all'occhiello, ingraziarsi Levi Ackerman era la prima voce in cima alla sua lista di cose da fare, sempre.

Si alzò per recuperare due bicchieri ed una bottiglia di qualche liquore vecchio e costoso che Levi non degnò nemmeno di uno sguardo. Bere era l'ultima cosa che voleva, in quel momento. In molti avrebbero preferito annegare un po' di quei ricordi ed emozioni nell'alcol, ma non lui.

Levi aveva una missione e qualcuno che dipendeva da lui.

Fece vorticare lentamente il liquido nel freddo cristallo, osservandolo incresparsi mentre raccoglieva le idee. Doveva agire non come uomo, bensì in qualità di legale: era lì per perorare la causa di Eren, dopotutto.

«Sai quanto ti stimi come avvocato» iniziò, evitando qualunque complimento sul piano personale, «e che il bene dello studio è la priorità.»

Smith lo fissava, in attesa di un chiarimento.

«Jaeger è giovane, ma pieno di tenacia, intraprendenza e soprattutto talento. È bravo, lo sappiamo noi e lo sanno gli altri.»

Tutto si aspettava, meno che l'argomento centrale diventasse Jaeger.

Smith lo osservò in silenzio, soppesando le sue parole. Ackerman non gli sembrava il tipo d'uomo che corre dal capo se ha un problema con un collega, quindi uno scontro tra i due era da escludersi. E non era sicuramente neanche un tentativo di metterlo in cattiva luce, screditarlo, un atto compiuto per invidia: di cosa avrebbe dovuto essere invidioso? Sapeva bene che nonostante i suoi grandi progressi, Jaeger era e rimaneva un ragazzo, mentre lui per anzianità ed esperienza avrebbe potuto ottenere ciò che voleva con un semplice schiocco delle dita.

«Prosegui.»

Il palato di Levi era arido, ma non cedette alla tentazione dell'alcol. La concentrazione doveva essere alta.

«Ciò che sto per dirti non compromette in alcun modo la sua professionalità. Tuttavia, alla luce di alcuni eventi recenti, mi sembra opportuno metterti al corrente di un errore burocratico.»

Un respiro profondo, lo stomaco contratto per la tensione e, non senza un certo sforzo, si liberò del segreto che custodiva da un anno a quella parte.

«Eren Jaeger è un Omega.»

Il sorriso si pietrificò sul viso di Smith. Levi gli vide stringere le dita attorno al bicchiere, poi portarselo alle labbra mentre l'aria si riempiva di una risata tesa.

«Levi, non so da dove ti è uscito all'improvviso tutto questo senso dell'umorismo!»

«Non mi sarei mai presentato qui se non fossi certo di ciò che dico. È una faccenda che può facilmente essere chiarita con l'ufficio del personale, selezionando la sua reale dinamica. Come dicevo prima, questo particolare non intacca assolutamente la sua bravura come avvocato.»

L'aria della stanza sembrava essersi gelata all'improvviso. L'insistenza dell'uomo nel sottolineare i talenti, il suo sguardo serio, l'aspetto disordinato...

Qualcosa non gli tornava, qualcosa non era chiaro.

«E tu come hai fatto ad ottenere un'informazione del genere?» disse, assottigliando lievemente gli occhi.

L'istinto gli diceva di ringhiare, ma Erwin ovviamente sapeva che sarebbe stato un errore. Con quelle accuse Levi stava esponendo un membro del suo staff, ma anche portando alla luce la sua incapacità di coglierne la reale natura. Un Alpha tra gli Alpha qual era lui, incapace di riconoscere un Omega quando non aveva fatto altro che averlo sotto al naso, nel proprio ufficio, giorno dopo giorno, mese dopo mese, per anni? Si sentiva insultato da una simile insinuazione. Eren Jaeger poteva essere intelligente quanto voleva, ma restava una pedina nella sua scacchiera.

Non era un burattinaio, ma un burattino. O in caso contrario, quello sarebbe stato il ruolo riservato ad Erwin Smith e proprio non era disposto ad accettarlo.

Levi tentò di tenere a bada il proprio istinto Alpha, di mantenere un profilo basso e incline al dialogo, ma la lieve irritazione che percepì nella voce di Smith lo portarono a mutare impercettibilmente l'odore. Una nota olfattiva che comunicava devozione, affetto, protezione, possesso.

«È il mio compagno.»

Pronunciò quelle parole con calma e lentezza, in modo che fossero chiare, limpide. Un'affermazione, una certezza.

Erwin lo guardò senza mutare espressione. Avrebbero potuto essere tutte creazioni della mente confusa di un uomo che aveva evidentemente appena passato una pessima nottata, ma l'odore che il suo corpo emanava gli comunicava con assoluta certezza che Levi ci credeva.

Credeva a ciò che diceva, al punto da arrivare a giurarlo.

L'Alpha biondo si passò la lingua sulle labbra, un movimento calcolato, prima di stringerle in una linea sottile.

«Eren Jaeger, un Omega, ha finto per anni un'altra dinamica, lo ha confidato a te ed ora tu–...» Si interruppe, tentando di mantenere un tono di voce il più calmo possibile. «Quindi, ne eri complice ed ora hai deciso di confessare.»

«La mia non è una confessione, Erwin. Ho scoperto la cosa per puro caso e relativamente da poco, ma non ho commesso alcun delitto. Eren è nato Omega, tuttavia questo non lo rende meno volenteroso o dedito al lavoro. Può tranquillamente convivere con Alpha e Beta, come accade in qualunque altro ufficio.»

Le iridi di Levi erano fisse in quelle di Smith, il quale non si era ancora espresso a favore di una simile prospettiva, ma nemmeno il contrario.

«Oh.»

Le sopracciglia dell'uomo si inarcarono, la sua espressione cambiò completamente di fronte a quelle parole. Sembrava che nella sua mente i pezzi di un complesso puzzle avessero cominciato ad incastrarsi.

«Tu sei qui perché non vuoi che il ragazzo perda il lavoro.»

L'Alpha dai capelli corvini sentiva il bisogno di difendere il proprio partner, ringhiare e sottomettere colui che minacciava anni di sforzi. Tuttavia, sapeva che non era quella la tattica da adottare. Levi annuì con un gesto del capo, le occhiaie profonde a contornare i suoi occhi grigi e stanchi.

«Eren ha un futuro promettente, nel nostro campo. Perderlo per una simile incomprensione può solo nuocere allo studio e agli affari. Pensa solo agli incassi ottenuti con il caso Miller. È una miniera di denaro che necessita solamente di esperienza e una buona guida.»

Sul viso di Smith il sorriso era teso e forzatamente cordiale.

«È senza dubbio un valido lavoratore. Ed è per questo che non avrà problemi a trovare uno studio che si adatti a lui.»

Il sangue di Levi si gelò nelle vene. Avrebbe voluto che il suo udito gli avesse giocato qualche brutto scherzo dovuto allo scarso riposo, ma era tutto dannatamente reale. Si sforzò di controllare la rabbia che sentiva ribollirgli dentro al pensiero che Eren fosse allontanato dallo studio.

«È un dipendente molto più che valido, Erwin. Dammi un buon motivo per cui debba essere licenziato, visto che non ha contravvenuto nessuna regola. Questo è un semplice malinteso mai chiarito e nient'altro, mi sembra eccessivo ricorrere a una misura tanto drastica.»

«Mentire sui propri dati anagrafici non può essere considerato un malinteso.»

Cercava di mantenere la propria voce il più pacata e neutra possibile, eppure era evidente anche solo dall'odore che emanava che Smith fosse adirato. Una quieta collera che negli anni aveva imparato a gestire, grazie all'esperienza: per arrivare dove voleva, a volte, doveva compiere dei sacrifici, concentrandosi sul fatto che un giorno sarebbero stati ripagati.

«Sarebbe una condotta poco tollerante, la nostra, se perdesse il posto per un'inezia simile quando ha tante stelle al merito, non credi? Siamo dove siamo perché abbiamo fatto gavetta, e ci siamo trovati a difendere persino avanzi di galera e gente decisamente poco raccomandabile, durante il percorso. Vorresti dirmi che loro meritavano di essere assolti e che invece per Jaeger non possiamo chiudere un occhio?»

«Sto dicendo» il tono di voce di Smith divenne di colpo un po' più duro ed intenso, «che chiuderò un occhio nell'evitare di denunciarlo per aver falsificato la propria identità e gli permetterò di andarsene in uno studio più adeguato alle sue esigenze...»

«Molto gentile da parte tua dargli il benservito dopo che ha speso cinque anni della sua vita a farti arricchire, davvero molto etico!»

Levi si sporse in avanti, oramai incapace di trattenere oltre il profumo dell'ira e dell'indignazione che lo pervadevano, facendolo tremare sensibilmente.

«Sappiamo entrambi il motivo per cui lo vuoi fuori di qui. Fosse stato un Alpha camuffato da Beta, gli avresti steso un tappeto rosso e servito dello champagne. Invece, nella tua cerchia di uomini al potere, si è intrufolato un Omega», sibilò a denti stretti, neanche quello fosse insulto. Per Smith, però, di certo lo era.

«Credi di conoscermi così bene, Ackerman?» tuonò Erwin, perdendo la pazienza. La sua voce aveva ora un suono duro e ringhiante, di minaccia, mentre un Alpha tra gli Alpha cercava di far valere il proprio potere e sottomettere un altro. «Credi di poter entrare qui, nel mio ufficio e dire ciò che ti pare, decidere al posto mio? Sei un buon avvocato, ed è l'unico motivo per cui potrei chiudere un occhio su di te, sul fatto che ti sei lasciato intenerire da quell'Omega che ha dimenticato come si sta al proprio posto!»

«Il proprio posto?! E quale dovrebbe essere, mh? A fare fotocopie giù negli archivi? Pulire i cessi? Oppure–»

La filippica di Levi si interruppe bruscamente quando, guardandolo negli occhi, scorse un brillio saccente, come se neanche quelle mansioni di basso livello si adattessero alla dinamica.

«Non posso credere che tu lo stia pensando davvero, Erwin...»

Un sorriso viscido e freddo si fece strada sulle labbra di Smith.

«Jaeger è licenziato e potrai essere proprio tu a dirglielo, se non sarai troppo occupato a farti fare il lavaggio del cervello dai suoi occhi dolci e le cosce aperte.» Il modo in cui pronunciò quelle parole, il tono di voce, il suo odore nell'aria, la sua stessa espressione equivalevano alla peggiore delle ingiurie.

Puttana.

Era questo che credeva Smith: che gli Omega, che Eren, fossero semplici oggetti per soddisfare il piacere di un Alpha, e magari un'incubatrice per la loro prole dal pedigree elevato.

Le narici di Levi si dilatarono, inspirando quell'olezzo nauseabondo che offendeva il suo compagno e l'intera dinamica a cui apparteneva. La stanza venne pervasa dai suoi feromoni che, mascella serrata e denti bene in vista, si alzò dalla propria seduta per meglio chiarire la posizione presa.

«Se è così che stanno le cose, puoi tranquillamente ficcarti nel culo le mie dimissioni perché non farò guadagnare più un solo centesimo a un pezzo di merda come te!»

L'Alpha corvino uscì come una furia dall'ufficio, sbattendo la porta così forte da far tremare le decorazioni che la arredavano: quadretti e vasi traballarono pericolosamente, minacciando di cadere ed infrangersi. Non gli sarebbe importato di vederli distrutti.

Smith rimase solo nel suo ufficio. Quella giornata, iniziata nel migliore dei modi si era già conclusa con quella che per lui aveva l'acido sapore di una sconfitta. Era stato preso in giro, umiliato da un Omega per anni e nonostante non nutrisse più per Eren Jaeger alcun genere di rispetto, nel giro di una manciata di minuti, aveva perso i suoi due uomini migliori.
Eppure, l'idea che quell'intricato piano architettato dalla più infima delle creature venisse a galla, spaventava Smith ancor più dell'improvvisa carenza di personale.

La procedura per il licenziamento avvenne nel modo più riservato e silenzioso possibile.

Due lettere vennero scritte, lette e rilette, accartocciate e ricompilate più e più volte, cosicché la scelta delle parole fosse accurata, formalmente velenosa, gelidamente cordiale. Con la speranza di poter restituire almeno una parte dell'umiliazione ricevuta attraverso la prova che la loro presenza non era più richiesta tantomeno necessaria, addirittura sgradita.

Firmò di proprio pugno quelle lettere, resistendo a malapena alla tentazione di sputarvi sopra - appellandosi per questo all'amor proprio.

«E pensare che gli ho perfino stretto la mano...»

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