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By Susanna_Scrive

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(ON HIATUS) Stati Uniti d'America, anno 2000. Da quando l'ho conosciuto non mi sono mai sentita giudicata, la... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
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Capitolo 42
HIATUS

Capitolo 43

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By Susanna_Scrive


Canzone consigliata: This is it by Michael Jackson

È passato un po' di tempo da quell'incidente. Ora sono ufficialmente entrata in quella che viene definita "gravidanza a rischio". Da allora mi sono chiusa in me stessa, anche perché, il signor Jackson ha diminuito drasticamente le mie mansioni. L'unica cosa che devo fare è cucinare e mi ha impedito di uscire dal perimetro della casa.

"Resta in luoghi in cui possiamo tenerti sotto controllo. Non voglio che succeda qualcosa a te e, tanto meno alla bambina.": questo è ciò che mi ha detto una volta finita la mia convalescenza.

Ogni volta che finisco di preparare uno dei pasti torno nella mia stanza e mi metto a letto. Leggo qualche libro e guardo fuori dalla finestra i miei giorni che scorrono inesorabilmente sempre uguali. Questa non è vita. Come potrebbe esserlo? Come posso continuare a vivere in questo modo? Così misero e così non mio? 

La mia pancia è cresciuta e sono entrata nell'ottavo mese senza alcun intoppo ma a quale prezzo? Rinchiusa in queste mura che prima sembravano così accoglienti ma ora sento soltanto il gelo. Un gelo che non mi rappresenta e che non rispecchia nemmeno la figura del mio capo. Ma, evidentemente, qualcosa deve essere cambiata. Lui, ogni volta che incrocia il mio sguardo o solo la mia figura passare tra i corridoi, mi osserva con un'attenzione quasi inquietante. Scruta ogni mio singolo spostamento o una qualsiasi espressione sul mio viso, cerca un qualsiasi segno di sofferenza nel mio sguardo. Mi sento così oppressa che mi sento soffocare.

Anche le nostre "conversazioni", se così posso definirle, si sono ridotte alle solite domande alle quali rispondo sempre allo stesso modo.

"Stai bene?"

"Si."

"Hai mangiato?"

"Si."

"Hai preso le medicine?"

"Si."

E poi se ne va, così come mi ha fermato per parlarmi. Tutto quello che all'inizio mi sembrava la più bella delle favole si è tramutata in un terribile incubo. La routine mi sta uccidendo e non so che cosa fare. Ho provato più volte ad uscire dal grande portone per fare anche solo una passeggiata ma, a causa delle telecamere, Bill e Javon trovavano sempre il modo di fermarmi dicendomi sempre la stessa cosa.

"Ordini dall'alto."

Ora sto bene. Sono sicura di questo. E non lo dico solo io, anche i vari medici che mi hanno visitato negli ultimi mesi hanno confermato che sia io che la bambina siamo in buona salute. Penso che il sig. Jackson sia ben informato di ciò, eppure continuo a rimanere rinchiusa quasi come se fossi fatta di cristallo. In questo momento sono in cucina preparando il pranzo mentre il mio capo legge il giornale. Oggi il tempo non promette niente di buono, guardando fuori dalla finestra noto che c'è una tempesta di vento e la pioggia batte sui vetri violentemente. Il rumore della pioggia in genere mi rilassa ma il silenzio abituale viene stroncato dalla radio poggiata sulla penisola in legno, ora sto asciugando dei bicchieri in cristallo quando il notiziario manda un'annuncio speciale.

- Notizia dell'ultima ora, un carcerato evade dal carcere di massima sicurezza.. - annuncia il commentatore radiofonico, al quale non presto particolare attenzione. 

All'improvviso però mi blocco, i muscoli sono tesi e inizio a sudare freddo alle parole che seguono e rimbombano per tutta la stanza.

- E' partita la caccia all'uomo.. il carcerato in questione si chiama Alexander White.. - 

Da quel momento in poi le parole mi arrivano ovattate e un forte fischio mi rimbomba nelle orecchie. Prego di aver sentito male, prego che non sia vero, prego di scomparire.


Un rumore assordante mi fa distogliere l'attenzione dal giornale e dalla radio che stavo vagamente ascoltando. Non c'è voluto molto per trovare la provenienza di quel suono fastidioso. Madeleine ha fatto cadere a terra uno dei bicchieri. Mollo immediatamente il quotidiano sul ripiano dell'isolotto e mi dirigo verso la ragazza. Velocemente la prendo per le spalle spostandola all'indietro allontanandola così dai cocci di vetro sparsi sul pavimento dandole una veloce occhiata per vedere una qualche possibile ferita.

- Attenta! Potresti farti male. -

Solo dopo mi accorgo che è completamente rigida al mio tocco. E' come se fosse paralizzata ed è diventata una marionetta tra le mie mani. Spaventato cerco il suo sguardo non capendo cosa stia succedendo. La ragazza inizia a tremare e sembra che le sue gambe stiano per cedere. Non so come riesco a sorreggerla e mi trovo nel panico più totale, non so minimamente che cosa fare. In lontananza si sentono dei passi frettolosi che si fanno a mano sempre più nitidi. Volto la testa in direzione del rumore e noto Javon e Bill fare irruzione nella cucina, sui loro sguardi si può leggere chiaramente lo stupore e la paura oserei dire. In meno di un attimo sono al mio fianco e Javon prende Madeleine in braccio uscendo dalla stanza. Io, continuando a non capire, lo seguo insieme a Bill a passo svelto. Ci dirigiamo verso il salotto dove la ragazza viene adagiata su una delle poltrone. E' ancora completamente pietrificata mentre trema convulsivamente.

- Maddie, respira, andrà tutto bene. - le sussura Javon in ginocchio davanti alla sua figura.

- Bill, si può sapere cosa diamine sta succedendo? - chiedo a Bill che nel frattempo si è tolto gli occhiali scuri.

Impiega un po' prima di rispondere perchè il suo sguardo è focalizzato sulla figura rannicchiata di Madeleine. Il suo respiro si fa sempre più affannoso con il passare dei minuti e capisco immediatamente che cosa sta succedendo. Sta avendo un attacco di panico. Senza aspettarmi una risposta dalla guardia mi precipito immediatamente dalla ragazza prendendo il suo viso tra le mani cercando di attirare la sua attenzione, in questo stato è difficile e non bisogna starle troppo addosso ma lei aspetta un bambino e tutto quello che è successo non è d'aiuto.

- Chick, guardami. - la richiamo cercando di utilizzare il tono più calmo possibile.

I suoi occhi sono sui miei mentre le sue mani si aggrappano alla mia camicia in cerca di un appiglio. Io afferro una delle sue mani tra le mie mentre le accarezzo i capelli. 

- Andrà tutto bene, te lo prometto. -

I suoi respiri si attenuato un pochino ma sono pur sempre troppo veloci per i miei gusti. Mi innervosisco ulteriormente quando nessuno dei due uomini vuole darmi una spiegazione.

- Qualcuno mi può dire per piacere che cosa diamine sta succedendo? - perdo la pazienza voltandomi con il busto verso i due uomini in piedi ma senza lasciare comunque la mano di lei.

Madeleine appoggia la testa sulla mia spalla chinandosi completamente in avanti, la lascio fare, se sta comoda non vedo perché dovrei dirle qualcosa.

Le due guardie si guardano tra loro ma ancora non proferiscono parola e in quel momento perdo la mia compostezza.

- Allora?! - urlo agitato e arrabbiato per la mancanza di risposte.

I due sobbalzano non abituati a questi miei scatti d'ira, ma sono troppo agitato per scusarmi o per riflettere in maniera lucida.

- Signore.. - comincia Bill bloccandosi incrociando il mio sguardo infuriato.

- Ha sentito il notiziario alla radio? - continua la guardia.

Io faccio un cenno con la testa perplesso.

- Del detenuto che è evaso? E questo che c'entra? - chiedo alternando lo sguardo tra Bill e Javon.

I due si guardano di nuovo e io sto perdendo sempre di più la pazienza.

- Quell'uomo è il padre della bambina di Madeleine. - dice finalmente Javon.

Ora vorrei non averlo mai saputo ma quello che mi dice dopo mi sconvolge ancora di più.

- Lui è qui signore.. - dice in un sussurro Bill.

Il mio sguardo si posa repentinamente su Madeleine che sembra entrare sempre più nel panico. Cerco un attimo di mettere ordine nella mia testa e ragionare prima di rivolgermi nuovamente verso i due uomini.

- Dove si trova adesso? - chiedo ritrovando la lucidità.

- E' al cancello principale, sta urlando cercando di Madeleine. - mi informa Javon.

- Avete chiamato le autorità? - domando nuovamente.

- Si signore, saranno quì il prima possibile. - risponde stavolta Bill.

- Molto bene. - riesco a dire lasciandomi andare ad un sospiro di sollievo.

La calma apparente si interrompe quando Madeleine stringe la mia mano in una presa che si fa sempre più salda con il passare dei secondi. Io mi rivolto verso di lei e allontano leggermente il suo volto dalla mia spalla per cercare il suo sguardo.

- Non preoccuparti, la situazione è sotto controllo. Non permetterò a quell'uomo di avvicinarsi in alcun modo a te. - tento di rassicurarla accarezzandole nuovamente la nuca con la mano libera.

Noto che non mi risponde ma improvvisamente si lascia andare ad un gemito di dolore mal trattenuto. I miei occhi sono sgranati mentre tento di sorreggerla. Bill e Javon accorrono in mio aiuto portando la ragazza ad appoggiarsi allo schienale della poltrona. Ora che la posso osservare in viso noto che ha gli occhi serrati e non riesce a trattenere i lamenti di dolore. Mi alzo repentinamente da terra posando delle dolci carezze sul suo addome.

- Chick, parlami, che ti sta succedendo? - cerco di ottenere una risposta da lei.

La ragazza ha smesso di stringermi la mano respirando affannosamente. Non vorrei dire ma sembrava una contrazione. E' troppo presto, manca ancora un mese e spero con tutto il cuore di sbagliarmi. Nel giro di veramente pochissimo tempo sento la presa sulla mia mano farsi mano a mano nuovamente più salda.

- Ehi, guardami, respira piano, così - glielo mostro e lei cerca di seguirmi al meglio.

Le due guardie sono terrorizzate, perdendo la loro abituale compostezza. Cerco di mostrare quanta più sicurezza possibile ma Madeleine per non spaventarla ma il fatto è che sono a dir poco terrorizzato.

- Ragazzi.. - richiamo l'attenzione delle due guardie.

La loro attenzione è ora puntata su di me.

- Chiamate immediatamente un'ambulanza.. credo che Maddie sia in travaglio. - 

I loro sguardi sono di pietra ma Javon ci impiega meno di un secondo ad uscire dalla stanza in cerca del telefono.

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