Succederebbe Tutto - H.S.

By _ariannabianco

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Loro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè... More

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Avviso Importante: è richiesta la vostra collaborazione😛
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By _ariannabianco

Haywood

Dopo quella che mi sembrava una vita, entrai nella centrale di polizia di Manhattan e mi sentii subito a casa. Sorridendo, mi godetti la sensazione del calore che solleticava la mia pelle. Mi tolsi la sciarpa, il cappello e mentre ravviavo i miei ricci salutai i colleghi ai quali diedi il cambio, che mi domandarono come fosse andata nel Queens.
Mi premurai di rispondere cortesemente ad ogni curiosità, poi mi congedai e mi incamminai verso il mio ufficio, la mia seconda casa. Lì avrei potuto riflettere con calma sulla possibilità di ottenere il caso Reyes senza ereditare l'intero pacchetto, almeno.

Entrato nel mio ufficio, appoggiai il cappotto e i vari accessori sull'appendiabiti, infine tirai su le tendine per far capire a tutti che fossi tornato. 
Ero particolarmente di buon umore, per essere ad un passo dal volermi confrontare con il mio superiore, ma parlare con il commissario Gemini sarebbe stato sicuramente meno stressante che farlo con i miei familiari. Eccetto mia mamma, ovviamente. Parlare con lei mi rendeva sempre allegro, e dopo il messaggio di stamattina - Mio caro Haywood, dispiace anche a me non averti salutato. Capisco la situazione, però. Stai tranquillo. Sono orgogliosa di te. Ti voglio bene.- ero letteralmente al settimo cielo.

Premetti il tasto di accensione del computer e mentre attendevo che si avviasse, mi stiracchiai e sprofondai nella poltrona di pelle nera. 

«Questa si che è vita.» Feci un giro su me stesso e respirai un po' di pace.
Niente più Heath, Royce, Hailee o Edith. 

Niente di niente. 

Solo io e me stesso, a condividerci. 

Quando il pc fu pronto all'uso inserii la password e controllai le nuove email: nulla di importante, a parte quella relativa alle denunce sporte contro Ray Smith e al rispettivo processo, che si sarebbe tenuto il mese successivo. 
Piuttosto soddifatto dell'esito che avevo ottenuto e compiaciuto per la mia operosità impeccabile, ripresi in mano il fascicolo della famiglia Reyes con due obiettivi: innanzitutto, trovare chi avesse fatto sparire le prove incriminanti -qualcuno che conosceva molto bene questo posto- e poi ricostruire il caso passo dopo passo, meglio di quanto avesse fatto mio padre in passato. 

«Si inizia, Haywood.»

Ripresi in mano il referto dell'autopsia della signora Reyes e, dato che il giorno precedente ero stato distratto, adesso mi premurai di leggerlo con cura ed attenzione, riga per riga, parola per parola.
Sebbene si fosse trattato di un documento prettamente scientifico, non riscontrai delle grandi difficoltà nell'analisi dello stesso, al contrario la trovai molto esaustiva, tanto da essere sempre più convinto che il medico referente fosse stato corrotto: era troppo precisa, studiata nel minimo dettaglio e riportava le stesse frasi che avevano recitato tutti coloro che avevano sostenuto Aaron Reyes, quasi fossero state premeditate. Su una scala da uno a cento, ero sicuro delle mie supposizioni a novantasei: avrei approfondito il prima possibile.

Accantonai il certificato medico e ripresi in mano la cartellina rossa, sparpagliai i fogli sulla scrivania e andai dritto al punto afferrando quello contenente il tarlo che più mi premeva: la figlia perduta di Aaron e Jane Reyes.

Blue è il secondo nome di nostra figlia, mia e di Jane. Gia Blue Reyes, per la precisione. L'artefice di ogni cosa è lei, io mi sono sacrificato da padre ma sono innocente. È Gia, quella sbagliata della nostra famiglia, però non credevo sarebbe arrivata a tanto...La mia Jane...Lei deve averla scoperta. Gia è il male.

Quanti anni aveva? Com'era fatta? Era ancora viva oppure era morta?
Se si fosse trattato del primo caso, era responsabile della morte della madre e dell'incarcerazione del padre? E se fosse venuta a mancare, quali sarebbero stati i motivi fondanti del suo decesso? O forse non era mai esistita? Se fosse realmente esistita, invece, a quale età aveva deciso di scappare? Dove aveva vissuto per tutto questo tempo? Perchè non era mai tornata? Perchè non aveva denunciato l'attività del padre? Non ne era a conoscenza oppure ne era la mente suprema? 

Erano domande che mi ero già posto e, per qualche ragione, sapevo che avrei continuato a farlo anche nei prossimi mesi: Gia Blue Reyes era sparita per anni interi, perché avrebbe dovuto farsi trovare proprio adesso?

Ritornai di nuovo sulla posta elettronica, sfogliai tra le email inviate il giorno prima e ripescai quelle che avevo scritto all'ospedale e all'anagrafe, la prima per richiedere i documenti relativi al pre e post parto -ammesso che fossero esistiti- della signora Reyes, la seconda per avere la certificazione di nascita della figlia. 
Con mio grande disappunto non riscontrai alcun tipo di risposta, quindi sospirando sprofondai contro lo schienale della sedia: pretendevo molto da me stesso ed ero molto puntiglioso quando si trattava del mio lavoro, per cui dovermi confrontare con un quadro della situazione tanto incompleto e non riuscire a riempire neanche un tassello mi infastidiva oltre ogni limite. 

Mentre stavo riflettendo sul passo successivo, con i gomiti appoggiati sulla scrivania e le dita intrecciate sotto il mento, qualcuno bussò alla porta. 

«Ehi, vecchio marpione.»

Non dovetti nemmeno alzare lo sguardo per capire chi fosse.

Sorrisi e lei accorciò le distanze tra noi, fermandosi accanto alla poltrona davanti a me.

«Carissima.» La salutai liberando il tavolo dalle scartoffie. 

«Allora?» Sollevò ed abbassò più volte le sopracciglia.

«Allora cosa?» Finsi di non aver capito.

«Com'è andata la serata con la ragazza della centrale?» Si sedette sulla scrivania e mi passò una tazza di caffè fumante, che afferrai con piacere.

Alzai gli occhi al soffitto. «Ti farai mai gli affari tuoi?»

Fu una domanda retorica, perché la risposta la conoscevo già.
Lyle era una cara ragazza, che si interessava realmente alle vite altrui e non per mera curiosità, però oggi non ero in vena di confidenze: l'ultima volta mi era bastata. Stavo ancora cercando di archiviare tutto, per colpa delle sue supposizioni.

«Deduco sia andata male, allora.» Ripassò il contorno della sua tazza con l'indice. 

«Deduci bene.» Badai a non incrociare i suoi occhi, neri come il caffè che stavo sorseggiando. Ero ancora troppo deluso per riuscire a nascondere come mi sentissi.

«Non incupirti, Haywood. Non è la fine del mondo.»

Oh lo so, che non è la fine del mondo. Credimi. Avrei voluto replicare, ma preferii restare in silenzio.

Non ero più abituato ad essere rifiutato, di solito ero io quello che respingeva le ragazze, quindi dovevo soltanto mandare giù il groppone amaro. Il mio orgoglio maschile era stato ferito ed era dura da ignorare.

«Sei un bel ragazzo, sai quante donne sarebbero disposte ad averti e non possono perchè tu pensi solo al lavoro?»

«Ti stai proponendo?» La schernii.

Fece uno strano verso, simile a quello di disgusto.  

«Lo so che ti piacerebbe, vecchio marpione, ma io sono off limits.» Mosse l'indice a destra e a sinistra, designando nell'aria un chiarissimo 'no'. 

«Nessuna sarebbe off limits per me, se lo volessi davvero. Perciò stai attenta.» La provocai.

«Stai attento tu, che poi ti innamori e ti devo spezzare il cuore.» 

«Il mio cuore è d'acciaio, amore.» 
Ammicai e Lyle mi tirò la gomma da cancellare contro il petto. Ridendo la raccolsi e poi le rivolsi il mio sguardo più seducente, quello che le ragazze tanto amavano ma lei, invece di cedere, rise ancora di più.

Posò la tazza vuota sulla scrivania e si portò le mani ai lati della bocca, come a voler ricreare un megafono: «Attenzione gente! Haywood il cavernicolo ci sta provando con me!» Ridacchiò. «Ripeto, questa non è un esercitazione. Haywood cavernicolo è ritornato! Tremate!»

Per poco non mi strozzai con il caffè.

«Trovi sexy il mio lato cavernicolo, ammettilo.» La derisi.

Inutile dire che Lyle mi regalò educatamente un dito medio.

Scossi il capo, divertito, e le mandai un bacio volante: finse di arrossire, facendo gli occhi da gatta e attorcigliandosi una ciocca di capelli con le dita, e ricambiò il mio gesto.
Mi morsi il labbro inferiore per trattenere una fragorosa risata.
Lyle era la migliore medicina per cancellare il periodo di merda che stavo passando. E lo sapeva, che senza di lei sarei stato perso. 

«Se non ci fossi tu....» Sospirai.

«Per fortuna ci sono, amore mio. Altrimenti ti staresti autocommiserando.» Mi canzonò pizzicandomi le guance.

Ero perfettamente consapevole di cosa potesse sembrare questo scambio di battute, ma non c'era nulla tra di noi e mai ci sarebbe stato: anche solo baciarla sarebbe stato come premere le labbra su quelle di mia sorella.

Non avrei provato nulla. 

Lyle era una splendida ragazza con i suoi capelli setosi, lo sguardo profondo, sempre di ottimo umore, divertente e diretta, però era semplicemente la mia migliore amica. Fin dai primi giorni della nostra collaborazione avevamo instaurato una chimica pazzesca, un feeling speciale, un'intesa tanto unica da poterla considerare rara.
Andare oltre avrebbe spezzato il nostro rapporto.
Per di più Lyle aveva iniziato da poco a frequentarsi con un ragazzo e io non potevo che esserne felice: non avrei mai osato rovinare la sua relazione, come lei non mi avrebbe mai forzato a fidanzarmi. Conosceva il mio trascorso con le donne e rispettava le mie scelte.
Mi voleva molto bene e il sentimento era reciproco, ma finiva lì.

«Allora, cavernicolo.» Mi richiamò iniziando a sfogliare le carte sulla mia scrivania, fascicoli che tolsi con disinvoltura dalle sue mani e che riposi nel cassetto sotto la scrivania, dove tenevo chiusa la mia pistola, perché non avrebbe dovuto leggerli.

«Dimmi.»

«Hai saputo dell'ultimo omicidio?»

Aggrottai le sopracciglia, confuso. 
L'ultimo omicidio di cui avevo sentito parlare era stato quello della signora Reyes, ma nessun'altro avrebbe dovuto esserne a conoscenza dopo me, il commissario e mio padre.

Avevano coinvolto anche Lyle?

«Omicidio?»

Questa volta fu lei a rimanere perplessa.
Era inconsueto, per uno come me, il fatto di non essere informato su un assassinio.
Ero sempre in prima linea, di solito.

«Sì, non sai nulla? Che strano...» Mi esortò a pensare, lanciandomi uno strano sguardo di intesa.

Probabilmente sapeva.

«Ah si...L'omicidio.» Finsi di essere stato colto da un flash. «Cosa ne pensi?»

«Credo che l'imprenditore fosse davvero strano e che avesse dei giri loschi. Sai come funzionano queste tresche, prima o poi qualcuno finisce per essere ucciso per questo o per l'altro motivo.» 

Sì, che lo so. Avrei voluto dirle.

Conoscevo a memoria i meccanismi di quei gruppi di persone, io stesso ne avevo fatto parte ma era stato qualcun'altro a lasciarci la pelle. 
Al solo pensiero mi venne un nodo alla gola, che avvolse il pomo d'adamo come un filo spinato, e provai ad inghiottirlo a fatica. 
Intanto il cuore faceva male, ma cercai di non pensarci. 

«...Per fortuna non è un nostro problema, dato che è accaduto a Chicago.» Ero talmente distratto che l'unica parola che riuscii a cogliere, fu il nome della città. 

Cosa c'entrava Chicago con Jane Reyes? 
Anzi, riflettendoci, perchè la moglie del detenuto aveva a che fare con quelle tresche? 

Aggrottai le sopracciglia iniziando a domandarmi se stessimo parlando dello stesso omicidio.

«Chicago?»

«Haywood, ma dove diamine vivi? È su tutti i notiziari.» Mi rimproverò.

«In questi giorni non ho avuto tempo per i notiziari.» La rimbeccai. 

Non mi piaceva essere colto impreparato.

«Nella notte tra l'undici e il dodici settembre è stato ucciso un uomo sulla cinquantina al Chicago West Loop. Tre colpi di pistola, uno solo è riuscito a penetrare nel suo petto e ad essergli fatale.» Mi spiegò. 

«La sera dell'undici settembre.» Replicai ad alta voce, mentre riflettevo: «Poche ore dopo che Jane Reyes è stata uccisa.»

Che coincidenza interessante.

«Come, scusa?»

«Niente, continua per favore.»

«Non ho nient'altro da dire, in realtà.» Fece spallucce e scese dalla scrivania.

«Adesso devo andare ad indagare su un caso, ma se volessi parlarmi del tuo cubo di Rubik, sai dove trovarmi.»

«Questo.» Presi il gioco accanto al portapenne. «È il solo cubo di Rubik di cui mi sentirai parlare.» Tagliai corto.

«Come vuoi.» Si avvicinò all'uscita e: «Però hai seriamente bisogno di rilassarti, Haywood.» Concluse andandosene.

«Fosse così semplice.» Sussurrai.

Osservai il cubo di Rubik che stavo rigirando tra le mani. 

Cosa stai facendo adesso, Edith?

Ti sei chiesta il perché sia tornato a Manhattan?

Sei con Heath?

«Oh, fanculo.» Lanciai il giocattolo sul divano in pelle vicino all'appendiabiti e ritornai a concentrarmi su quello che Lyle mi aveva appena raccontato. 

Ripresi in mano il foglio riguardante la morte di Jane Reyes, che risaliva alle ore nove dell'undici settembre dell'anno corrente, e lessi la dichiarazione: La mattina dell'undici settembre Jane Reyes è stata trovata senza vita dalla vicina (Vera Wright) nella sua casa di Manhattan: una corda avvolgeva il suo collo e chiari erano i segni sul suo collo. Nel momento del decesso era in casa da sola. (Vai alla dichiarazione di Vera).

Proprio come avevo fatto il giorno prima, seguii le istruzioni e mi focalizzai sul paragrafo finale.

L'ultima volta che l'ho sentita è stato stamattina presto: sono uscita a fare la spesa e stava litigando con il compagno, Dez Stone se ricordo bene. Poi lui se ne è andato e non è più tornato.

Mi fermai, aprii il portale di ricerca della polizia, e digitai: Dez Stone. Pochi secondi dopo aver premuto il tasto invio, sullo schermo comparve il profilo dell'uomo in questione. Ignorai tutte le informazioni superflue e mi concentrai sulla sua descrizione: classe millenovecentosessantacinque (cinquantaquattro anni), corporatura robusta, altezza media, occhi marroni, capelli brizzolati, barba incolta, labbra sottili, volto spigoloso.

Bingo.

Mandai in stampa il fascicolo e, nell'attesa che il documento cartaceo fosse pronto, andai su Google: scrissi sulla tastiera Omicidio Chicago e avviai la ricerca.
Proprio come avevo previsto, molte testate giornalistiche avevano dedicato degli articoli alla tragedia e io, determinato a dimostrare la teoria che mi era venuta in mente, iniziai a cercare quante più informazioni possibili.

Cliccai sul primo risultato. 

HOTEL CHICAGO WEST LOOP: IMPRENDITORE NON IDENTIFICATO MUORE UCCISO DA TRE COLPI DI PISTOLA.
Nella notte tra 11 e il 12 settembre 2019, un imprenditore è stato assassinato da tre colpi di pistola in una delle stanze l'hotel riservate alle dipendenti del RedMoon. Il colpevole è scappato senza prestare soccorso, ma la polizia dichiara di star facendo il possibile per catturarlo. L'uomo purtroppo non è ancora stato identificato. Questo è il suo profilo, chiunque lo riconosca non esisti a chiamare la polizia: uomo di circa cinquant'anni, media statura, corporatura massiccia, occhi scuri, capelli brizzolati.

Non andai oltre: avevo trovato ciò di cui necessitavo.

Mi chinai, presi dalla stampante sotto la scrivania il foglio ancora caldo e mandai in stampa l'articolo in questione. Pochi secondi più tardi avevo già evidenziato in giallo le corrispondenze tra il profilo dell'imprenditore e di Dez Stone: forse avevo ottenuto una nuova pista da seguire.

Ero piuttosto certo che non fosse una coincidenza, il fatto di avere una descrizione pressoché simile per entrambi gli uomini: per giunta, Vera aveva dichiarato alla polizia di Manhattan di non aver più visto l'uomo dalla mattina dell'undici settembre, e non poteva essere una casualità.
Per avere un' ulteriore conferma avrei chiamato personalmente l'ufficio di Dez Stone, ma prima avrei trasferito tutti i nuovi dati sulla mia agenda, perciò la presi e l'aprii sulla pagina libera. Segnai il nome dell'hotel, del poliziotto che a Chicago aveva in carica il caso, mi appuntai il nominativo della vicina di casa della signora Reyes ed infilai i fogli che avevo stampato nel mio quaderno di pelle nero. Infine chiusi tutto.

Sei di nuovo in ballo. È l'ora di ballare.

Pensando alla mossa successiva mi alzai dalla scrivania, afferrai la cartellina rossa che era ormai diventata la mia migliore amica, misi sotto l'ascella la mia agenda ed uscii dall'ufficio.

In corridoio incontrai un mio collega che, invece di lavorare, stava massaggiando al telefono.

Alzai gli occhi al soffitto e trattenni uno sbuffo. Perché diamine stava sprecando tempo? 

Duncan Gemini era troppo permissivo a volte e non andava per niente bene. Se non fosse stato per me e per Lyle questo posto sarebbe stato nel disordine più totale, e a quel punto altro che massaggiare al telefono.

Avrebbe dovuto ringraziarmi, come minimo.

«Agente Carter.» 

Colto sul fatto sobbalzò ed infilò immediatamente il cellulare in tasca. «Ispettore Atkinson. Ha bisogno di qualcosa?»

«Il commissario Gemini è già arrivato?» Lo squadrai severamente.

«Sì, poco fa.» Annuì.

«Bene, grazie. Torni pure al suo lavoro.» 

Con la giusta punta di sarcasmo aprii le spalle, sollevai il mento e mi congedai.
L'agente Carter, invece, mi superò e corse alla sua postazione.
Trattenni una risata, compiaciuto. 

Ero tornato l'l'Atkinson di sempre.
Ma questa volta avrei fatto saltare l'equilibrio della centrale.

E non solo.

Edith

La mattina seguente, alle sei in punto, ero già davanti al negozio di Cindra. Dopo esser tornata in albergo e aver trovato la camera completamente vuota, la notte precedente non ero riuscita a chiudere occhio. Avevo provato a prendere sonno, ma tutte le volte i miei pensieri erano corsi ad Haywood, a ciò che aveva organizzato per noi, e mi ero sentita in colpa. Avrei dovuto essere felice, perché avrei potuto finalmente archiviarlo insieme alle mie ultime sventure, eppure mi ero sentita come un palloncino sgonfio. Quindi oggi il mio umore era terra, anche se non c'era motivo di essere giù di corda, e persino Cindra se ne accorse quando varcai la soglia della pasticceria.

«Buongiorno, Edith. Tutto bene?»

Il sorriso raggiante che mi aveva accolta si spense sulle sue labbra, lasciando spazio alla preoccupazione nei suoi occhi.

«Sì, grazie.» Forzai un sorriso.

Non è il momento di rovinare la mia occasione per una serata che poteva finire solo litigando. Provai a convincermi.

«Apriamo tra mezz'ora.» Dichiarò prendendo una tazzina in mano e: «Se non hai ancora fatto colazione puoi tranquillamente servirti al bancone.» Indico la moltitudine i dolci esposti in vetrina e: «I croissant sono appena sfornati.»

«Sono a posto così, ma grazie per la cortesia.» Le sorrisi. 

Avevo già mangiato la torta di mele che avrei dovuto condividere con Haywood quindi, sebbene fossi stata tentata di fare una seconda colazione, decisi di rinunciarci. Infondo mi trovavo lì per lavorare, e anche se Cindra era tanto dolce e gentile con me, non volevo darle l'impressione di volermi approfittare di lei.

«Sicura?» Armeggiò con la macchinetta del caffè. 

«Sicurissima.» Mi sfilai lo zaino nero dalle spalle. «Dove posso posarlo?» 

«Oh, giusto.» Cindra si voltò e si asciugò le mani sul grembiule blu. «Ti mostro gli spogliatoi, vieni con me.»

La madre di Haywood scese dalla pedana, mi fece cenno di seguirla sul retro del negozio, e mi condusse in una stanza di dimensioni ridotte arredata con semplici armadietti azzurri disposti a parete.

Entrò e si fermò il centro. 

«Purtroppo Edith, è uno spogliatoio sia per donne che per uomini. Quelli a destra sono di Heath e degli altri tre panettieri, quelli a sinistra sono di Hailee, di una delle bariste, mentre questo-» Indicò uno degli armadietti in basso. «Puoi usarlo tu.»

Ringraziandola mi avvicinai, presi la chiave dell'armadietto che mi allungò e mi chinai per aprirlo. Posai lo zaino per terra, infilai la chiave nella toppa, ma quando lessi il nome sulla superficie colorata mi bloccai. Haywood, recitava la targhetta.

Perché quel ragazzo era ovunque ultimamente? 

«È sicura che lo possa usare?» Sollevai il capo per incontrare lo sguardo della proprietaria. 

«Certo. Dovrebbe essere di Haywood ma non lavora qui da anni, e siccome non erano previste nuove assunzioni nell'immediato, questo è l'unico armadietto che ci rimane.»

«Ah ok.» Lo aprii e due pacchetti di magliette si riversarono sulle piastrelle. 

Feci per raccoglierle, ma Cindra mi anticipò. «Faccio io, tranquilla. Mi ero dimenticata che ci fossero ancora le sue divise lì dentro.»

Le raccolse in fretta: «Sai, spero sempre che lui possa tornare.» Sospirò. «Ma stanotte è partito per Manhattan ancora una volta, e dubito di rivederlo presto.» Finse un sorriso.

Gli occhi di Cindra erano il riflesso del dispiacere: persi nel vuoto, lucidi, stanchi. 

Spostare l'attenzione altrove, incapace di sostenere il suo sguardo e incapace di condividere il suo dolore, e raccolsi il cappellino blu che era rimasto per terra. Lo rigirai tra le mani e sentii la signora esalare un profondo respiro: era amareggiata. 

«Mi dispiace.» Mi alzai in piedi per passarle il copricapo, che afferrò con le dita tremanti. «Dico davvero.»

Non conoscevo la storia di quella famiglia, del perché i componenti si fossero allontanati senza più riuscire a trovarsi, però mi dispiacque vedere Cindra tanto provata. Chiaramente amava suo figlio allo stesso modo degli altri due, e anche se in casa sua era stata cancellata ogni traccia di Haywood, quasi a volere ignorare la sua esistenza, questo armadietto con la targhetta riportante il suo nome parlava da sola: una madre non avrebbe mai potuto dimenticarsi di quella creatura che aveva portato dentro di sé per ben nove mesi, quel piccolo essere umano con il quale aveva costruito una connessione che andava oltre la semplice fisicità. 

Inevitabilmente pensai a mia mamma, a come si fosse sentita quando aveva scoperto che la figlia non sarebbe mai più tornata a casa, a quanto avesse provato a cercarla senza mai riuscire a rintracciarla, e il cuore mi si strinse nel petto.

Cosa avevo fatto mia madre?
Quanto dolore gli avevo procurato al fine di salvarla? 

Non sapevo cosa significasse essere una mamma, ma conoscevo la sensazione di vuoto che un abbandono lasciava dentro chi lo provava, e compatii Cindra.

«Non dispiacerti, è la vita.» Si ricompose e: «Oggi lavorerai al bar con Hailee. Ti faccio prestare le divise. Aspettala là qua.»

Annui e lei mi lasciò sola.

Se una parte me avrebbe voluto conoscere cosa fosse realmente accaduto agli Atkinson, l'altra era preoccupata all'idea di incontrare Hailee.
Ci eravamo viste la prima volta al Saturn e ci eravamo scontrate, ma ancora non avevo idea di chi fosse. Per questo, sperai che lei si fosse dimenticata di quella serata, perché non ero sicura che la mia titolare sarebbe passata sopra questo se ne fosse venuta a conoscenza.

«Ciao! Io sono Ha-»

Non appena i nostri sguardi si incrociarono, Hailee si bloccò sull'uscio e io non mi mossi di un centimetro.

Indossava la divisa del Castillo's: un pantalone blu, una polo del medesimo colore, e un cappellino dal quale usciva la sua coda riccia. Truccata lievemente, con i capelli raccolti e il viso rilassato, sembrava totalmente diversa dalla ragazza conosciuta al Saturn, dove era vestita di nero, con la folta chioma sciolta e gli occhi cerchiati di eyeliner. 

Mi schiarii la voce. Cosa si diceva alla persona che avevi già incontrato e trattato di merda? 

«Ciao.» Fu la prima a rompere il ghiaccio, avanzando in direzione. 

«Ciao.» Le feci eco.

«Ci siamo già viste.» Annuii. «Sono Hailee, piacere.»

Allungò la mano.

La fissai per qualche secondo e alla fine, anche se riluttante, gliela strinsi.

«Edith. Piacere tutto mio.»

Sciolsi la presa e lei mi sorrise.
Un sorriso ampio, cortese e per nulla forzato. Mi sorprese realizzare che non fosse arrabbiata con me per il Saturn: quella notte era stata pesante per tutti, d'altronde.

«Quelle sono le divise?» Cambiai discorso, indicando gli indumenti tra le sue mani. 

«Sì, mamma mi ha detto di portartele.» Le allungò verso di me.

Le afferrai. «Sono mie, Spero ti vadano bene.» 

Aprii la busta trasparente ed estrassi la polo, che aprii e: «Andrà sicuramente bene, grazie. Se ti dovessero servire, dimmelo e te le restituisco.» Le sorrisi.

«Tranquilla, ne ho tante.» Mi rassicurò. 

Non sapendo come continuare la conversazione, palesemente a disagio, recuperai le tre buste che mi aveva portato e le infilai insieme al mio zaino nell'armadietto, lasciando fuori soltanto una divisa.
Chiusi la serratura e mi voltai di nuovo. 

«Quindi oggi siamo al bar insieme?»

«Pare di sì.» Si sedette sulla sedia libera accanto alla porta. «Ti farò da tutor, diciamo.»

Hailee, che fino a quel momento era rimasta composta, si stravaccò e si portò le mani dietro la nuca. I tatuaggi che ricoprivano le sue braccia guizzarono mentre si muoveva, e io mi domandai se non li avesse disegnati lei stessa.
Heath ed Haywood mi avevano raccontato della sua passione per l'arte e per il disegno, quindi fu naturale pensarlo.

«Spero solo che non me la faccia pagare per l'altro giorno.» Scherzai.

Hailee fece un sorriso sghembo e: «Vedremo.»

Tale e quale ai fratelli, constatai.
Risi tra me e me.

Per fortuna, prima che la conversazione cadesse nel silenzio, Cindra ritornò raggiante nello spogliatoio: sentendoci scherzare, ci sorrise, si avvicinò ad Hailee e le appoggiò una mano sulla spalla.

«Allora, ragazze mie, siete pronte?»

«Sì.» Anuii.

«Io ho sonno.»

«Hailee...» Cindra la guardò di traverso. «Non puoi dormire. Devi aiutare Edith con il bar.» 

La ragazza si alzò in piedi e abbracciò la madre. «Mammina cara, anche se dormissi, lei se la cavrebbe benissimo. Credimi.» Scherzò e: «Perché ti preoccupi?»

«Hailee, le tue carinerie non attaccano con me.»

Cindra, seppur compiaciuta dall'abbraccio della figlia, rimase seria ed irremovibile. 

«Ma', Edith lo sa fare un caffè, dai. Mica lo brucia eh?» Si rivolse a me: «Tu non bruci niente, vero Edith?»

Per poco non soffocai con la mia stessa saliva.

Ecco la sua vendetta, constatai.

L'immagine della torta di mele carbonizzata era ancora vivida nella mia mente. Mi chiesi se Condra l'avesse già vista e deglutii rumorosamente. 

«Eh...» Temporeggiai.  

«Edith, dai! Dammi ragione così posso dormire.» Mi incitò mettendomi un braccio intorno alle spalle: «Avanti, dì a mia mamma che ieri hai fatto una torta e che ti è venuta bene.»

«Hailee...» Venne ammonita. 

Capendo di essere stata scoperta, decisi di svuotare il sacco. «Ho bruciato la torta di mele che avremmo dovuto servire stamattina, in realtà.»

Mi morsi il labbro inferiore e spostai lo sguardo sugli armadietti alla mia sinistra.

«Sono mortificata, davvero.» Aggiunsi quando Cindra non parlò.

Mi avrebbe licenziato e questa volta non ci sarebbero stati né Heath né Haywood a salvarmi.

«Io lo capisco se mi vuoi licenziare. Sono mortificata, ripeto.»

Sia Cindra che Hailee scoppiarono a ridere. Feci una smorfia che sembrava un sorriso, anche se deso di perplessità.

Perché non mi stavano rimproverando?
Cosa stava succedendo? 

«Avanti, mamma. Sputa il rospo.» Le suggerì Hailee tornando a sedere.

«Non ti licenzio per così poco, e non avrei servito la prima torta che preparavi dopo tanto tempo.» Si avvicinò. «Ho voluto fare una prova ma la mia intenzione è quella di farti stare al bar, oppure di farti aiutare Heath con le consegne.» Mi sorrise per rassicurarmi sebbene restassi perplessa. 

«I miei pasticceri lavorano tutta la notte per la vetrina del giorno dopo, quindi stai tranquilla. Ti ho fatto preparare la torta per tutt'altro motivo.»

«Cioè?»

«Certo che ti facevo più sveglia.» Commentò Hailee e: «Io vado al bancone.»

«Perdonala, è senza filtri.» Sì scusò la madre e io scrollai le spalle.

Non mi interessava cosa sua figlia pensasse di me. 

«Quindi perché mi hai fatto preparare la torta?»

«Haywood mi ha scritto che sarebbe passato a prenderti alla fine del turno, così ho pensato che gli avrebbe fatto piacere mangiare la torta di mele. È la sua preferita, ma lui è troppo orgoglioso per avanzare delle richieste, perciò farla preparare a te, che avresti passato la serata con lui, mi sembrava un'idea carina.»

«Non sapevo che mi avrebbe aspettato.» Le confessai.

Cindra non era a conoscenza delle dinamiche del nostro rapporto, quindi era meglio evitare ulteriori equivoci e cercare di essere chiari.
La cena che Haywood aveva organizzato per noi non aveva nulla di romantico, nessun presupposto amoroso, era soltanto una serata tra due adulti che avevano deciso di gettarsi alle spalle lo stress dei giorni precedenti. Anche perché avevamo un patto - io avrei sporto denuncia contro Ray Smith e lui se ne sarebbe andato- e non avevo intenzione di romperlo. E sì, mi sarebbe piaciuto passare la serata con quella nuova versione di Haywood, ma ciò non andava a sostituire il desiderio di volerlo lontano da me. 

«Oh, eppure mi è sembrato piuttosto deciso.»

«Ti credo, non ti preoccupare.» Non stavo dubitando delle sue parole, ero solo rimasta sorpresa all'idea che Haywood avesse persino mandato un messaggio a sua madre per dirle che mi sarebbe venuto a prendere. 

«Sono solo stupita perché non era tenuto a farlo.» Mi massaggiai la nuca. 

«E perché, se posso domandare?»

Di norma non avrei risposto, ma Cindra era il mio capo e la madre di Haywood, per cui non avevo via di scampo. Però come avrei potuto spiegarle che la mia intenzione era quello di liberarmi di suo figlio perché era fastidioso, irrispettose di irritante, Senza rischiare di essere licenziata? 

«È un ragazzo difficile da gestire e io non sono da meno. Ecco tutto.» Scrollai le spalle e la fissai sperando che lei intuisse il resto. 

Invece di arrabbiarsi perché avevo insinuato che suo figlio fosse stato complicato, Cindra mi studiò incuriosita: inclinò il capo, incrociò il mio sguardo e sorrise compiaciuta. 

«Interessante.» Si avvicinò e: «È passato comunque, però. Giusto?»

Perché tutte queste domande?

Ero andata lì per lavorare, non per essere sottoposta al terzo grado, ma supponevo di non avere molte alternative se non quella di rispondere. 

«Sì, è venuto a prendermi.»
Evitai di menzionare il dopo, quando Haywood prima mi aveva preso in giro per aver bruciato la sua torta preferito e poi aveva deciso di aiutarmi a prepararla di nuovo, momento in cui si era scusato e mi aveva fatto sentire strana, meno rancorosa e più leggera. 

«Il mio Haywood sta tornando. Forse c'è ancora speranza.» Replicò guardandomi negli occhi, commossa. «Adesso cambiati, però. Tra cinque minuti apriamo.»

Così Cindra si congedò: mi sorrise, mi passò il contratto che avrei dovuto firmare entro la fine della giornata, ed uscì allo spogliatoio. 

E mi lascio lì, da sola, confusa, a domandarmi cosa cazzo fosse appena successo, perché non ci capivo più nulla. Sospirai e mi chiesi in che razza di situazione mi fossi appena imbattuta.

Mi cambiai e, sistemandomi il capello sulla testa, raggiunsi Hailee al bancone. 

«Sei pronta, amica mia

N/A
Bentornati! Come state?
Dopo una lunga e (aggiungerei) estenuante settimana sono tornata con un nuovo aggiornamento. Chi mi segue su Instagram sa che sono stata assente per via degli esami, quindi dopo un intenso orale di archeologia romana avvenuto questa mattina, eccomi qui. Viva e vegeta, ma con il cervello fuso. Dunque mi scuso in anticipo per eventuali errori, revisionerò tutto nel weekend.
Ma bando alle ciance!

Haywood ed Edith si sono separati e ognuno riprende in mano la propria vita. Da un lato abbiamo Haywood che si comporta semplicemente da Haywood: un bell'ispettore egocentrico, determinato, serio, posato e sicuro di sé. Proprio come piace a noi, vero?
Dopo una botta e risposta con Lyle, scopre di un nuovo omicidio e ciò che lo spiazza sono le quantità di teorie che gli vengono in mente ascoltando la sua collega parlare. Quindi cosa fa? Sì rimette all'opera! Il suo intuito sta pregando di seguirlo e lui lo fa.
Inoltre credo che il POV di Hay parli molto da sé, dunque non mi dilungherò oltre.

Quello che vi consiglio, se non lo avete fatto, è quello di leggere attentamente le dichiarazioni su cui Haywood sta lavorando. Perché l'omicidio a Chicago è essenziale per la storia, così come la teoria che il nostro amato ispettore inizia a sviluppare.

E si passa alla seconda parte! Edith inizia il suo primo giorno di lavoro con Hailee e Cindra.
Sì, Hailee. La sorella di Haywood. La ragazza che ha mandato a stendere la sera della retata al Saturn. Che dire! Incontro curioso, direi.
La giovane Atkinson sembra molto tranquilla, rilassata, aperta, sciolta e non sembra dare peso (se non con qualche battuta) a quello che è successo. Tuttavia verso la fine si vendica: Edith è costretta a dire la verità sulla torta bruciata e Cindra si ritrova a doverle confessare una cosa piuttosto sconcertante: voleva semplicemente che Edith facesse un gesto carino per Haywood.
Sì, Haywood.
Il ragazzo che ha scritto alla madre il giorno prima per dirle che sarebbe andato a prendere Edith.
Ma stiamo impazzendo?

Oh, io direi di sì.

Ma per sapere il resto, per scoprire quale folle piano la vita ha riservato per i nostri protagonisti e amici, non si deve far altro che aspettare martedì.

Nel frattempo, come vi è sembrato il capitolo? La storia vi piace?

Cosa ne pensate di Cindra ed Hailee?

Cosa succederà secondo voi?

Quali saranno le prossime mosse di Atkinson e Ross?

Haywood ed Edith si incontreranno di nuovo?

Ricordo che i miei contatti social sono @_succederebbetutto e @_ariannabianco, e ringrazio tutti quelli che leggono, votano e commento. Tutti tutti, anche i più silenziosi. Noi ci sentiamo presto!
Con utto l'amore,
Ari🌷

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