Succederebbe Tutto - H.S.

By _ariannabianco

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Loro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè... More

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Avviso Importante: è richiesta la vostra collaborazione😛
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By _ariannabianco

Haywood

Erano le quattro del mattino quando parcheggiai il fuoristrada davanti alla centrale, e durante il tragitto non ero riuscito a smettere di pensare al discorso di Edith, alle ultime parole che ci eravamo scambiati prima che la chiudessi in camera mia con una minaccia. Estrassi le chiavi dal quadrante e uscii dall'auto, sigillando le portiere con un click. Mentre percorrevo i pochi gradini che mi dividevano dall'ingresso il mio cellulare continuò a suonare, ma lo ignorai tirando dritto sino alle porte scorrevoli, che si aprirono non appena rilevarono la mia presenza. Oltrepassai la soglia del dipartimento del Queens e il mio sguardo incontrò quello di Lyle, che stava lavorando al computer con uno dei nostri colleghi. Mi riconobbe immediatamente e, con un rapido gesto della mano, le intimai di seguirmi. Svoltai a destra, imboccando il corridoio che ero certo mi avrebbe portato nell'ufficio di mio padre -conoscevo molto bene quel posto- e mi chiusi all'interno di esso quando ella mi ebbe raggiunto. Fortunatamente non c'era nessuno.
«Ti ho chiamato cinque volte, stavo iniziando a preoccuparmi.» 
Lyle si appoggiò contro la scrivania e incrociò le braccia al petto squadrandomi da capo a piedi. 
«Ho avuto un imprevisto. Sto bene.» Mentii, non sapendo cos'altro e: «Come procedono gli interrogatori?» Aggiunsi prima che potesse farmi qualche domanda di troppo.
«Non bene. Tuo padre sta interrogando Ray Smith che, pur essendo con il suo avvocato, continua a non parlare. Afferma di non conoscere nè le tre spacciatrici nè i quattro ragazzi che abbiamo arrestato al Saturn, ma sono sicura che siano collegati in qualche modo.» Arricciò le labbra. «La gang ha parlato di un locale abbandonato dietro al Saturn, ma non sono andati oltre quell'informazione. Le ragazze si rifiutano di parlare e sono fermamente convinta che la causa sia proprio quel bastardo. Le avrà minacciate, oppure in passato avrà abusato di loro. Infondo è lo stesso uomo che per poco non ha ucciso la ragazza che ti ho espressamente detto di non arrestare.»
Dopo aver ascoltato attentamente ogni parola annuii, prendendo tra le dita il ponte del naso, e presi un profondo respiro per non perdere la calma. Credevo che gli interrogatori fossero a buon punto, perchè mio padre era sempre stato un ottimo ispettore nonostante il contorno della nostra famiglia, e venire a sapere che dopo due ore fossimo ancora in una situazione di stallo mi rendeva nervoso. Volevo andarmene via, ma dubitavo che il commissario mi avrebbe accolto a braccia aperte se non avessi risolto io stesso il caso. 
«Allora.» Esordii avvicinandomi a lei. «Organizza una squadra, prendete uno dei ragazzi che ha parlato e obbligatelo a mostrarvi il locale abbandonato dietro il Saturn. Tu vai con loro, io nel frattempo provo a far parlare quelle ragazze. Hai arrestato Ray Smith perchè stava abusando di quella ragazza, non possiamo tenerlo qui se lei non parla o se non riusciamo a collegarlo alle tre spacciatrici.» Constatai.
«Se vuoi provo a rintracciare la ragazza di stasera, non dev'essere lontana.»
Si propose, ma io scossi il capo, troncando la sua idea sul nascere. Non era una buona idea cercare Edith, che oltretutto era a casa mia, perchè permettere a Lyle di trovarla ed interrogarla non avrebbe portato ad una soluzione efficace ed immediata. Lei non avrebbe mai confessato, cocciuta e ostile come si era presentata e, nell'eventualità avesse deciso di farlo, mi avrebbe sicuramente menzionato e io non ero pronto a dare spiegazioni o giustificazioni per averla arrestata ingiustamente. 
«Iniziamo a fare quello che ti ho detto e se non dovessimo arrivare ad una conclusione, allora mi occuperò personalmente di trovare Ed-quella ragazza.» Mi corressi giusto un attimo prima di tradirmi, ma non fui certo che lei non mi avesse sentito. Avevo l'abitudine di scandire ogni parola quando si trattava di impartire ordini, per essere sicuro che fossero sempre chiari e distinti, per questo mi preoccupai vedendo Lyle aggrottare le sopracciglia per il mio piccolo intoppo.
«Va bene.» Si arrese con un sospiro. 
Dopo averla istruita a dovere, Lyle uscì e mi lasciò solo nell'ufficio di mio padre. Troppi erano i pensieri che frullavano per la mia testa, ma uno solo continuava a rimanere un pallino fisso: Edith Ross. Non la sopportavo, eppure sapevo che non fosse stata dalla parte del torto quando mi aveva detto che questo luogo mi bloccava. Era un semplice arresto per spaccio di droga, e lo stavo trasformando in qualcosa di più grosso solo perchè avevo paura di confrontarmi con mio papà, con il mio passato. Io non ero più la persona di tre anni prima, e lo dimostrava il mio distintivo da ispettore e la mancanza di mie foto sulla scrivania di mio padre. Per poco non scoppiai a ridere quando mi ricordai che il commissario mi avesse detto che lui era favorevole al mio trasferimento. Cacciai quell'assurdità scuotendo il capo e, ritornando serio, presi un quaderno vuoto e una penna, lasciando la porta dell'ufficio alle mie spalle. Avevo perso fin troppo tempo dietro preoccupazioni inutili, ed era ora che cominciassi a lavorare seriamente.
A quest'ora Lyle aveva organizzato la squadra, e io non avevo ancora fatto nulla di concreto se non arrestare la persona sbagliata. Mentre ritornavo sui miei passi allontanai anche il pensiero di Edith sola in casa mia, e domandai al collega che prima parlava con la mia partner di indicarmi la stanza in cui erano state portate le tre spacciatrici. Lo ringraziai e, deciso a rendermi utile, entrai nella cabina 98 dove Elizabeth Brown -così recitava il suo fascicolo- era seduta con i polsi in manette sul tavolo. 
«Buonasera.» Esordii.
«Ho già detto quello che so.»
Scossi il capo: «Quello che c'è scritto qui, non è abbastanza, e il fatto che ti stia agitando dimostra che nascondi qualcosa.»
Sottolineai continuando a far scorrere i miei occhi tra le righe del suo fascicolo. Rimasta orfana da entrambe le parti, era stata portata in una casa famiglia dalla quale era scappata negli anni successivi; con due arresti alle spalle per disturbo della quiete pubblica e violazione di domicilio, era poi stata rilasciata su cauzione pagata proprio da Ray Smith, perciò non mi sorprendeva capire il perchè non volesse svuotare il sacco.
«È stato gentile da parte sua pagarti la cauzione in passato, ma questo non le deve impedire di fare la cosa giusta.»
Mi sedetti di fronte a lei e lasciai cadere la sua cartella sul tavolo, dove intrecciai le dita mentre cercavo il suo sguardo. «È stata minacciata?»
Elizabeth sfuggì i miei occhi e si chiuse in un rigoroso silenzio, ma io continuai ad osservarla. Spostò l'attenzione sulla parete di destra e affondò i denti nel labbro inferiore per tenere a bada il tremore al mento, dato che sembrava vicino alle lacrime. Chiaramente avrebbe voluto parlare ma, ostinata e succube di Ray Smith com'era, non lo fece. Ciò mi permise di avere conferma della mia teoria: era altamente probabile che si sentisse minacciata da lui. Decisi di cambiare strategia e di affrontarla con più garbo.
«Si sentirebbe più sicura a parlare in presenza del suo avvocato?» Accesi il registratore e lei scosse il capo. «Mi difendo da sola.»
«Mi ascolti bene, Elizabeth Brown. Io posso aiutarla, ma solo se lei mi racconta la verità.»
«No, non mi aiuterà.» Finalmente incontrò il mio sguardo. «Voi volete sbattermi in prigione e basta.»
Spensi il registratore e mi sporsi verso la sua parte del tavolo. «È qui che si sbaglia, signorina Brown. Io non sono gli altri, per sua fortuna. Io la metto dietro le sbarre soltanto dopo essermi accertato della vera realtà dei fatti.» Strisciai la sedia e mi alzai. «È probabile che finirà lo stesso in carcere, perché è stata colta sul fatto, ma se le sue azioni sono conseguenza di una minaccia da parte di Ray Smith, allora le carte in tavola potrebbero cambiare.»
Feci il giro del tavolo e mi misi alle sue spalle. «Se non mi racconta la verità, io non posso far altro che ritenerla colpevole tanto quanto lui. Non saprei quanto possa convenirle. Non vuole fare la sua stessa fine, o sbaglio?» Le sussurrai all'orecchio senza toccarla con un dito.
«Mi sta minacciando?» Scosse le manette.
«Errato. La sto consigliando.» Tornai a sedere davanti a lei ed incrociai le braccia al petto: «È stata arrestata per spaccio di droga, stasera, ma il tuo amico non potrà aiutarla questa volta. Le è chiaro, questo?» Fissai il mio sguardo nel suo: «Ray Smith è stato sorpreso ad un passo da uccidere una ragazza della tua stessa età. È stato arrestato, ovviamente, e gli esami tossicologici risultano positivi. Senza contare il fatto di aver trovato chilogrammi di droga nascosti tra i suoi vestiti.» Sussultò ma continuai: «Ma sa cos'è accaduto realmente con quella giovane donna? Smith ha provato ad abusare del suo corpo, lei si è ribellata e lui le ha messo le mani al collo. La stava strangolando, quando è intervenuta la mia collega. Ed è successo soltanto perché la ragazza gli ha risposto sgarbatamente.»
«Non capisco dove lei voglia arrivare.»
Misi le mani dietro la nuca e sgranchii il collo. «Ray Smith l'avrebbe uccisa per una frase detta impulsivamente, se non fossimo intervenuti. Cosa potrebbe fare con lei, Elizabeth Brown, che conosce e vive nel circolo da anni?»
Avevo la sua totale attenzione, ormai. Non appena finii di parlare, infatti, si chiuse nel silenzio. Stava riflettendo sulle mie considerazioni che, in fondo, erano vere. Conoscevo il tipo di realtà in cui Elizabeth viveva, perché in passato avevo avuto modo di sperimentarla e di scoprirne le logiche, quindi ero consapevole di quanto fosse stato difficile uscirne. Anche perché, nel mio caso, la situazione era sfuggita di mano e tutto era finito a rotoli. Avevo perso la persona più importante della mia vita, per colpa di quell'ambiente e le sue pessime abitudini, quindi ero sempre disposto ad aiutare la vittima quando mi si presentava un caso correlato a quella situazione. In particolar modo se l'imputato fosse stata una ragazza succube di un uomo che nemmeno meritava di essere definito tale. Avevo perso Gyles, ma non avrei smesso di provare a salvare la vita di altre donne per questo.
«La smetta di insinuare ciò che non è vero. Ho scelto io di fare parte del suo giro. Nessuno me lo ha imposto.»
La sua replica fu insufficiente per confermare le supposizioni della detective Martinez: tutti coloro che erano stati arrestati, quella notte, erano collegati a Ray Smith.
«Senta, la mia collega ha salvato quella ragazza, che adesso è al sicuro, e allo stesso modo potrei farlo io con lei. Ma ho bisogno dei dettagli e della verità.» Misi le mani ai lati del tavolo. «Lo so che non si è messa a spacciare perché Smith le ha puntato una pistola sulle tempie, mi creda. Però sono altrettanto certo che lei non voglia più far parte di quella vita.» Ripresi il suo fascicolo, lo sfogliai fino alla quinta pagina e la sfilai. La lessi, cercando la parte che era stata evidenziata, e quando la trovai gliela indicai.
«Quattro settimane fa ha sostenuto un colloquio per essere ammessa ad Harvard, e lo ha passato. Eppure mi risulta che lei lo abbia rifiutato perché non era più interessata.»
«È vero.»
Mentiva. «Erano tre anni che provava ad entrarci, mi risulta.» Girai il fascicolo verso di me ed estrassi le domande di ammissione, tutte quante respinte eccetto l'ultima e gliele passai. «Ha dovuto rinunciare perché implicherebbe trasferirsi, e andare in un'altra città significherebbe abbandonare il circolo di Smith. Lei ci ha provato, a tirarsi indietro con lui, ma l'ha minacciata ed è rimasta intrappolata.»
«Non ha senso.» Scattò fermandosi quando le manette la ancorarono al suo posto.
«Quindi non le dispiace se chiamassi Harvard per approfondire. Oltretutto, dai tabulati mi risulta che non sia stata lei a chiamare per respingere l'ammissione.»
«È stato mio padre, infatti.»
«Invece so per certo che entrambi i suoi genitori siano morti a causa di un incidente stradale quando era ancora bambina, e che da allora è passata da un'orfanotrofio all'altro senza che nessuno la prendesse in affido.»
Elizabeth Brown sussultò, perché le mie parole erano state crude come un taglio a contatto con il sale, ma ciò non mi ammorbidì. Essere fermi e diretti faceva parte del mio lavoro e, anche se mi dispiaceva per lei, non avrei esitato a girare il dito nella piaga pur di ottenere ciò di cui necessitavo. Non ero riuscito a definire il rapporto che intercorreva tra Smith e la Brown, ma ero piuttosto certo che il comportamento adottato da lui fosse stato il medesimo che era stato riservato ad Edith. Se così fosse stato, se realmente quel bastardo aveva provato ad abusare di questa giovane ragazza, quest'ultima avrebbe potuto essere proprio la chiave che stavo cercando. Il ché avrebbe significato due cose: liberarmi di Edith e ottenere un biglietto di sola andata per Manhattan.
«Questa è la mia proposta.» Iniziai. «Lei mi racconta tutto ciò che è successo stasera, mi parla del rapporto che ha con Ray Smith, mi elenca i nomi e cognomi del vostro circolo losco, mi indica la locazione e io farò in modo di essere clemente con la sua pena, circoscrivendola semplicemente a ciò che stava facendo al Saturn stanotte.» Chiusi il fascicolo. «Se dovesse ammettere di essere minacciata da Smith, allora io garantirò anche la sua protezione da lui. E la inserirò anche in un piccolo programma di recupero per ripulirsi definitivamente.»
«Non sono una tossica.»
«Magari no, ma sono comunque certo che dai prelievi che le effettueranno a breve troveranno qualche sostanza nel suo sangue.» Tagliai corto. «Se accettassi, dopo essersi ripulita, chiamerò personalmente Harvard chiedendo di poterle offrire un'altra opportunità. Ovviamente si rifiuteranno, perché é stata in carcere, ma io convincerò loro a cambiare idea raccontandogli delle minacce di Ray Smith, e farò leva sul programma di recupero, su come lei voglia essere una persona migliore, e su quanto eccellenti fossero stati i suoi voti prima di inciampare, e perché no, anche sulla sua famiglia. Le sembra un buon compromesso?» Le avevo offerto su un piatto d'argento quello che aveva desiderato a lungo, praticamente. Era impossibile desistere.
«Io..S-» Richiuse immediatamente la bocca, indecisa. Il suo sguardo, che era stato attraversato da un lampo di speranza, si fece confuso e i tratti del suo viso pensierosi. Ce l'avevo in pugno. Avanti, accetta. So che lo vuoi.
Avrei rispettato ogni punto del mio patto, e avrei potuto andarmene quella notte stessa senza dover passare da casa per implorare l'amica di mio fratello affinché collaborasse con me, se solo Elizabeth avesse accettato. Il ché avrebbe rappresentato un grande traguardo per me, che mi sarei liberato di quella spina nel fianco che portava il nome di Edith. Non mi era piaciuto come mi avesse fatto sentire, ore prima. La rabbia incastrata in gola davanti alla sua presunzione, il fuoco nel corpo quando ci eravamo scontrati, la sensazione di libertà provata dopo aver abbassato il tettuccio del fuoristrada, e ancora il prurito alle mani ogni volta in cui l'avevo sfiorata, il suo sguardo che mi aveva fatto paura, tanto mi aveva guardato dentro. Era stato tutto un fottuto pasticcio. E mi era rimasto inciso nella pelle. E la voglia di tornare a Manhattan si era fatta sempre più insopportabile.
«Sa cosa? No.» Scosse il capo. «Non accetto la sua offerta.» Si sporse in avanti cercando il mio sguardo.
«Se crede che i suoi occhi verdi e le sue parole ricche di buone intenzioni abbiano effetto su di me, perché è giovane, si sbaglia di grosso. Traffico droga da anni, stasera mi ha colto sul fatto, e sono colpevole. E nessuno, specialmente Ray Smith, si è permesso di abusare di me. Come nessuno mi ha costretta a rifiutare l'ammissione ad Harvard.» L'ho persa, cazzo. La sua devozione al gruppo supera i suoi dannati bisogni. Ma come si fa?! «Quindi farebbe prima a dirmi quanti anni di carcere mi aspettano e a lasciar stare Ray Smith. Perché io non lo condannerò soltanto perché volete fotterlo per bene e non sapete come fare. Non inventerò delle bugie per lei. Le sembra una buona motivazione?» Mi sfidò usando le mie stesse parole.
Elizabeth Brown era affannata, oltre che estremamente ostinata. Il suo petto si alzava ed abbassava velocemente, il viso le era diventato rosso dalla rabbia, e io compresi che non avrei potuto salvarla come avevo sperato. Aveva compiuto la sua scelta e l'avrei lasciata stare, ritornando ad un punto morto, ma non l'avrei abbandonata comunque nelle mani di Ray Smith. Anche se si era giocata il suo futuro, io avrei cercato di far marcire quel bastardo in carcere, e lo avrei fatto percorrendo un'altra via.
«Faccia pure come crede. È maggiorenne e si assumerà la responsabilità delle sue pessime azioni.»
Con la voglia estrema di spaccare qualcosa, mi alzai dalla sedia e presi il fascicolo giallo tra le mani. Mi diressi verso la porta e presi un profondo respiro, perché stavo passando uno dei giorni più infernali di tutta la mia vita. Troverai un'altra soluzione, Haywood. Provavo a convincermi. Magari avrei potuto indagare a fondo sulle vite delle altre ragazze e proporre un patto simile a quello che avevo stipulato per la loro amica. Anche se dubitavo fortemente nella loro adesione. Elizabeth Brown era la più manipolabile tra le cinque.
«Me le assumo volentieri, perché sono piuttosto certa che la ragazza di stasera non esista nemmeno, e che le sue parole siano tutte bugie.» Sentenziò cattiva.
Sorrisi sghembo, scossi il capo, ritornai sui miei passi e raggiunsi il tavolo. Appoggiai le mani ai lati della scrivania e avvicinai il mio viso al suo. «La ragazza esiste eccome. E quando la vedrà prima di essere portata in prigione, perché mi creda che la vedrai, le concederò qualche minuto per farsi raccontare tutto. Ma a quel punto, signorina Brown, sarà troppo tardi per lei.» Sollevai il busto e le diedi le spalle. «Con questa decisone ha detto addio ad Harvard. Per sempre. Ma ci pensi, cosa crede di fare con Ray Smith a marcire in carcere?»
Rimase in silenzio e tirai la maniglia. «Stia tranquilla, la risposta non la voglio adesso. Si può prendere tutto il tempo che vuole per rifletterci. Tanto non avrà molti impegni dietro le sbarre nei prossimi anni, giusto?»

L'interrogatorio non aveva ottenuto l'esito sperato, perciò chiusi la porta alle mie spalle più alterato di prima. Elizabeth Brown non aveva tradito Ray Smith, preferendo tacere e andare incontro alle conseguenze dei suoi atti illegali piuttosto che tutelarsi, e io avevo perso solo tempo. In più, per metterla al suo posto, alle strette, per intimorirla, le avevo assicurato che le avrei portato Edith a testimoniare. E avevo solo peggiorato la situazione, perché lei non avrebbe mai accettato. Non dopo averla chiusa in camera mia ed essermene andato. Sequestro di persona, complimenti ispettore. Scossi il capo per cancellare quel pensiero, perché lo avevo fatto con il fine di controllare la situazione e l'avrei liberata non appena avessi passato la sua responsabilità ad Heath, e percorsi il corridoio. Mi diressi nella sala d'attesa, dove mi comunicarono che ci fossero i miei familiari, posai la cartella sul bancone e mi voltai. Scorsi le figure di mio padre e dei miei fratelli: l'istinto di scappare era forte, ma mi imposi di rimanere fermo, di bloccare i miei passi. Non avrei fatto dietrofront. Ero già fuggito abbastanza da loro, quella sera. Era l'ora di fare l'uomo.
Spostai nuovamente l'attenzione su di loro e notai con amarezza quanto Hailee fosse cresciuta negli ultimi anni. Aveva soltanto sedici anni quando l'avevo lasciata dopo averle promesso che ci sarei stato per sempre, e adesso era una donna bellissima: era alta, slanciata, muscolosa e anche se era un po' scossa dalla vicenda del Saturn, restava sempre la nostra piccola e brillante sorella.
Lee si spostò per abbracciare mio fratello, che ricambiò, e la dolcezza del suo gesto mi investì con un'ondata di nostalgia.
Spero tu possa perdonarmi, Hailee. Mossi un passo in sua direzione. Me ne sono andato per te, perché mi ammiravi, perché i tuoi occhioni mi vedevano come un modello da raggiungere, ma allora non potevi fare affidamento su di me. Mi ero perso. Non volevo rovinarti, sorellina. Deglutii. Se sono sparito è perché ti volevo bene. E te ne voglio ancora, accidenti!
Coprii anche l'ultimo metro e mi piazzai dietro i miei fratelli.
«Haywood, figliolo...» Esordì mio padre per attirare l'attenzione dei familiari su di me.
Royce Atkinson, capo del dipartimento del Queens, era un uomo severo e determinato, ma era anche un ottimo genitore con i figli che non lo avevano mai messo a disagio con il loro comportamento, come Hailee ed Heath. Li amava con tutto se stesso e, per loro, avrebbe lottato contro l'impossibile. Peccato che fosse anche incredibilmente falso.
Negli ultimi anni, più precisamente dalla mia partenza, con le sue abili doti da manipolatore aveva fatto credere ai miei fratelli che tutte le decisioni che aveva preso dopo la storia di Gyles fossero state per me, e non per la sua reputazione, e che io mi fossi allontanato da loro perché ero troppo fragile, perché lo odiavo e non gli ero nemmeno grato per l'aiuto che mi aveva offerto, e che non lo avrei mai capito perché sarei rimasto immaturo per sempre. Loro ci erano cascati, ovviamente, e mi avevano tagliato fuori, soprattutto Heath. Triste, vero?
Sì, ma lo avevo superato.
«Non sapevo che saresti arrivato, che sorpresa!» Aggiunse con un sorriso stampato in volto. 
«Non dire bugie. Se sono qui è perchè tu l'hai voluto, ma se speravi di convincermi facilmente ad accettare l'offerta di Duncan, sei fuori strada.» Replicai a denti stretti. 
Nonostante tutto, Royce Atkinson non era un uomo cattivo, perchè per il resto dei suoi familiari avrebbe smosso mari e monti, per questo preferii chiuderla immediatamente. Soltanto non avevo bisogno che lui fingesse di essere sorpreso per il mio arrivo: sapevamo entrambi che il nostro rapporto si era spezzato per sempre ed irreparabilmente, e che ciò non sarebbe cambiato.
«Quale offerta?» 
Heath, che aveva percepito la tensione nell'aria, si accostò a mio padre e gli posò una mano sulla spalla prima di cercare il mio sguardo. Al contrario dei miei, i suoi occhi erano scuri, neri come il buio, ma erano altrettanto indagatori e, adesso, sembravano anche accusatori.  
«Niente che ti riguardi.»
Mentre gli restituivo la stessa occhiata tagliente, Heath ebbe un piccolo sussulto che io non seppi se attribuire alla schiettezza delle mie parole. Prima di essere trasferito a Manhattan, mio fratello era anche il mio migliore amico: ci rispettavamo reciprocamente, ci raccontavamo tutto e non avevamo segreti. Invece, dopo la tragedia che mi travolse, non fui più capace di essergli leale. 
«Haywood si trasferirà qui il prossimo mese.»
Ma che cazzo?!
Heath sgranò gli occhi mentre l'uomo che ci aveva messo al mondo mi guardava fingendosi orgoglioso. Il ragazzino ingenuo che ero una volta gli avrebbe creduto, però io sapevo che era il suo ennesimo tentativo di mettermi alle strette: fare leva sui sentimenti che provavo nei confronti dei miei fratelli per farmi arrendere. Mi conosceva ed era al corrente che, nonostante tutto, tenevo a loro e che mi sentivo in colpa per non essere stato all'altezza di Hailee.
«Haywood, sta dicendo la verità?»
La voce di mia sorella giunse alle mie orecchie, flebile e vellutata, quindi spostai il mio sguardo nella sua direzione.
Oh, no. Si era alzata dalla sedia e si era avvicinata ad Heath, fermando i suoi passi davanti a me, sollevando il viso per poter incontrare il mio. Rimasi in silenzio per diversi minuti, attimi impercettibili che usai per accarezzarla con i miei occhi prima di spezzarle il cuore. Era cresciuta dall'ultima volta in cui l'avevo vista ed era cambiata moltissimo, ma adesso - in quel preciso istante- mi sembrava la stessa giovane ragazza che avevo lasciato perchè ero un totale disastro. La stessa adolescente che mi aveva pregato di non abbandonarla mai, la stessa bambina che mi aveva promesso di aiutarmi a risolvere i miei problemi a patto che le rimanessi vicino. Come avrei potuto dirle che non mi sarei trasferito? 
C'era speranza, nei suoi occhi verdi, riflesso dei miei. 
«Haywood non mente, figliola.» 
Conoscendo la mia più grande debolezza, Hailee, mio padre decise di intervenire nuovamente al mio posto e la cosa non mi sorprese. Appoggiò una mano sulla spalla di mia sorella e la invitò ad avvicinarmisi fino a quando le nostre distanze non furono quasi del tutto nulle. Lee si passò le mani tra i capelli mossi, che si era tinta di nero, e la manica del maglione le scivolò lungo il braccio mettendo in risalto la pelle costellata di tatuaggi. Si erano triplicati dall'ultima volta, ma non era il momento di perdersi in altri pensieri. Bisognava restare lucidi.
Con il suo sguardo, Hailee cercò una conferma delle parole di nostro papà e io, da sempre portato a mettere davanti alla mia felicità quella dei miei fratelli, semplicemente annuii. Un lampo attraversò gli occhi chiari di mia sorella, che mi sorrise, ma fu solo questione di secondi prima che lei mi tirasse uno schiaffo di fronte a tutta la centrale.
«Ti odio, cazzo. Ti odio.» Mi spintonò per il petto e io indietreggiai per la sorpresa.
Avrei dovuto aspettarmi quella reazione, quelle parole, perchè ero stato il fratello peggiore di sempre, eppure non mi ero preparato a riceverle. Sentire Hailee che gridava di odiarmi con le lacrime agli occhi era stato come medicare delle ferite con il sale. Bruciava. Bruciava persino più della pelle che formicolava nel punto in cui era stata colpita, e anche se la tentazione di portarmi una mano al viso per placarlo era forte, non mossi neanche un muscolo. Sapevo di essermelo meritato.
«Lee...»
La delusione negli suoi occhi, all'orlo del pianto, era talmente evidente che non potei far altro di chiudere i miei. L'unica ragione per la quale mi ero concesso di cedere, quella sera, davanti alle provocazioni di mio padre, era stata lei, e non poteva respingermi proprio ora. Negli ultimi anni mi ero impegnato duramente per poter essere come Heath, un fratello alla sua altezza, e adesso lo ero diventato. Hailee non poteva voltarmi le spalle, dannazione!
«Ti odio, Haywood. Vattene!» 
L'urlo si graffiò nella sua gola mentre alzava una mano per colpirmi ancora ma Heath, consapevole che stessimo dando spettacolo davanti a nostro padre che odiava ricordare che la nostra famiglia si era ridotta in pezzi, la fermò. Prese Hailee per la vita e la lasciò solo quando si assicurò che non si dimenasse più tra le sue braccia. Come era sempre accaduto, mio padre ringraziò Heath e sussurrò ad Hailee che l'avrebbe portata a casa, perciò lei annuì debolmente. La ragazza che conoscevo mi aveva promesso che non avrebbe mai preso ordini da nessuno, ma infondo Royce era nostro papà, e io non potei far nulla quando loro si allontanarono da me. 
«Non vogliono ancora rilasciare Ivor, che adesso è il suo ragazzo. Credono sia coinvolto in questa questione di merda, ma entrambi sappiamo che il responsabile è Ray Smith.» Mi informò Heath. 
«Non è il mio compito quello di interrogare Ray Smith e di liberare Blake. Dovresti chiederlo a tuo padre invece di accusare me oppure di lasciare che nostra sorella vada con lui.»  Replicai, freddo come il gelo. 
Spostai l'attenzione verso Hailee e mio padre. Li osservai incamminarsi verso l'uscita della stazione di polizia, e quando scorsi le spalle di mia sorella sussultare, compresi che quell'incontro, quella sera, non fosse stato difficile solo per me.   
«Di solito sei tu, quello che accusa ingiustamente le persone, quindi Ivor è compito tuo.» 
Soffocai una risata sarcastica.
Era ridicolo con quanta prontezza continuasse a difendere Edith per un errore che avevo commesso e risolto, ma ancora più assurdo era inveire contro di me perchè il ragazzo di nostra sorella non veniva rilasciato. Conoscevo Ivor Blake, un tempo eravamo amici, e se colui che lo aveva interrogato credeva che fosse coinvolto in questo caso, allora io non avrei potuto far nulla di concreto per lui. Sia io che Heath, presumevo anche Hailee, eravamo a conoscenza del suo passato, e sapevamo che non fosse stato limpido come stava cercando di far credere. Eravamo coinvolti negli stessi giri e, come io avevo cercato di andare avanti, allo stesso modo lui aveva provato a farlo, ma purtroppo questo non avrebbe permesso di cancellare il prima. Il nostro curriculum sarebbe rimasto macchiato per sempre, quindi potevo capire i miei colleghi quando decidevano di trattenerlo. Io stesso non gli avrei permesso di tornare a casa fino al momento in cui non ne fossi stato sicuro.
«È qui che ti sbagli, Heath.» Scossi il capo. «Occuparmi di Ivor non è un compito mio. Dovrebbe essere quello di tuo padre, ma preferisce interferire nella mia vita come sempre piuttosto che svolgere il suo lavoro.» 
Non ricordavo l'ultima volta in cui mio papà avesse rinunciato a comandare sulla mia vita. Aveva cominciato quando avevo sedici anni e da allora, ovunque io fossi stato, non aveva più smesso. Ed era stressante sapere di essere controllato passo dopo passo, come se avessi potuto commettere nuovamente un vecchio e stupido errore.
Tanto è inutile. Ricordai a me stesso. Anche se avessi fatto ed ottenuto l'impossibile per la mia famiglia, per Royce Atkinson non sarebbe mai stato abbastanza. Secondo lui sarei ricaduto nelle abitudini passate, prima o poi.
«Dovresti smetterla di incolpare nostro papà solo perchè ha avuto a cuore la tua vita. Stavi degenerando, Haywood.» Lo so. « E mi sembra che non ti dispiaccia nemmeno quello che fai, adesso. Ed è sicuramente meglio che passare da un bar all'altro o di struggersi per una scelta che Gyles ha fatto.» Fece una pausa. «Era una causa presa, Haywood. Lo sapevamo tutti, anche se le volevamo bene. E ha fatto perdere pure te.»
Menzionare il suo nome era stato un colpo basso persino per Heath infatti, non appena si rese conto dell'errore che aveva commesso, aprì la bocca per scusarsi e la richiuse subito dopo, incapace di formulare una frase che potesse farmi dimenticare quello che avevo provato ricordandomi di lei. Si avvicinò e allungò una mano per toccarmi, ma io l'oltrepassai colpendo la sua spalla, e mi diressi verso l'uscita. Non mi importava se il commissario Gemini mi avrebbe rimproverato per non aver finito il mio lavoro, se avrebbe deciso di ritirare la sua offerta sul caso Reyes, io sarei comunque ritornato a Manhattan quella stessa sera. Venire nel Queens senza opporre un minimo di resistenza era stato un grande sbaglio, e allo stesso modo era stato un errore permettere ai miei sentimenti di alterare la mia lucidità e le mie capacità. 
«Haywood, scusami.»
Quando mi avvicinai alla mia automobile, Heath percorse i pochi gradini fuori dalla porta principale della centrale e con grandi falcate mi raggiunse prima che potessi aprire lo sportello e partire. Lo ignorai e pigiai il pulsante che mi permise di aprire la vettura con un click, quindi spalancai la portiera, mi sedetti e infilai le chiavi nell'apposito foro. Le girai, e l'abitacolo emise rumori bassi e brevi mentre mi allacciavo le cinture di sicurezza. Azionai l'aria condizionata e, dopo aver sistemato gli specchietti per far retromarcia, accesi la radio per sovrastare la voce di Heath che mi chiedeva di lasciarlo spiegare. Finsi di non sentire persino i suoi pugni deboli contro il finestrino che mi stavano richiamando. 
«Pensavo che ormai Gyles fosse acqua passata.»
La voce di Heath giunse ovattata all'interno dell'abitacolo, ma abbastanza forte da ferirmi nuovamente. Come aveva potuto credere che mi fossi dimenticato di lei, della mia migliore amica, del mio grande amore, con tanta facilità? Con quale coraggio si era permesso di sostenere una cosa del genere? Gyles era stata la mia vita e non avrei mai superato la sua morte.
Preso da un'improvvisa rabbia abbassai il finestrino. «Non osare a pronunciare il suo nome solo per farmi sentire in colpa, altrimenti ti prendo a pugni. E sai che lo faccio.»  Lo minacciai e non mi importò se avrebbe deciso di raccontarlo a nostro padre e proseguii. «È stato un enorme errore venire qui sperando di non vedervi. Tu che fai sempre il moralista e mi accusi per Ivor ed Edith, nostro padre che fa leva sui miei sbagli e che mi costringe ad accettare un trasferimento che nemmeno voglio, e poi Hailee che mi urla di odiarmi. Non so nemmeno il perchè io continui a stare qui. Avete già un ispettore, dei detective, dei poliziotti...»
Presi un profondo respiro. 
«Continuate ad aver bisogno di me solo per sentirvi migliori, per potermi accusare della persona che ero un tempo, quindi non dovreste stupirvi del perchè abbia messo una croce sul vostro nome.»
Heath sussultò e il suo sguardo si incupì quando rielaborò la mia sentenza. In un primo momento mi sentii in colpa, perchè era più facile convincere la mia mente di aver chiuso con loro piuttosto che il mio cuore, ma quando mi ricordai di cosa fosse successo pochi attimi prima in centrale non me ne importò. Non ero più il ragazzo che avevano lasciato in passato, e se per mio padre i miei successi e il lavoro che avevo compiuto su me stesso non erano visibili oppure non abbastanza, allora non avrei voluto più condividere nulla con lui. Per quanto male avesse potuto farmi, avrei potuto accettare e ritenere giusta la reazione di Hailee, ma non quella di Royce o di mio fratello.
«Nessuno ti accusa di nulla, Haywood! È stata una serata pesante per tutta la famiglia, perciò ti conviene entrare dentro.»  Indicò la centrale. «Oppure ti conviene andare a casa.»
«Per fare da balia alla tua amichetta presuntuosa? È un tuo problema, lei.» Lo pronunciai con un tono disgustato.
Edith mi infastidiva quasi quanto la faccia di mio padre, il chè ricopriva una scala che tendeva all'infinito. Mi irritava il suo comportamento, il suo essere maledettamente sveglia e sempre al passo con i miei piani, il suo non cedere alle mie manipolazioni, perciò non avrei trascorso un altro minuto con lei a meno che non fosse stato necessario. Non mi piaceva l'effetto che le sue parole e i suoi occhi avevano su di me, la facilità con la quale aveva momentaneamente dimenticato di essere arrestata per godersi -a detta sua- un attimo di libertà, un'idea che mi ero permesso di accarezzare quando l'avevo portata casa dei miei gentiori sfrecciando per le strade della città con la musica accesa mentre lei cantava con i capelli al vento fuori dalla decapottabile. 
«Non se viene quasi uccisa da un porco come Smith! È compito tuo fare in modo che sconti il massimo della pena, perchè so che non vuoi che le accada la stessa cosa di Gyles.»
Spensi l'auto e mi passai una mano tra i capelli, contando fino a dieci per placare il formicolio che avvertivo sulle dita. La mia pazienza aveva raggiunto il limite, e se Heath avesse osato a continuare con la sua predica e i suoi ordini, lo avrei superato uscendo dall'auto per completare quello che non gli avevo fatto al Saturn, ossia spaccargli la faccia, che sicuramente non sarebbe stata la mossa migliore. Di norma non ero un tipo violento, ma diventavo parecchio irascibile quando si trattava di quelle piccole cose o persone che mi stavano a cuore.
«Sei proprio un pezzo di merda, Heath!» Mi era venuto un nodo in gola, pensando a Gyles. «Dovresti andartene! Non sai nulla del mio lavoro!»
Era facile parlare per lui, che quella realtà -la mia- non la viveva.
C'erano casi complicati e casi semplici, e talvolta i secondi diventavano uguali ai primi se i testimoni o le persone coinvolte si rifiutavano di aiutare o confessare. Gli arresti di quella sera avrebbero dovuto essere facili, perchè le prove a discapito dei colpevoli erano tante, ma nessuno di aspettava di mettere in manette Ray Smith, che da ciò che sapevamo era il capo di quel traffico losco e che, solitamente, rimaneva nascosto nelle retrovie. Era quasi stato un bene che avesse seguito Edith, perchè altrimenti Lyle non lo avrebbe mai preso, come il resto dei colleghi d'altronde, ma scoprire quello che le aveva fatto in un primo momento mi aveva fatto quasi sperare che quella sera non fosse mai esistita. La parte più ragionevole di me ribadiva che senza quella tragedia non lo avremmo incastrato mentre l'altra, quella umana che più volte Edith mi aveva rinfacciato di non possedere, continuava a far scorrere come fotogrammi le immagini delle ferite che avevo dovuto disinfettarle.
Se solo non fossi stato tanto stronzo da fingere che mi importasse qualcosa di lei per poi ricordarle che stavo solamente svolgendo il mio lavoro, probabilmente Edith mi avrebbe detto di sua spontanea volontà cosa avrei voluto sapere. L'unico punto che non tornava era il reale motivo per il quale non avesse voluto denunciarlo: le avevo creduto quando mi aveva confessato di non voler rivivere più nulla di quei momenti, e la comprendevo perchè Gyles mi aveva raccontato di sentirsi allo stesso modo, ma avevo la sensazione che ci fosse stato sotto dell'altro. Qualcosa che ometteva ma che avrebbe potuto aiutare entrambi.
«Vai dalla tua bella famiglia e vivi la tua cazzo di vita, perchè io farò la mia. E sicuramente non ho bisogno di te per capire cosa sia giusto o meno per Edith. » Conclusi risoluto.
Negli ultimi anni non avevo lavorato tanto solo per farmi distruggere dall'idea che i miei familiari -eccetto mia madre- si erano creati su di me, come non ero diventato l'ispettore più giovane e caparbio del mio distretto per poi trasformarmi nella marionetta di Royce Atkinson. No.
Io ero maturato da solo attraverso la mia determinazione, la fatica e il mio sacrificio, e non perché papà avesse molti agganci a Manhattan, quindi non avrei permesso a nessuno, tanto meno a mio fratello e alle mie emozioni, di tradirmi e di portarmi fuori strada. Elizabeth Brown non aveva parlato, le sue amiche si erano rifiutate di confessare ciò che Ray Smith avesse fatto loro, ed Edith era rimasta muta come un pesce, il ché rappresentava un'enorme sconfitta per me. Quella sera non avevo concluso nulla, ma la colpa era soltanto della mia stupida, insensata ed improvvisa fragilità che mi aveva impedito di agire come avevo sempre fatto, ma avrei rimediato. Girai le chiavi nel quadrante, quindi tirai su i finestrini e spensi la radio per potermi concentrare, per pensare lucidamente. Accelerai, senza però spostare il piede dal freno, ed Heath bloccò con una mano l'unica via di accesso che ci aveva permesso di comunicare, ossia la piccola fessura che il vetro oscurati ci aveva lasciato.
«Dove vai?» Si informò.
«La porto via da voi.» Tagliai corto. Stando alle parole di Heath, quello che era successo ad Edith era una mia responsabilità, no? D'accordo. Perfetto. Cambio di piano. L'avrei trattata come tale e non avrei permesso a nessuno, tanto meno a Royce Atkinson, di scoprila in casa nostra e di sottoporla ad un altro interrogatorio. Avevo già dato io, sotto quel punto di vista.
«È al sicuro con noi.»
Soffocai una risata e misi le mani sul voltante preparandomi a guidare.
«Come lo era Gyles?» Controllai lo specchietto retrovisore e, quando non vidi nulla dietro l'auto, inserii la retromarcia. «Se non ricordo male è morta proprio perchè voi non siete stati in grado di difenderla.» Non ero riuscito a salvare il mio più grande amore, ma avrei potuto aiutare Edith e tutte le ragazze che, come lei e Gyles, si ritrovavano in brutti giri.
«Edith non ha bisogno di essere difesa, tanto meno da te. Quindi riporta il tuo culo in centrale e svolgi il tuo dannatissimo compito!»
Heath colpì il tettuccio della vettura con l'intenzione di intimorirmi, ma non battei ciglio. Il suo atteggiamento era ridicolo, patetico, inappropriato e intollerabile. Gli ordinai di spostarsi.
«Per quanto mi possa dispiacere per Ivor, la sua scarcerazione non mi riguarda.» Tolsi il freno a mano. «Il mio compito è proteggere Edith da quelli come Ray Smith e da tuo padre, adesso. E tu non me lo impedirai.»
Premetti il piede sull'acceleratore.

N/A
Bentornati! Come va?
Come avrete capito, il lunedì non è un giorno di pubblicazione, ma per questa settimana voglio fare un'eccezione. Se possibile, quindi, aggiornerò ogni giorno fino a domenica. Poi, dalla prossima settimana, tornerò allo schema che mi ero prefissata. Perché questa decisione?
Perché vorrei che vi gettaste a capofitto nella storia di Edith e Haywood. Perché i prossimi capitoli saranno intensi, pieni di colpi di scena, di azione, di sentimenti, di rapporti, di addii e di bentornati!
Ma torniamo a noi. Questo capitolo (un po' lungo, scusate) ci presenta Haywood Atkinson alle prese con il suo lavoro: fermo, diretto, ostinato, meticoloso, astuto. Un ragazzo che, sebbene abbia rinchiuso un'estranea in casa dei suoi genitori, ha la capacità di non pensarci e di andare avanti con il suo lavoro. Infatti con Elizabeth Brown si rivela una macchina da guerra, intelligente, cauto ma spietato.
Poi, però, rivede suo padre e i suoi fratelli e qualcosa cambia. Alla vista di Hailee, la sorella, diventa vulnerabile. Si capisce infatti dai suoi pensieri che questo dipende dal bene che nutre per lei, qualcosa che non si può spiegare. Eppure quando i due stanno per incontrarsi dopo secoli, loro padre decide di rovinare tutto gettando una bomba: Haywood che si trasferisce. Una decisione che il figlio non ha ancora preso e che sconvolge i fratelli. Soprattutto Hailee.
Quindi arriviamo alla parte finale: l'ennesima discussione tra Haywood ed Heath. Ma questa volta qualcosa è cambiato. È di Gyles che si parla. Chi è questa ragazza? Perché è morta? È stata lei la causa dell'allontanamento di Haywood?
Purtroppo ancora non ci è dato sapere molto, ma è evidente che lei c'entri qualcosa. Però lo scopriremo con il tempo: voi avete qualche idea?
E ancora, perché alla fine Haywood decide di tornare da Edith?
Ha di nuovo cambiato i piani, ma perché?
Cosa gli frulla per la testa?
Ed Edith, come reagirà?
Se avete qualche teoria, scrivetela pure qui sotto e io sarò felice di dirvi se vi siete avvicinati o meno, ma senza spoilerare troppo.
Come sempre, potete seguirmi su Instagram:
@_ariannabianco
@succederebbetutto
Vi ringrazio per tutto.
Un grande bacio,
Ari🌷


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