Senza tempo - TERZO INSTALMEN...

By MartinaBee

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Attraverso gli anni, seguiamo le vicende dei protagonisti di Un gioco da ragazzi e Dalla mia parte: conosciam... More

1996 - Nicole
1977 - Samantha
1994 - Gloria
1976 - Lorenzo
1992 - Chloé
1990 - Claudio
1975 - Patrick
1996 - Gabriel
1997 - Claudio
1997 - Samantha
1996 - Nicole
1977 - Samantha
1996 - Claudio
1978 - Samantha
1997 - Nicole
1997 - Gabriel
1997 - Laerte
1997 - Samantha
1977 - Patrick
1997 - Lorenzo
1978 - Samantha
1997 - Laerte
1997 - Lorenzo
1978 - Patrick
1997 - Claudio
1997 - Nicole
1978 - Samantha
1997 - Claudio
1995 - Gloria
1997 - Nicole
1995 - Laerte
1997 - Nicole
1997 - Andrea
1998 - Chloé
2010 - Chloé
1998 - Alex
1995 - Patrick
1997 - Lorenzo
2010 - Gabriel
2014 - Gabriel

1995 - Gloria

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By MartinaBee

Mi stavo passando lo smalto sulle mie perfette unghie curate, avrebbe dovuto farlo la mia estetista, ma, quel giorno, aveva avuto un contrattempo.

Ero furiosa.

Ma, al tempo stesso, prendermi cura di me, senza bere, senza farmi, era una strana sensazione piacevole, inattesa, quasi sconvolgente.

Avevo un bisogno viscerale di ricongiungermi con il lato più profondo della mia anima, quello che non riuscivo a guardare allo specchio, quello che rinnegavo, che annegavo, che uccidevo ogni giorno, un po' di più ogni volta che sorgeva il sole.

Quella mattina, ero totalmente in me, presente, per la prima volta in settimane: era pazzesco, perché sentivo tutto, sentivo tutti, i rumori della casa, i ragazzi, fuori, che giocavano.

Due ragazzini che non avevo idea di chi fossero o cosa volessero.

C'erano persone che si prendevano cura di loro, molto meglio di quanto mai avrei potuto fare io.

Io non ero all'altezza, non ero brava, non ero una buona madre: lottavo da anni contro i miei demoni.

Ero nata in una famiglia che mi aveva solo sopportato, a sedici anni avevo iniziato a sfilare perché, oggettivamente, ero bellissima. Non avevo studiato, non avevo nessuna cultura, nessun talento, nessuno che mi appoggiasse o mi aiutasse a capire. Quindi avevo fatto tutto da sola.

Avevo preso un treno ed ero arrivata a Milano dal mio piccolissimo paese al confine con la Francia per iniziare la mia carriera di modella, timidissima, impacciata, mentre le altre modelle mi divoravano, mi calpestavano, mi facevano sentire meno di niente.

Avevo imparato a cavarmela da sola, avevo imparato a morire e risorgere, a morire per amore, per amicizia, delusa, ingannata, presa in giro, stuprata, fatta a pezzi. Un mondo orribile, fatto di lotte continue, di sangue, sudore e lacrime, in cui tutti si prendevano gioco di me, convinti che non capissi, che non fossi abbastanza intelligente, abbastanza...al loro livello.

Poi era arrivato Laerte.

Laerte, bellissimo, sicuro di sé, convinto di quello che stava facendo, convinto anche quando, giovane rampollo di buona famiglia, mi aveva guardato come una preda, mentre sfilavo sulla passerella alla settimana della moda di Milano.

Avevo colto il lampo rapace di quei suoi occhi intensi, pieni di vita, coraggio e arroganza che mi avevano soggiogata, sottomessa, conquistata, rapita.

Mi ero innamorata di lui in un secondo: mi era bastato il suo sguardo dominante. Non sapevo che volessi innamorarmi ed essere parte di una coppia fino a quando lui non mi aveva trovata. Ero pronta ad arrendermi. Non volevo un becero operaio, non volevo un morto di fame: volevo qualcuno che si prendesse cura di me, qualcuno che fosse in grado di mantenere il mio altissimo stile di vita.

Ero scesa dalla passerella, inebriata dalla cocaina e dall'effimero trionfo di mani che applaudivano chiunque gli si presentasse davanti, per togliermi d'istinto le scarpe e, in quel semplice gesto, persi l'equilibrio.

Ero disfatta dalla droga ed esausta, volevo solo mettermi a letto e dormire fino alla prossima sfilata.

-Sei un sogno - mi aveva sussurrato all'orecchio, sorreggendomi, mentre, a stento, mi reggevo in piedi.

-Tu chi sei? - chiesi, completamente fuori di me.

-Il mio nome è Laerte e sono l'uomo che devi amare.

Mi venne da ridere e, per come ero fatta, non riuscii a commentare quella risposta del cazzo.

-Sono Gloria.

-Lo so, piccola, lo so. - il suo tono e quel nomignolo da quindicenne mi fecero ridere ancora.

Avevo anche bevuto troppo.

-Io...

-Perché ridi? - mi chiese, cambiando espressione, quasi un velo gli avesse offuscato lo sguardo e, di colpo, non era più amichevole o affascinante, ma solo spaventoso.

Mi ritrassi, terrorizzata, perché sapevo bene cosa significasse quello sguardo: era una punizione, era una condanna, erano botte orribili sulla mia pelle.

Avrei dovuto sapere che Laerte, così pieno di amore e progetti per noi, il mio cavaliere senza macchia o paura, prima o poi mi avrebbe lasciata sul pavimento, mezza nuda, gonfia di botte.

Mi aveva picchiata la prima volta in cui l'avevo visto, solo perché capissi che ero sua, ero un suo possedimento, un suo dominio, una sua vera proprietà.

E continuava a picchiarmi, sempre, quando gli girava, le cose non andavano come lui aveva previsto o, più semplicemente, non ero all'altezza delle sue aspettative.

-Gloria! - la sua voce perentoria mi fece sussultare e la mia manicure finì in un disastro.

-Cosa, amore? - chiesi guardandomi le unghie con disappunto.

Laerte comparve sulla soglia, si chiuse la porta alle spalle a doppia mandata e seppi immediatamente che la faccenda era grave.

Gravissima.

-Non c'è niente che tu mi debba confessare?

Il mio cervello passò in rassegna tutte le mie mancanze nei suoi confronti: moglie inadatta, madre incapace, amante distratta e compagna inaffidabile.

Ma sapevo a cosa si stesse riferendo: me e Tommaso.

La sua espressione era chiara: Laerte sapeva che mi ero portata a letto il ragazzo della piscina, che l'avevamo fatto nel nostro letto, che lo avevo tradito non una, ma almeno cinque volte. Lo sapevo. Lo sapevo benissimo.

Sapevo che ci aveva scoperti, perché Tommaso era sparito nel nulla da giorni e non rispondeva più alle mie chiamate.

Come sapevo che aspettasse anche me una severa punizione.

Ma avrei mentito fino alla morte, non glielo avrei mai detto.

-Confessare? - chiesi sgranando i miei occhioni scuri da cerbiatta - Di che stai parlando?

Mi afferrò il mento con la punta del pollice e dell'indice, stringendo leggermente.

-Non sono qui perché tu mi prenda in giro: so cos'hai fatto - mi cadde il cuore, mi cadde lo stomaco, mi crollò l'intero mondo addosso. Non potevo più negare o nascondermi: lo sapeva e non esisteva luogo sicuro al mondo dove adesso potessi nascondermi.

Chiusi gli occhi e mi misi a tremare d'istinto: aspettavo il colpo e sapevo che non c'era nulla che potessi fare per evitarlo, sfuggirlo o scansarlo.

Se avessi dovuto avere istruzioni su come rovinare una storia d'amore, su come spezzare un cuore, su come distruggere l'autostima di una persona già fragile, Laerte sarebbe stata la persona a cui mi sarei rivolta.

Mi aveva uccisa mille volte e non se ne rendeva conto, non poteva farlo, troppo occupato da se stesso, dai propri impegni, dalla vita che aveva scelto di vivere.

-Apri gli occhi, ridicola creatura - scosse la mia testa da destra a sinistra - non ti romperò la faccia perché la tua faccia mi piace, è tutto il resto che fa schifo. Pensi di potermi fare fesso sotto al mio stesso tetto? Pensi di essere più furba, più in gamba di me?

-No... - mormorai a corto di fiato. Mi lasciò il viso e afferrò i capelli, tirandomi la testa all'indietro con una forza tale che per poco non sbattei contro lo schienale della sedia.

-Sai chi paga i tuoi bei capelli, le extension e le ciglia finte? Chi paga il chirurgo plastico che fa in modo che il tuo fisico rimanga bello e sodo e non ceda ai danni del tempo? Perché, lo sai che stai invecchiando, sì? Sai chi paga i tuoi vestiti? Le tue scarpe? I tuoi massaggi, la tua macchina, il tuo cibo, il letto dove dormi? Pensi di poterti permettere qualcosa con i guadagni della tua sfolgorante carriera nella moda? Tu devi tutto a me: la tua vita, la tua droga, la piscina, questo bel faccino che adesso vorrei solo prendere a cazzotti. Non pensare di cavartela, perché te la farò pagare così cara che rimpiangerai di aver anche solo pensato di rimpiazzarmi con un ragazzino ancora senza barba.

-Lui non c'entra niente! - esclamai con le lacrime agli angoli degli occhi.

-Sei adorabile, sei davvero preoccupata per lui? - con un colpo secco, mi buttò a terra, dove sbattei la spalla e il braccio sinistro per attutire la caduta -Tranquilla - sorrise, gelido, beffardo, indifferente, agghiacciante - mi sono già preso cura di lui e, no, non sta bene. Non starà bene per molto tempo.

Cosa avevo fatto?

Per una scappatella come tante, non la prima, di certo non l'ultima, avevo messo a repentaglio la vita di un povero innocente.

Ero un mostro.

Mio marito era un mostro.

E io ero finita in un incubo dal quale non sapevo come uscire.

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