Paper Houses

By scoglionat4

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Se un giorno qualcuno mi avesse chiesto di dare la mia prima impressione su di lui, avrei probabilmente rispo... More

Graffiti
Verde e Grigio
Regole
Ci guadagnerebbe me
Sbagliato
Colpa dellʼalcol - I Atto
Quattro passi in più verso di te
Paraocchi
Astronauti
Polpettone
Via Dei Matti Numero 0
Colpa dellʼalcol - II Atto
Come prenderlo
amoR
Io e lui
Inusuale e basta
Quasi sempre bello - I Atto
Cavaliere
Niente e tutto
Viola
Quasi sempre bello - II Atto
In ogni momento
Vandalo
Affogare nel Po
Tancredi
Defenceless
Non ti sopporto

Paper Houses

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By scoglionat4

Lei fuori dagli schemi, irriverente ed ironica, lui uomo orgoglioso e misurato.
Ma se lei ha dovuto imparare a non fidarsi dei pregiudizi per scoprire chi fosse lʼuomo a cui il suo cuore ambiva, questʼultimo ha dovuto lasciarsi alle spalle il suo orgoglio per rendersi conto che non avrebbe potuto amare nessunʼaltra donna.

Orgoglio e Pregiudizio - Jane Austen

Visualizza lʼimmagine.

Pensa a tutte le cose che ti rendono felice, buttale in una ciotola e dopo mescolale insieme.

Parlando della mia ciotola, fino a qualche tempo fa lʼavrei riempita con la musica, il suono delle risate dei miei amici, il rumore del mare, il respiro di mio fratello, il profumo dei fiori che teneva mamma sul terrazzo e il ticchettio della penna di papà quando giocavamo tutti insieme a nomi, cose e animali.

Di lì a qualche ora avrei compiuto ventunʼanni, sarei diventata maggiorenne in tutto il Mondo, non che servisse a molto considerando che non ero mai uscita dal suolo Europeo, ma comunque suonava figo.

Mi era sempre piaciuto compiere gli anni in estate, perché mi permetteva di spegnere il candeline nel periodo dellʼanno che tutti, o per lo meno quasi, preferivano, il periodo in cui solitamente le persone erano più felici.

Okay, quello era anche il periodo in cui si facevano vive le zanzare, il sudore, la spossatezza, e tante altre cose negative, però i tramonti estivi erano qualcosa di mozzafiato, era bello che le giornate durassero di più ed era bello gustarsi un gelato seduti allʼaria aperta.

Avrei inserito anche tutte quelle cose, allʼinterno della mia ciotola.

“Lù?”

E poi, eccolo.

Mi piaceva fare gli origami, quando ero più piccola, e mi piaceva tanto in generale appuntarmi le cose sui fogli, appiccicare post it in giro per ricordarmi le cose, anziché segnarmele sul cellulare.
Mi piaceva poter toccare la carta, pasticciarla quando mi annoiavo e accartocciarla quando tutto andava male.
Perché, seppur potesse rovinarsi, bastava spiegazzarla un poʼ e tornava come nuova.
Se facevi un foglio a pezzettini, potevi sempre rimediare con dello scotch.
Se lo bruciavi, comunque della cenere rimaneva.
Perciò, qualsiasi cosa fosse fatta di carta mi dava lʼidea di poter essere resistente e sicura, più sicura di tante altre, seppur fosse estremamente sottile.

Lʼultimo ingrediente della mia ciotola lʼavevo trovato più o meno sei mesi prima, in un ragazzo orgoglioso dalla punta dei piedi alla punta dei capelli.

Con quel ragazzo avevo costruito una piccola casa di carta, dentro di me, non visibile ad occhio nudo.

Perché sapevo che Tancredi avrebbe potuto accartocciarmi, farmi a pezzetti, bruciarmi o calpestarmi, come io avrei potuto farlo a lui, ma non cʼera la minima possibilità che ci saremmo mai potuti dimenticare lʼuno dellʼalltro, del modo in cui, entrambi, insieme, ci sentivamo a casa.
Al sicuro.

Mi voltai, vedendolo che sprofondava nella sabbia con le infradito. Si era abbronzato in quei giorni, e gli occhi sembravano più chiari, più verdi e meno grigi, i capelli di una tonalità più tendente allʼoro.

“Sì?”

“Tuo padre chiede come vuoi farcire la piadina.”

Se eravamo la classica famiglia milanese che andava in vacanza in Romagna da tutta la vita?
Ebbene, sì.
Ma andava bene così, nonostante il mare non fosse cristallino e le spiagge fossero dannatamente affollate, quello era il mio posto, uno di quelli in cui avevo alcuni tra i miei ricordi preferiti.

Quellʼanno, però, cʼera qualcosa di diverso.

Avere Tancredi in vacanza con noi era strano, vederlo mentre tagliava lʼanguria con papà e lo faceva piegare in due dal ridere per ogni battuta che solo loro riuscivano a comprendere era ancora più strano, ma strano bello.

Saremmo rimasti poco con loro, perché ovviamente ci andava di trascorrere del tempo da soli, e con i nostri amici, ma non avrei mai rinunciato ad un breve periodo lì, con la mia famiglia, specialmente se il periodo includeva il mio compleanno.

“Ora salgo e la scelgo.” Risposi, portando nuovamente lo sguardo sul sole che stava calando.

“A che pensi?” Domandò, abbracciandomi da dietro.
Mi beai di quel contatto, appoggiandomi completamente su di lui come ero solita fare. “Al fatto che stai per invecchiare? Non preoccuparti, qualche ruga ce lʼhai già, non cambierai molto.”

“Pezzo di merda.”

“È solo divertente che tu sia più grande di me.”

“Di un mese. Un solo mese. Perciò smetttila, Peter Pan, tra poco tocca a te.”

“E non ho ancora idea di come festeggiare.”

Scoppiai a ridere, mettendomi le mani sulla faccia. "Riesci a parlare di te anche adesso che mancano letteralmente meno di quattro ore alla mia, di giornata. Sei incorregibile."

“E tu non vuoi davvero correggermi, ecco perché funzioniamo perfettamente.”

Lʼingranaggio che ci teneva uniti non era perfetto, né tanto meno ordinario, insomma quanti altri ragazzi prendevano in giro la propria fidanzata dicendole di avere le rughe? Esattamente, nessuno, ma per noi era normale. Perciò, seppur quellʼingranaggio fosse un pezzo unico, non riproducibile, che non si sarebbe potuto applicare a nessun altro, per noi funzionava da Dio.

Cenammo tardi, papà andò a prendere le piadine in bicicletta, accompagnato da Tancredi, mentre mamma e Milo finivano di prepare in cucina quella che sarebbe stata la mia torta.
Non avevo capito bene cosa fosse, perché non volevano dirmelo, ma quasi sicuramente si trattava di una torta gelato al cioccolato, come al solito. Squadra che vince non si cambia.

Per tante persone quello forse non poteva definirsi propriamente festeggiare, ma non importava, a me stava bene passare quella serata così.
Ed ero sicura che poi, nei giorni a seguire, con il resto della banda avremmo bevuto e avremmo fatto altro.

“Lele è stupido.”

Già, a proposito del resto della banda.

Finii di masticare le fragole, prima di parlare. “Perché?”

Lui di tutta risposta sventolò il cellulare che aveva in mano. “Non hai letto nel gruppo? Chiamateci a mezzanotte così facciamo gli auguri alla piccolina. Ci vuole tanto a capire che magari a mezzanotte vogliamo stare un secondo da soli?”

“Da soli?”

“Sì, da soli. Anzi, visto che mancano meno di dieci minuti sei pregata di finire di mangiare e alzare il culo da quella poltrona, voglio andare in spiaggia.”

Lo guardai, confusa. “In spiaggia?”

“Devi per forza ripetere tutto quello che dico? Sì, Lù, in spiaggia. È proprio qui dietro, non mi sembra di averti chiesto chissà che cosa.”

“Okay, okay.”

Ma perché era così nervoso?
Mi alzai, andando a riporre il bicchiere nel lavandino, e pensai di avvisare gli altri, ma a quanto pareva già lo sapevano.

“Ha detto che voleva che foste solamente voi due, perché è il primo compleanno che passate insieme. Non preoccuparti, vai, la torta la tagliamo più tardi.” Disse mia madre, sorridendomi.

Così gli rubai una felpa dallʼarmadio, la solita, quella nera con topolino, che seppur si fosse ostinato a riprendersi utilizzavo più io di lui, raccolsi alcuni capelli in una piccola crocchia, tanto per non sembrare pazza, dato che il mare me li rendeva mossi, e lo seguii.

Scavalcammo la catena di uno stabilimento balneare a caso, per poi percorrere tutta la passerella fino ad arrivare a qualche metro dal mare, di nuovo.

Era diverso, di notte, con le stelle, la luna, lʼacqua che sembrava nera. Ci ero stato poche ore prima ma sembrava quasi totalmente un altro posto.

“Perché sei voluto venire qui?”

“So che ti piace.” Alzò le spalle. “Non capisco perché, dato che la Sardegna è totalmente un altro paio di maniche e lo vedrai tu stessa, quando saremo lì con i miei, ma per qualche motivo, a te piace tanto stare qui.”

“Finiscila con questa Sardegna, lo so che è bella, ma solo... non hai mai amato qualcosa perché ai tuoi occhi risultava semplicemente speciale?”

Mi guardò, inclinando leggermente la testa e alzando un angolo della bocca. “Sì.” Allargò il sorriso, mostrando i suoi piccoli e perfetti dentini bianchi. “La Playstation.”

“Vaffanculo.”

Rise, allungando un braccio per afferrarmi. “Che ore sono?”

“Mancano due minuti.”

“Okay, dovrebbero bastarmi.” Si trovava esattamente di fronte a me, insipirò ed espirò forte, dopodiché appoggiò la sua fronte sulla mia. “Mi chiedi di continuo perché ho scelto te, ed io non ti rispondo mai perché non ci riesco, è più forte di me.” Mi accarezzò una guancia, con tanta delicatezza che pensai di potermi già mettere a piangere. E non aveva detto praticamente nulla. “Ma voglio che tu lo sappia, e probabilmente è il miglior regalo che potrei mai farti, perché non ricapiterà più. E sì, se te lo stessi chiedendo, ho anche un regalo vero.”

Risi, tirandogli un pugno sulla spalla. “Non me lo stavo chiedendo affatto.”

“Comunque, ho scelto te e sceglierei te sempre, perché sei andata oltre. So che non è stato facile, che allʼinizio cercavi il pretesto per trovarmi antipatico, cosa che non sono affatto, e cʼeri anche riuscita, con quella storia dei graffiti, ma poi hai scelto di conoscermi davvero. Le persone con me si fermano ai pregiudizi. È famoso, è superficiale, è montato. Tu hai capito che cʼera di più, sei stata lʼunica ad andare oltre, lʼunica che ha saputo accettarmi a pieno, in tutti i miei innumerevoli pregi.”

“Non lʼhai detto veramente.”

“Puoi scommetterci, che lʼho detto.
E poi, sceglierei sempre te perché oltre ad essere bassa, avere un bel sorriso e tenermi testa, sei speciale. Non so perché tu viva in questa convinzione assurda di valere tanto quanto le altre persone, o addirittura meno, ma non è così. Non hai niente di normale. Amo quando parli da sola di mattina davanti allo specchio, amo come cerchi di far sentire sempre gli altri a loro agio, a meno che questi altri non comprendano me, amo il fatto che hai le tue idee e non permetti a nessuno di fartele cambiare, amo che tu sia diretta, amo il tuo modo impacciato di camminare e le tue dita minuscole.
Ti amo, Luce. Buon compleanno.”

Scoppiò qualcosa in lontananza, ma a malapena lo sentii, concentrata solamente sulle sue parole.
Mi accorsi qualche istante dopo che si trattava di fuochi dʼartificio.

Spruzzi di ogni colore riempirono il cielo, mentre io fissavo quello spettacolo a bocca aperta, totalmente scioccata.

“Ma... sei stato tu ad organizzarli?” Domandai, asciugandomi le lacrime.

“Lʼho detto che sono pieno di pregi.”

“Ti amo.”

“Oh, lo so. Ti capisco, chi non lo farebbe?”

Tancredi era lʼingrediente speciale della mia ciotola, la mia piccola casa di carta.

ciao stelline.....
eccoci qua. voi ci credete? io no.
non so perché mi renda così emotivamente instabile finire una fanfiction, cioè ho qualche problema mentale evidente a quanto pare.
vi voglio così bene, non avete idea, grazie per tutto e lo dico veramente, vi mando un abbraccio virtuale, prendetevelo mi raccomando.
e aspettatemi domani.


Canyon 🦋

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