sangue nell'acqua [hs]

By __soph

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Harry era questo, Harry era una carezza e uno schiaffo. Due occhi incastrati in un volto troppo cupo per mer... More

Sangue nell'acqua
Occhi acquosi
Tadcaster
Ladra
Mani crudeli
Cuore a crudo
Attimi di terrore
Non hai una casa?
Red lion
Scale in ascesa
Trauma
Che ci fai ancora qui?
Non parlare con lui
Troppo soli
Va tutto bene
Jenna
Battito fugace
Veleno di serpente
Predatore
Nugoli di contraddizioni
Pelle di velluto
Obbligo o Verità?
Mason O'Connor
Inevitabilmente acqua
Cuore martoriato
Vulnerabile
Peccatrice
Spiraglio
Maia genitrice
Ombre
Occhi di primavera
Gelosia
Pavor Nocturnus
Quando sei con me
Vertigini
Brividi di cristallo
Destino di eterni infelici
Cento cappi di spine
Vuoi che me ne vada?
Paroxetina
In punta di piedi
Sangue maledetto
Follia
Maia, ti sto supplicando
Pelle viva
Non ho paura di te
SONO TORNATA

Il nostro capolinea

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By __soph

Nell'attonita incredulità con cui rimasi a guardarlo, io avvertii un gelo dissacrante inerpicarsi sulle mie spalle. Si espanse lentamente, fibra dopo fibra, vibrando piano nelle mie ossa fragili.

Prima che me ne rendessi conto mi aveva già fatto sua schiava.

Mi fermai sui miei passi, terrificata, e nel panico turbolento che sentii dipanarsi nell'aria persino il mio sangue iniziò a ribollire, bruciandomi nelle vene.

Mio padre era immobile sulla soglia del locale. Si guardava intorno col naso all'insù, curioso, ma i miei occhi scorsero nell'immediato la familiare tensione del suo corpo, quella a lui connaturata, che non lo avrebbe abbandonato mai. Sembrava...concitato.

Se ne stava lì, cauto, studiando gli spigoli del Red Lion come se volesse ripercorrerne le membrature, una ad una - e un attimo dopo, quando abbassò piano il mento e drizzò lo sguardo di fronte a sé, i suoi occhi si incagliarono nei miei senza che avessero bisogno di cercare oltre.

Fu come se tutto quel tempo non fosse mai passato. Fu come se, nel momento in cui i nostri occhi si riconobbero, io fossi tornata indietro, a Londra, nella sua prigione di cristallo.

Avvertii la stessa, medesima cedevolezza. Nonostante la distanza mi impedisse di distinguerne le sfaccettature, la potenza espressiva del suo sguardo parve inchiodarmi alla parete.

E soltanto quando le mie percezioni si allargano stentatamente io potei udire di nuovo i suoni della vita che intorno a noi non si era mai interrotta.

Il locale giaceva in un silenzio privo di sfumature. Sbattei le palpebre un paio di volte, tremula e accaldata nella mia fragilità, e solo allora mi resi conto che tutti gli occhi dei presenti erano fissi sulla mia figura.

Ansimai, preda di emozioni fagocitanti, e solo allora il vuoto tra i miei palmi parve pesare come un macigno. Abbassai lo sguardo lentamente, goffa, e in quel mare di nebbie scorsi a terra ciò che restava della bottiglia di Rum che lo shock mi aveva strappato via di mano.

In quei cocci infranti scorsi il riflesso dei miei occhi e la nota di cruda incredulità che li fagocitava, ed erano tuoni e lampi, lacrime di ricordi ancora incagliati nella zona più buia e recondita della mia psiche.

Mi portai le mani tra i capelli e mi piegai di schianto sulle ginocchia, non riuscendo ad impedirmi di chiedere scusa ancora una volta.

«M-mi dispiace...non so cosa mi è preso» soffiai tra labbra tremule, e Thomas venne in mio soccorso afferrandomi per i polsi così da impedirmi di raccogliere i vetri rotti con le mani nude.

«Cosa fai? Così rischi di tagliarti.»

«Scusami, non so davvero cosa dire-» mormorai, rizzandomi in piedi su gambe di gelatina. La sua presa si dissolse fiaccamente, abbandonando la mia pelle in uno strascichio stentato.

«Non importa...me ne occupo io.»

Lui scosse un poco la testa, ma la rigidità delle sue braccia tradiva una palese irritazione. E quella tempesta emotiva mi gettò in pasto ad un panico che non conosceva pietà o indulgenza, procurandomi lacrime e calore.

Nella frenesia che sentii irradiarsi nelle mie vene io mi allontanai in fretta verso Tom, che fermo dietro alla cassa aveva già gli occhi fissi su di me. Nel suo sguardo scorsi una premura paterna che non meritavo di ricevere, ma ignorando i richiami della ragione gli gettai le braccia al collo e sussurrai freneticamente mio padre è qui, mio padre è qui, e la mia voce era tanto pregna di disperazione che io stessa mi percepii come una bambina.

Le sue mani mapparono la mia schiena inarcata senza esitazione. Avvertii i suoi muscoli irrigidirsi oltre la barriera dei vestiti, e in un attimo di confusione lui cercò nel mio sguardo tracce di ragionevolezza.

«Mio padre...mio padre!» ansimai con gli occhi colmi della sua confusione, «Lui è qui!»

Non ebbe bisogno di guardarsi intorno per averne prova certa - non ne avvertì la necessità. Il disperato languore del mio sguardo era sufficiente a gettarlo in una spirale di insensatezze che avrebbe finito per inghiottirlo - e si ricordò dei miei racconti sussurrati tra le lacrime, del ritratto di quella figura di padre così diversa e controversa rispetto alla sua.

«Vuoi che lo mandi via?» mi domandò, il volto livido, la bocca appena socchiusa in un ringhio a stento trattenuto. Nell'avvenenza leonina del suo sguardo, così vivace e coraggioso, scorsi inevitabilmente tracce dell'incoscienza del figlio...la medesima, viscerale magnanimità.

La realtà era che non mi sentivo pronta ad affrontare quell'ostacolo - forse non lo sarei stata mai. Alexander Dekker era molto più di quanto io fossi in grado di stemperare.

Tuttavia la domanda di Tom mi gettò in pasto ad un dissidio lacerante, e se da una parte il mio istinto più puro e primordiale mi spingeva a rifiutare quelle emozioni, la mia natura scrupolosa mi suggerì che non avrei mai potuto chiudere quel capitolo senza prima averlo affrontato. Quello...era il nostro capolinea. Il nostro rapporto, tanto malato e contorto nella sua gelida insensatezza, si sarebbe sgretolato definitivamente.

Temevo solo...che avrebbe trascinato anche me nella sua spirale di distruzione.

«Maia, vuoi che lo mandi via?»

Tom fu costretto a ripetere la domanda, perchè stretta nel suo abbraccio mi ero lasciata trascinare via dalle mie ansie, perdendo contatto con la realtà.

«N-no...» balbettai senza fiato, guardandomi intorno come non conoscessi altra via di fuga. Mio padre stava avanzando implacabile verso di noi, lo sguardo acceso da un languore mordace e sardonico. Violenza tempestiva, emozione pura, ma nelle sue iridi non scorgevo crudeltà, non sopraffazione o gelo massacrante...soltanto emozione, e passioni incontrollabili a stento trattenute, tracce di un'antica ira.

Con uno sguardo gli rivelai tutta l'intensità delle mie palpitazioni - ma le accolsi con rassegnazione. Soltanto in quel momento, con i nostri trascorsi schiaffati in faccia, compresi quanto cruciale quel momento fosse. E seppi...che non avrei più potuto tirarmi indietro.

«No.» ripetei con maggiore decisione, risoluta, sciogliendomi piano dal suo abbraccio. Tom mi lasciò fare, eppure scorsi una palese confusione incastrarsi nei suoi lineamenti. Dunque si voltò laddove il mio sguardo era puntato, e finalmente potè dare un volto al macabro ritratto di Alexander Dekker.

Era ormai prossimo al bancone, avvolto in un cappotto scuro come la notte. Il suo volto svilito e crudo, tanto spigoloso da generare repulsione, non poteva vincere la magniloquenza dei suoi occhi così simili ai miei, dalle stesse tinte autunnali.

Mi imposi di apparire risoluta. Di fronte a lui allargai le spalle e mantenni intatta un'espressione audace e coraggiosa. Poi, non appena i suoi passi si fermarono dalla parte opposta del bancone degli alcolici, nonostante il mio cuore morisse ad ogni battito soltanto per rinascere più sfibrato, io lo accolsi con l'ironia sardonica di chi non ha altro modo di far paura.

«Ciao, papà.» cinguettai, e mi chiesi perchè stessi tremando così intensamente - Tom era di fianco a me, teso e rigido, rivolto verso il colosso di mio padre. Il suo sguardo era arido e ostile come l'inverno. Ne percepii i contorni quasi fosse puntato su di me, e notai che Alexander dovesse essersene accorto: i suoi occhi scivolarono sull'uomo al mio fianco, dubbiosi e irriverenti, ma presto tornarono a concentrarsi su di me.

«Maia.» mi salutò, rivolgendomi un leggero cenno col capo. «Sono contento di rivederti...finalmente.»

C'era qualcosa di diverso, in lui e nel modo che aveva di guardarmi. Qualcosa che non riuscii a decifrare, o a comprendere nella sua interezza, in quanto diluito in un mare di emozioni tra loro in contrasto. Ma c'era, e potevo percepirlo senza che lui riuscisse ad impedirmelo.

«Vorrei poter dire lo stesso di te.» confessai a bassa voce, e stavolta le mie parole non presentavano tracce di ironia o sfregio derisorio.

Era la realtà nella sua forma più pura.

Tuttavia non gli diedi il tempo di replicare, perchè avevo fretta di scrollarmi di dosso quel gelo dissacrante.

«Perchè sei qui?» feci, riuscendo a malapena a sostenere il suo sguardo. Le settimane trascorse in sua assenza mi avevano cucito addosso una passività che iniziava a farmi vacillare, ma sotto la pelle avvertivo ancora la forza vitale e polemica che soltanto mio padre era capace di suscitare - gli occhi di Tom erano ancora fissi sul suo volto, ma lui pareva non badarci.

Era completamente concentrato su di me.

Si guardò casualmente intorno, sbottonandosi piano il cappotto con mano languida. Poi il suo sguardo trovò il mio ancora una volta, e la sua intensità rischiò di piegarmi le ossa nella carne.
«Che ne dici di fare una chiaccherata?» propose, e io sapevo cosa stesse cercando di fare...aveva assunto un atteggiamento posato, elegante, da uomo d'affari quale era. Eppure io lo conoscevo, e guardavo dritto dritto nei suoi occhi di serpente.

Arraffai un respiro profondo. Il tumulto che avvertivo crescere dentro di me mi avrebbe spinto all'ennesima fuga disperata se solo non avessi compreso l'importanza di quel confronto imminente.

Dunque mi convinsi della necessità di chiudere col passato: mi voltai verso Tom e gli rivolsi uno sguardo fiducioso, carico di vivacità polemica, confortandolo del fatto che nulla di male mi sarebbe accaduto.

Che sarebbe andato tutto bene.

«Okay» mormorai, rivolgendo a mio padre una smorfia sottile, «Andiamo a sederci.»

Il Red Lion si trasformò nel mio campo di battaglia. E lì, in quel frangente di strenua difesa personale, tornai ad assumere l'atteggiamento di chimera che col tempo avevo abbandonato.

Ci rifugiammo nell'angolo più appartato del locale. Mi sedetti molto rigidamente, posando i palmi sulle cosce con un sospiro stentato, e intanto mio padre prese posto di fronte a me. Scivolò giù languidamente, come un'ombra della notte. Sulla pelle avvertii tutta realtà riflessa nei suoi occhi.

Nel momento in cui fu colto dalla realizzazione di essere riuscito a scovarmi, una strana scintilla guizzò nelle sue iridi di predatore - e per un attimo sembrò quasi incerto su come cominciare. Aveva speso tanto di quel tempo a seguire le briciole disseminate lungo il mio cammino che, ora che i suoi occhi affondavano dritti nei miei come proiettili congelati, iniziò a chiedersi se ne valesse veramente la pena.

Ma spazzò via tutto con un sorriso contrito. «Ti sei scelta veramente un bel posto.» commentò con voce serafica.

Io lo interruppi con un aspro: «Finiscila.»

Ora che finalmente eravamo da soli, Alexander Dekker poteva lasciar cadere la sua maschera di ferro.

«So cosa sei venuto a fare...non hai bisogno di fingerti indulgente.» Lo guardai intensamente - pupille immobili, chiodi nelle sue iridi di ghiaccio. «Conosco il tuo vero volto. Dopotutto...sono tua figlia.»

Lo buttai fuori come se mi disgustasse, come se quella realtà mi andasse stretta. Tuttavia sapevo di non poterla rifiutare. Dentro di me, tremula tra le corde più sensibili del mio animo, conservavo una parte di lui che avrei portato per sempre con me. Avevamo gli stessi occhi...lo stesso sguardo raggelante, la stessa natura di chimera.

«Non so di cosa stai parlando.» replicò risoluto, senza cedere alla mia provocazione. Poi aggiunse: «Non ho intenzione di iniziare una discussione con te.»

«Ah, davvero?» inarcai un sopracciglio, riacquistando sicurezza mano a mano che lo shock iniziale sdrucciolava via, «Beh, io sì.»

Lo vidi serrare impercettibilmente la mascella...ma con mia grande sorpresa, mio padre non rispose al mio affondo con un altro morso. No.

Si limitò a guardarmi, scandagliandomi con occhi imperscrutabili.

«Sono venuto qui per riportarti a casa.»

Si rifece a quel termine come se ne avesse diritto...come se non fosse lui la causa della mia devastazione psicologica e del mio destino di creatura selvatica e ribelle.

«Riportarmi...a casa?» sillabai languidamente, «Credevo di essere stata abbastanza chiara al riguardo. Io non ti voglio più vedere.»

Le mie parole, pronunciate con tanta freddezza, suonarono crudeli come poche volte lo erano state. Io stessa mi stupii della mia abilità di rifugiarmi dietro false pretese, perchè dentro di me tutto gridava devastazione.

«Maia.» ringhiò piano, tra i denti, le prime tracce di impazienza nella voce, «cerca di essere ragionevole.»

«Tu cerca di essere ragionevole. Almeno per una volta nella tua vita...pensa a quello che è meglio per me, piuttosto che a ciò che tu definisci ragionevole.»

Quelle parole furono la prima stilettata di veleno di una lunga serie. Lo colpii in tranquillità, con voce piatta, scivolando piano nei torciglioni della sua mente.

Mio padre assottigliò leggermente lo sguardo, osservandomi con sottile prepotenza. «Cosa vorresti dire con questo, tesoro? Hai intenzione di vivere il resto della tua vita...qui?»

Non mi sfuggì la nota di mordace compiacimento che mio padre mi rivolse - e sebbene detestassi l'anguiformità della sua smorfia malefica, Alexander, in quel frangente, non aveva torto. Prima o poi avrei dovuto fare i conti con le mie responsabilità, riprendendo la mia vita da dove l'avevo interrotta - la scuola era la mia assoluta priorità. Tuttavia, dentro di me, un immobilismo glaciale giaceva nel silenzio della mia anima.

«Questa è soltanto...una situazione temporanea. Col tempo capirò come mettere le cose a posto.»

La realtà era che non avevo la più pallida idea di quello che il futuro mi avrebbe riservato. Camminavo in un punta di piedi sul filo spinato, senza sapere dove mi sarei trovata tra un mese o due - erano angosce quotidiane che spiravano soltanto nel sonno...e a volte neppure in quello. L'incertezza faceva ormai parte della mia essenza vitale.

«Una situazione temporanea.» ripetè il mio interlocutore, conscio del mio disagio. «E...vorresti raccontarmi qualcosa di questa...situazione temporanea?»

«Che vuoi sapere?» quasi abbaiai, «Non ti ha già detto tutto zia Fanny?»

Servirsi della sua ingenuità era stato un colpo basso. Persino per lui. Eppure, nel profondo, sapevo di non essere arrabbiata con mia zia: probabilmente era stata rigirata con abilità dalle parole di miele di mio padre, e si era convinta che tornare da lui sarebbe stata l'unica opzione possibile. Lei...ancora si illudeva del fatto che lui fosse destinato ad essere la mia unica famiglia. Ma non sapeva che avrei preferito vivere senza radici piuttosto che con mio padre e il suo naturale istinto di sopraffazione.

«Tua zia era soltanto preoccupata per te.» tentò di convincermi, come se non sapessi quanto abile fosse nel manipolare le menti esili. «E poi...mi piacerebbe sapere dove mia figlia ha vissuto per un dannato mese.»

Arricciai le labbra e puntai lo sguardo in alto, simulando un'attenta riflessione. «Mh, vediamo...innanzitutto, mi danno da mangiare. Il che non è poco, considerando il mio status di vagabonda. E poi...oh, giusto, mi trattano molto meglio di te. Già, dev'essere umiliante...degli sconosciuti hanno saputo amarmi più di quanto tu abbia mai fatto.»

Qualcosa nel suo sguardo mutò improvvisamente. Forse fu il sorriso che gli rivolsi, una smorfia tanto candida quanto manipolata; forse fu la realtà celata in quelle parole - una realtà che il suo orgoglio dispotico aveva sempre rilegato nell'angolo più buio della sua mente.

«Parli così perchè sei arrabbiata. Ma io lo capisco, davvero. So di aver sbagliato, con te.»

Lo accolse soltanto il mio silenzio. Mio padre lo interpretò come un invito a proseguire, ma non sapeva che nella mia anima iniziava a spirare vento di tempesta.

«Sono venuto qui per risolvere le cose. Per ricominciare. Insieme.»

Sentivo grattare. Qualcosa dentro di me grattava piano. E mi sforzai con ogni briciola del mio essere per non esplodere in guaiti di bestia ferita, perchè combattere Alexander Dekker con le grida avrebbe portato ad uno scontro destinato a concludersi senza vincitori. Dunque mi presi il mio tempo per sopire quella scintilla...e gli rivolsi uno sguardo raggelante.

«No.» dissi piano, ferma. «Io resto qui, papà. E vuoi sapere perchè?»

Mi piegai leggermente sul tavolo, poggiandovi le braccia incrociate e sporgendomi verso di lui.

«Perchè tu non sei qui per me, ma per ristabilire il tuo controllo su di me. Lo capisco, sai? Da grande e ricco uomo d'affari deve essere difficile stare dietro alle necessità di una figlia adolescente. Soprattutto se quella figlia adolescente...sono io. Così ribelle, così...ingestibile

I suoi occhi erano due chiodi puntati nei miei, e in quello scambio di sguardi il fuoco delle sue iridi si fuse al ghiaccio delle mie.

«La realtà è che...anche se tu fossi sincero...anche se io fossi disposta a tornare con te...nulla cambierebbe. Tu non cambieresti...perchè sei fatto così. La cattiveria è nella tua natura.»

«Non hai idea di quello che stai dicendo.» provò ad emergere, senza sapere di essersi appena scavato una fossa senza fondo.

«Ma davvero?» lo derisi, sorridendo con candore, «Parli come se non ti conoscessi...come se non sapessi di cosa sei capace. Mi hai trattato come un verme per mesi pur sapendo quanto dolore stessi provando. Non badando al fatto...che avessi perso una madre. La stessa donna che avevi giurato di amare per il resto della tua vita.»

Il risentimento sobillato da quei ricordi mi rese spietata.

«E parlando proprio di lei...credi che non sappia perchè avete divorziato? Credi davvero che io non mi sia mai accorta di nulla?» celiai, facendo riferimento alla sua relazione extraconiugale. «Caro papà. Io so tutto. So che hai minacciato di rovinarle la vita. So anche che le hai promesso...che mi avresti portato via da lei. Ma all'epoca io ormai ero già grande...e non ci sei riuscito. Non sei mai riuscito a separarci.»

La rabbia che provavo mi stava divorando dall'interno, ma era un dolore tanto intenso da fare bene, parole covate nel silenzio e ricoperte dalla cenere.

«Sono stata costretta a trasferirmi in Inghilterra con te. La mia vita si è trasformata completamente in poche settimane...e tu hai avuto il coraggio di trattarmi come se non meritassi che il tuo biasimo. Lasciati dire una cosa.» sibilai, pronta a concludere con un'ultima stilettata di veleno.

«Non soltanto non tornerò a casa con te...ma quando uscirai da quella porta, sarà l'ultima volta che mi vedrai.»

Il silenzio calò sopra le nostre teste. Mi lasciai scivolare piano contro lo schienale della sedia, ancora accaldata, ma non smisi un attimo di guardare Alexander negli occhi, così da cogliere la progressiva trasformazione del suo sguardo.

Di fronte agli scenari che gli avevo gettato addosso con disgusto, lui si era sentito travolgere dalla realtà di quello che era. E in quel frangente, mio padre rimase senza parole.

Dunque approfittai di quell'istante per avanzare una proposta, sciogliendomi in parole di miele.

«Se veramente sei sincero...se davvero vuoi risolvere le cose...allora lasciami qui. Io sto bene. Sto ricominciando a vivere, piano piano. Per il futuro vedrò di cavarmela da sola, come ho sempre fatto. Ma per il momento...non mi importa. Voglio solo stare bene. E io, qui, sto bene.»

A quel punto non c'era nulla che io avrei potuto dire per tornare indietro. La ferita ormai era aperta, e tutto il marcio ristagnante tingeva le nostre mani di colpe incancellabili.
Lo capii...guardando gli occhi di mio padre. Nelle sue iridi autunnali, specchio delle mie, io vidi la consapevolezza dei peccati che aveva commesso. Tutto l'odio di cui si era nutrito, la sete di vendetta che lo aveva trasformato in un guscio vuoto, la sua esistenza cupa e infelice...tutto si fuse in un caleidoscopio di emozioni liquide.

Alexander Dekker si era appena visto rinfacciare la propria crudeltà senza possibilità di replica.

E quello era più di quanto fosse in grado di sopportare.

«Tua zia mi ha detto che vivi con un uomo e suo figlio.» tubò. «Voglio conoscerli.»

Qualcosa dentro di me si irrigii, diventando pietra. Di fronte a quella minaccia sottesa, uno strano istinto di protezione mi spinse a tirare fuori le zanne.

«Tienili fuori da questa storia. Tu hai un problema con me, non con loro.»

Lui inarcò un sopracciglio. «Non credo tu abbia capito le mie reali intenzioni, tesoro.» La sua voce era estremamente profonda nel pronunciare quelle parole. «Sono disposto a lasciarti andare. Ma pretendo di conoscere chi ti terrà d'occhio in futuro.»

Gli rivolsi uno sguardo attento. Cercai nel suo volto tracce di menzogna, o tratti di rigidità che mi avrebbero suggerito l'eventuale malvagità delle sue intenzioni. Ma non ne trovai. Cercai di capire se fidarmi di lui fosse un'opzione possibile, ma compresi ben presto di non avere scelta: se avessi rifiutato, avrei spinto mio padre ad un approccio violento.

«Promettimi che dopo mi lascerai in pace.» lo pregai, rigida e trattenuta.

Mio padre acconsentii con un cenno del capo. «Hai la mia parola.»

Lo guardai ancora un attimo, un istante di troppo, sospesa nell'azione. Poi mi alzai con l'indecisione incastrata nei gesti, guidandolo nuovamente verso il bancone degli alcolici.

Dalla distanza che ancora mi allontanava dalla meta incontrai lo sguardo di Tom, che mi aveva tenuta d'occhio durante l'intera conversazione - i miei occhi pregarono la sua indulgenza.

«Papà.» pigolai, facendomi piccola tra i due colossi quando si accostarono l'uno di fronte all'altro. «Lui è Tom. Tom, lui è mio padre, Alexander.»

I due uomini si scambiarono uno sguardo di fuoco, eppure io, dalla mia prospettiva di giovane ragazza, non riuscii a coglierne completamente le sfumature. Il loro fu uno scambio indecifrabile, una sfida silenziosa da cui venni tagliata fuori.

«Piacere di conoscerti.» sibilò piano mio padre, porgendogli un palmo. Tom lo strinse con decisione, bucandogli le sclere con l'ira sottile del proprio sguardo.

«Il piacere è tutto mio.»

«Bene, uhm...» emersi, frapponendomi tra loro quando la stretta si fu dissolta, «Tom, sai dov'è Harry? Mio padre gradirebbe conoscerlo.»

Pregai con ogni fibra del mio corpo che Harry non fosse presente. Lui non era a conoscenza dei trascorsi di me e mio padre, e vederlo nel proprio locale gli avrebbe dipinto negli occhi gli scenari più disparati...sarei stata costretta a dargli una spiegazione. Una spiegazione che non ero ancora in grado di articolare.

Gli occhi di Tom scivolarono su di me. Poi tornarono a mio padre, immobile al mio fianco.

«Mi dispiace, ma non è qui. Mio figlio è uscito coi suoi amici.»

Tremai di un sollievo sconfinato, e tutta la tensione che avvertivo si sciolse in acque placide.

«Ah, che peccato...» mentii senza pudore, guardando mio padre con occhi di cerbiatto. «Quindi...penso sia arrivato il momento di salutarci.»

Nello sguardo che mi rivolse io vidi il rimorso di una vita intera. I contorni morbidi dei suoi occhi presero atto di quel fallimento irreparabile, e mi guardarono come il frutto di un sogno mai realizzato.

Per la prima e l'ultima volta nella mia vita, scorsi umanità nel volto di mio padre...

...una sensibiltà repressa e contorta, perchè lui era erba cattiva, marcio nelle radici, ed io avevo avuto il coraggio di estirparlo via. E quindi i suoi occhi mi guardarono...e mi ricordarono così, sul ciglio di una libertà che mi ero guadagnata col sangue. Come la primavera che mi portavo dentro e l'acqua cristallina e indomabile che ero sempre stata.

Avvertii le sue dita sfiorarmi il palmo in punta di polpastrello.

«Mandami un messaggio, ogni tanto. Solo per farmi sapere se hai bisogno di qualcosa.»

Poi si voltò, e con quel gesto mi lasciò andare.

Mi lasciò...essere.

Questo capitolo mi piace particolarmente. Magari qualcuna di voi si aspettava qualcosa di diverso, ma per mettere un punto al passato, come dice la nostra Maia, è necessario affrontarlo. Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto...ho cercato di aggiornare il prima possibile per non tenervi sulle spine. Non so quando arriverà il prossimo, ma vi anticipo che accadrà qualcosa di inaspettato.

Un bacio x

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