Paper Houses

By scoglionat4

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Se un giorno qualcuno mi avesse chiesto di dare la mia prima impressione su di lui, avrei probabilmente rispo... More

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Non ti sopporto

Polpettone

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By scoglionat4


“Domani papà mi porta fuori, tu e Milo che fate? Vi ordinate una pizza?”

Già, appunto. Domani. Venerdì. San Valentino.

Nemmeno io sapevo cosa avrei fatto, ma, a quanto pareva, ero occupata.

Una volta uscita dalla sala di registrazione, lʼlaltro giorno, mi ero letteralmente precipitata a mandargli un messaggio per chiedergli cosa gli fosse passato per il cervello, e come era scontato che fosse era tornato lo stesso cazzone di sempre. Non che mi dispiacesse ormai, me lo aspettavo.

«Volevo solo metterti in difficoltà chiedendoti di uscire davanti a tutti gli ascoltatori, non credertela troppo adesso.» Mi aveva scritto.

Ero stata colpita da ciò che aveva detto in chiamata però, sopratutto la parte in cui si preoccupava di star correndo troppo, perché era un pensiero che a me non aveva mai sfiorato, anzi, ero stata così lenta anche solo ad ammettere che fossi interessata a lui.
Però forse si riferiva al fatto che vedersi nel giorno della festa degli innamorati fosse un poʼ eccessivo, per noi. Comunque non credevo ci fosse bisogno di amarsi per cenare e trascorrere del tempo insieme, era più il fatto che a lui andasse di vedermi a rendermi felice, perché mi faceva capire che davvero gli importava di me, indipendentemente da San Valentino.

Ti dimostrerò che sono più affidabile di quanto non sembri.” Aveva detto, quella notte, quando ero seduta sulle sue gambe, e dovevo ammettere che, dei piccoli, piccolissimi pezzentini del puzzle della fiducia li stava incastrando nel modo corretto.

Comunque, mi dispiaceva lasciare Milo da solo, e non avevo idea di cosa inventarmi per giustificarmi con i miei genitori, ma qualcosa avrei di sicuro elaborato. Sul momento, optai per il silenzio, così da guadagnare ancora qualche secondo, e continuai a spruzzare il detersivo per sgrassare i fornelli, dato che mio fratello aveva combinato un macello. Anche il piano cottura di casa Q4 avrebbe decisamente avuto bisogno di una pulizia del genere, pensai.

“Sto parlando con te, pronto?” Proseguì mia madre, irritata dal fatto che la stessi bellamente ignorando.

“Sì, mh.” Mi grattai il naso con il braccio. “Dì pure a Milo di invitare qualche compagno per fare una pizzata, se vuole. Credo che io, Celeste e Tommy festeggeremo insieme. Lʼamicizia è pur sempre una forma dʼamore.”

Sembrava credibile, no? Probabilmente sì, in ogni caso, mia madre sembrò mangiare la foglia.

“Capisco, glielo dirò, allora. Pensi di rientrare a dormire?”

“Credo... sì, certo. Certo.”

“Comunque quando si impegna è geniale, lo devi ammettere.”

Continuai a passarmi lo smalto sulle unghie, mentre ascoltavo Lele tramite il vivavoce del cellulare appoggiato sulla mia scrivania.

È stato proprio forte. Io non penso che avrei avuto il coraggio di chiamarti in radio.”

“Che stronzo, per cui tu non la faresti mai una cosa del genere? Nemmeno se fossi in punto di morte?”

Onesto non credo, sono più tipo da venirti sotto casa e riempirti di bacetti, ma Tanche no.”

Ridacchiai, stando attenta a non sbavare. “Sì, diciamo che questo lʼho capito.”

Tra lʼaltro, se lʼè pure un poʼ rischiata.”

“Rischiata? In che senso?”

Beʼ, dopotutto è un personaggio pubblico, e mi ci gioco una mano che sicuro qualcuno l’ha riconosciuto. Da contratto, queste cose manco le potrebbe fare.” Mi spiegò, facendomi sentire terribilmente in colpa. Avrebbe avuto casini sul lavoro perché aveva fatto qualcosa di carino per me?

“Che significa ‘da contratto’, Lè?”

Non credo che potrebbe apparire, né mettendoci la faccia né telefonicamente, in un programma televisivo, o in radio, o comunque tramite uno di quei mezzi senza il consenso dell’agenzia che tutela l’immagine nostra. È con loro che decidiamo come e quando metterci in mostra, e questo suo colpo di testa potrebbe farli arrabbiare, perché si è esposto pubblicamente di testa sua, senza consultare nessuno.”

“Se si è messo nei casini per colpa mia non me lo perdonerò tipo mai. Credi sia tanto grave?”

Mi agitai, forse inconsciamente sapevo che non avrebbe avuto ripercussioni troppo gravi, oppure non lo avrebbe fatto, perché non era certo uno sprovveduto, però non riuscivo a non preoccuparmi, ora che Lele me lo aveva detto. Come avevo potuto non pensarci?

Ma no, gli faranno una strigliata e fine della storia. Però cercavo di farti capire che qualcosa per te lo ha davvero rischiato.”

Era vero, decisamente.

“Però tu sei di parte.” Sbuffai, anche se in realtà stavo sorridendo. “Lo ami troppo.”

Da morire, guai a chi me lo tocca. Però questo non significa che non veda i suoi errori, anzi. Quando fa una cazzata sono il primo a dirglielo, però in questo caso devo proprio spezzare una lancia a suo favore.”

Lancia a suo favore o meno, avrei tanto gradito sapere che cosa avremmo fatto, quella sera. Tentai di insistere anche con Lele, ma non ci fu verso di fargli uscire nulla. Maledette la loro lealtà e la loro fratellanza.
Scherzavo, ovviamente, in realtà erano bellissimi, avevano un rapporto che faceva invidia al Mondo, e il solo fatto che avessero deciso di convivere parlava da sé.
Io, con tutto il bene che volevo a Les e Tommy, non credo sarei stata in grado di averli per casa 24 ore su 24, con le loro abitudini così diverse dalle mie, e ogni cosa da dover condividere, dalla doccia, alla lavatrice, alla televisione, persino lʼaria.
Con la famiglia è una cosa diversa, perché sei abituato a farlo da tutto la vita, ma coabitare con qualcun altro non doveva essere lʼesperienza più facile del mondo, sopratutto non alla nostra età, ma loro lo avevano fatto. Avevo imparato ormai quanto fosse forte il loro legame, e lo amavo, anche se in quel momento non mi permetteva di scoprire come si sarebbe svolto il mio appuntamento.
In realtà non mi aspettavo nulla di che, tipo candele e champagne, magari mi avrebbe proposto un semplice panino alla Tancredi, e non avrei avuto nulla di cui lamentarmi, anzi. Semplicemente, ero curiosa.

Nel tardo pomeriggio, scoprii finalmente che sarei dovuta andare a casa sua verso le otto. Se poi ci saremmo spostati o meno, era tutto da vedere, perché non me lo scrisse.

Mi piaceva tanto truccarmi, quando ne avevo il tempo. Trovavo che non ci fosse nulla di sbagliato nel farlo, erano gusti, e, a mio parere, il makeup era anche un modo per esprimere sé stessi.
Ruscivo tranquillamente ad uscire di casa al naturale, e anzi, erano molto di più le volte in cui accadeva che mi mosttassi in tutte le mie imperfezioni e non il contrario, essendo sempre di corsa, ma occasionalmente, tentare di rendermi leggermente più carina era qualcosa che mi faceva stare bene.
Così, dato che avevo a disposizione ancora qualche ora prima di dover uscire, afferrai i miei pennelli e provai a compiere il miracolo.

Per la gioia di tutti quanti gli uomini protettivi che conoscevo ovvero papà, Milo, e a questo punto anche lo stesso Tancredi, presi la macchina di mamma, dato che a loro per uscire insieme ne sarebbe bastata una, evitando così i mezzi pubblici dato che era buio eccetera eccetera.

Ovviamente, ad aprirmi la porta, non trovai la persona che mi aveva invitato, e non rimasi per nulla sorpresa.
Tancredi voleva lʼentrata dʼeffetto, come la peggiore delle prime donne.

“Ciao Lù.”

“Ciao Diè.” Notai che era vestito, cioè proprio vestito per bene, come se stesse per andare fuori. “Esci?”

“Sì, io e Lele usciamo, diciamo che Tancredi cʼha proprio sbattuto fuori di casa, tassativo. Gian sta già dalla sua fidanzata perciò lui non ha problemi.”

Da questo si poteva dedurre che io e lui non ci saremmo mossi da lì, quindi. Ne ero felice, anche se un poʼ mi dispiaceva dover buttare fuori i legittimi proprietari dellʼappartamento.

“Mi fai sentire una merda, dimmi almeno che farete qualcosa di divertente?”

“Divertentissimo, cenetta per due con mio fratello.” Rispose Lele, raggiungendoci in corridoio, con già la giacca addosso. “Anzi, sarà meglio uscire prima che quello ci prenda a calci, sta schizzato eh.”

“Va bene, andate allora, non ci tengo ad assistere a una rissa.” Risposi, lasciando che mi salutassero e si chiudessero la porta alle spalle.
Una volta che lo ebbero fatto, finalmente, la principessa sul pisello decise di degnarmi della sua presenza.

“Allora ci sei. Credevo fossi scappato dalla finestra.”

Sorrise, venendo a baciarmi le guance. “Ero tentanto.”

Era in total black, come me.
Forse si era messo più profumo del solito, portava le collane che aveva addosso sempre e probabilmente aveva cercato di riordinarsi i capelli con il gel, o la cera, o qualcosa del genere, perché sembravano avere una forma più definita del solito.
Era la prima volta che lo vedevo così, specialmente perché stava indossando una camicia, ed era proprio da perdere il fiato, anche se non lʼavrei mai detto ad alta voce ad anima viva.

“Seriamente, costa stavi facendo?”

“Ero in cucina.” Rispose, tornandoci e facendomi segno di seguirlo. “Forse ti aspettavi di andare al ristorante, ma ho pensato fosse più intimo stare qui a casa, però devi ricordarti che non so prepare niente da mangiare, da solo.”

“No, mi piace lʼidea di stare qui.” Risposi sinceramente. “Ma cosa significa che non sai preparare niente da solo? Devo cucinare io, bastardo infame?”

“Senti, va bene che sono stronzo, ma credo che ci sia un limite a tutto. Non ti invito qui la sera di San Valentino per chiederti di fare la sguattera. Volevo solo che sapessi che ho avuto un aiutino, con questo.” Scoperchiò una pentola. “È polpettone, la ricetta della mamma di Lele.”

Mi avvicinai, lʼodore effettivamente sembrava buono, e comunque già significava tanto che lui ci avesse provato. Non credevo che avrei mai assistito a niente del genere, francamente. “Solo un aiutino?”

“Vuoi rovinare tutto? Okay, Luce, lʼha fatto Lele. Spero tu sia contenta.”

Wow. Era davvero schizzato, io stavo solamente scherzando, come sempre, dovʼera il problema?
Vedendomi visibilmente stranita, cambiò espressione quasi subito, addolcendola un pochino.

“Scusa, è solo che lo so già da me che è stupido farti preparare la cena da unʼaltra persona, tanto valeva ordinare qualcosa.” Disse, passandosi una mano sulla faccia.

“Ei” Gli andai in contro, spostandogliela, in modo tale che tornasse a guardarmi. Era ancora strano avere quel genere di contatto con lui, forse non mi sarei mai abituata alla sensazione che mi procava stargli così vicino. “Non è vero, apprezzo anche solo il fatto che tu abbia fatto da aiuto chef più di qualsiasi cibo dʼasporto, e non fa niente se non ci sei riuscito. Alla fine mangeremo il polpettone, no? È questo che conta.”

Di tutta risposta, si mise a ridere. Razza di cazzone, ed io che per una volta stavo tentando di essere carina.

“È il polpettone che conta, giusto, come ho fatto a non pensarci. Non ti smentisci proprio mai.”

“Brutto stronzo, intendevo dire che-”

“So cosa intendevi dire.” Mi interruppe, spostandomi i capelli dietro le spalle. “Solo che sei buffa. Ora mangiamo, visto che a quanto pare stai qua solo per quello, perché è il polpettone che conta.” Ripetè di nuovo, mentre io roteavo gli occhi al cielo.

“Dio, Tancredi, mi stai così sul cazzo.”

“Sappiamo entrambi che non è vero.”

Ci tenne a specificare, che almeno la tavola in salone, lʼaveva preparata da solo. Ed era venuta bene, la tovaglia era rossa e le posate sembravano diverse da quelle che avevamo usato il famoso giorno della cacio e pepe. Mi sentii una ragazzina di tredici anni, perché mi si scaldò veramente il cuore nel vedere lʼimpegno che aveva riposto in ogni singola cosa, seppur non fosse niente di troppo ricercato.
Adoravo il modo che avevamo di stuzzicarci e prenderci in giro, non ci avrei mai rinunciato, ma forse adoravo ancora di più il fatto che nonostante questo, lui poi facesse quei gesti che cozzavano completamente con il nostro modo di rapportarci.
Io non ero mai stata brava con i sentimenti, a parole,
per questo preferivo sia dimostrare, sia che mi venisse dimostrati, con i fatti.
Ed era esattamente ciò che lui stava facendo.

Non avrei mai pensato di passare il mio primo San Valentino con un ragazzo a mangiare il polpettone con la pancetta e i piselli guardando gli Aristogatti.
Già, proprio gli Aristogatti.
Tancredi Galli a tavola con gli occhi incollati sullo schermo della televisione per guardare un cartone animato di quel genere.
Se lʼavessi raccontato agli altri, mi avrebbe probabilmente ammazzato.

Una volta finito di mangiare la creazione di Lele, ci spostammo sul divano, dato che il film non era ancora finito.

“Come si chiama quella gattina piccoletta col fiocco rosa in testa? Mi sta antipatica.”

Ridacchiai. “Minou? Cosa ti ha fatto di male?”

“Ma che ne so, sʼatteggia tutta.”

“Ecco perché il film si chiama così, sono gatti cresciuti in un ambiente aristocratico, è normale che siano viziati.”

“Ma i fratellini mica sono rompi palle come lei. E poi, lʼambiente dei fighetti non piace per davvero a nessuno. Su madre infatti si innamora di Romeo che è un gatto randagio. Ah, comunque, ho preso una torta. Ne vuoi?”

Annuii, e si alzò, scomparendo un cucina e tornando poco dopo con due piatti, su di ognuno cʼera una fetta di Sacher.

“Ti piace, vè? Se non ti piace te la devi far piacere perché non c'è altro.”

“Simpatico.” Lo presi in giro. “Mi piace, grazie.”

“Menomale.”

“No, cazzone. Grazie, per la torta e per ogni cosa.”

“Figurati, non cʼè di che. Solo non ti ci abituare troppo, perché se chiedo a quelli di lasciarmi casa libera unʼaltra volta mi ammazzano.”

“Unʼaltra volta? Come sai che voglio replicare?”

Prese il pacchetto di sigarette dal tavolino, mentre gli si dipingeva sul viso il tipico ghigno di chi sapeva esattamente cosa rispondere. Come al solito.
Ma non disse niente, almeno fin quando non fummo usciti fuori sul balcone.

“Lo so perché sono abbastanza sicuro di non essere più in prova.” Parlò finalmente, mentre io facevo scattare lʼaccendino.

“In che senso in prova?”

“Non ce lʼhai più con me, o sbaglio?”

Cʼera la luna piena. Così puntai gli occhi verso il cielo, evitando il suo sguardo come se potesse pungermi, perché ovviamente era riuscito a mettermi in imbarazzo.

“So che morivi dalla voglia di sentirtelo dire.” Mi sistemai i capelli con la mano libera dalla sigaretta. “Ma no, non sono più arrabbiata con te. Come potrei?”

“Ti ho comprato con la camicia, dì la verità. Mi sta bene tanto quanto il rosso.”

“Sei proprio un coglione.” Scossi la testa. “No, mi dispiace ferirti ma non è stato quello. Il punto è, forse sarò stupida ed ingenua, ma mi sembra davvero che tu ti ci ci stia impegnando, nel cercare di farti apprezzare. Per esempio, parlando con Lele, è anche saltato fuori che avresti potuto avere problemi con il lavoro, per la telefonata in radio. Perché dovresti fare tutto questo per me se non te ne importasse?” Proseguii. “Credo che, e non montarti la testa, in questo momento potresti essere ovunque con qualunque ragazza tu voglia, non hai certo bisogno di me. Ma, beʼ, sei qui.”

Buttò il mozzicone giù in strada, non rispose, e semplicemente, mi prese la mano, come a confermarmi che cʼera davvero e non sarebbe andato da nessuna parte.

“Però la camicia mi sta bene, vero?”

“Strozzati.”


hey,
è proprio tardi, lo so, ma avevo bisogno che fosse perfetto e ci ho messo più o meno novanta ore.
Anche per la copertina nuova in realtà non ci ho messo per niente poco, perché volevo venisse esattamente come dicevo io, non riuscivo a scegliere quale sua foto usare (infatti ne ho altre tremila versioni nel rullino) eccetera eccetera. Sono pure andata a prendere un disegno suo per farci lo sfondo, io malata.
Comunque, spero vi piacciano sia la copertina che il capitolo, vi voglio bene.

Canyon 🦋

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