Paper Houses

By scoglionat4

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Se un giorno qualcuno mi avesse chiesto di dare la mia prima impressione su di lui, avrei probabilmente rispo... More

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Colpa dellʼalcol - II Atto
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Quasi sempre bello - I Atto
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Viola
Quasi sempre bello - II Atto
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Vandalo
Affogare nel Po
Tancredi
Paper Houses
Defenceless
Non ti sopporto

Colpa dellʼalcol - I Atto

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By scoglionat4

Avevo passato una settimana intera a trangugiare zuppe per tentare di riscaldarmi, guardare film d’amore e ascoltare a ripetizione sempre le solite tre canzoni.
Mia madre aveva capito che mi era successo qualcosa, erano giorni e giorni che mi vedeva triste e mogia in ogni mio momento libero, sul divano con la mia copertina e i fazzoletti per via delle pellicole tratte dai romanzi Nicholas Sparks, e, accompagnata da mio fratello mi ripeteva “ma cos’hai?” ogni quarto dʼora.
Milo aveva quindici anni, e avevo sempre pensato che il legame che ci univa fosse qualcosa di unico e solo nostro.
Era più piccolo, ma si era sempre comportato come se avesse voluto difendermi dal mondo, forse perché vedeva i suoi compagni di scuola avere questo tipo di atteggiamento nei confronti delle loro sorelline minori, o semplicemente perché gli veniva naturale. 
Non sapeva tutto di me, non gli parlavo di ogni singola cosa che mi accadeva come facevo con Tommaso e Celeste, sopratutto per via della differenza dʼetà, che, seppur fosse poca, aveva sempre influito negli argomenti di conversazione, ma nonostante questo, lui mi conosceva meglio di tutti quanti. Non cʼera bisogno di raccontargli delle mie cotte, delle mie sbronze o delle mie disavventure, perché quando stavamo insieme io ero esattamente me stessa. Ci piacevano tanto i giochi da tavolo, e quando me ne stavo lì, seduta in veranda, con lui di fronte, avevo la sensazione che nulla potesse farmi del male.
Milo era la mia casa, lo era sempre stato, fin da quando gli avevo insegnato ad allacciarsi le scarpe e a fare le addizioni.
Non mi aveva mai visto tanto strana, probabilmente, e non la smetteva di fissarmi da sotto le sue lunghissime ciglia, e di pizzicarmi i fianchi, poiché sapeva che lo odiavo.

“La pianti? Voglio sentire.” Mi lamentai, indicando il televisore.

“Sembra la stessa cazzata strappa lacrime di ieri, hanno solo rigirato un poʼ la minestra e cambiato nome ai personaggi. Da quando ti piacciono queste schifezze da pappe molli?”

“Non possono piacermi dei film dʼamore perché altrimenti sono una pappa molle? Che cliché del cazzo.”

“Tu non sei il tipo di persona da fazzoletti e tre ore di paroline romantiche." Proseguì, rubandomi il telecomando.

“Milo, rimettilo subito qui! Ma che-Milo!” Gridai, quando premette il bottone rosso, spegnendo tutto quanto. Ma si era bevuto il cervello? “Riaccendi subito, coglione, e sparisci. Voglio vedere!”

“Senti, io non ficco mai il naso nei tuoi affari e sai che nemmeno mi piace farlo, ma sei strana, proprio strana, in questi giorni. Ora, io non so se hai litigato con Tommaso, o se Celeste ti ha rubato lo smalto nero e non vuole più resistiturtelo, oppure se ti sei fidanzata in segreto e lui ti ha mollato, ma qualsiasi cosa sia, non la risolverai guardandoti questa merda e mangiando i popcorn al caramello. Non è da te.”

Sembrava davvero che io mi fossi lasciata da una relazione? Se avesse saputo che ero uscita con la persona in questione soltanto una volta, probabilmente mi avrebbe riso in faccia.
Eppure… la sensazione che avevo provato quando mi aveva guardata quel giorno, il modo che aveva di ragionare, come se venisse da un altro pianeta, e quel  calore che avevo percepito tra le sue braccia, non mi volevano lasciare in pace.
Pensare che mi stava addirittura antipatico.

Mi aveva chiamata, molte volte, mi aveva scritto altrettante, ed io avevo quasi ceduto a rispondergli, ma stavo cercando di tenere duro, sebbene fosse difficile. E forse parlare giorno e notte per messaggio con Lele non aiutava, ma non potevo farne a meno, mi ero legata a lui in un modo speciale, e non avrei rinunciato a quell’amicizia per colpa del maledetto nano che continuava a stuzzicare i miei pensieri.

“E cosa, esattamente, sarebbe da me?” Domandai, lanciando addosso a mio fratello la scatola di plastica vuota dei popcorn al caramello di cui si era appena lamentato.

“Gridare al telefono per delle ore, o sparire e tornare alle sei del mattino con il mascara che ti arriva per terra e i capelli combinati come se avessi preso la scossa. Oppure prendertela con noi qui a casa, semplicemente perché sei nervosa e ti viene spontaneo odiare chiunque si metta sul tuo cammino.” Mi spiegò, gesticolando. “Non devi dirmi cosa succede, però è chiaro che non stai bene.”

“Perciò tu preferisci sapermi sbronza per strada invece che qui a guardarmi un film?”

Rise, rilanciandomi contro lo stesso oggetto che avevo usato io per colpirlo. “So che se vai ad ubriacarti significa che stai superando la cosa, che ti va di divertirti e lasciar perdere. Questa versione da casalinga zitella, invece, è nuova. E mi suggerisce solo che sei a pezzi.”

“A pezzi, che esagerazione.” Mi alzai, per poi stiracchiarmi, sentivo di star perdendo la sensibilità a qualsiasi parte del corpo, standomene sempre rannicchiata lì. “Okay, senti, te lo dico, e non esaltarti troppo, lo faccio solo perché forse così la smetti. Cʼera un ragazzo, uno mezzo scemo, particolare e cose varie, comunque credevo di starci costruendo qualcosina, anche se piccola, invece mi ha detto una bugia ed io me la sono legata al dito. Fine di questa storia emozionante.” Feci spallucce. “Non grido al telefono perché non mi va di sentirlo e non vado ad ubriacarmi perché non ci trovo niente da festeggiare nel fatto che gli uomini facciano schifo e non ci si possa fidare di nessuno.”

“Ti rendi conto del giro di parole assurdo che hai fatto solo per non ammettere che questo tipo ti piace e non hai superato che ti abbia mentito?”

“Non cʼè niente da ammettere, non mi piace, ho sempre pensato che fosse un cazzone. Ma è diverso dagli altri e in qualche modo questa cosa mi... attrae? Dio, non posso credere di star parlando di questo con te.”

“Se vuoi mi fingo Celeste.” Si schiarì la voce, assunse unʼassurda posa con le gambe accavallate ed inziò a masticare per finta, dato che la mia migliore amica aveva una fissazione per le Big Babol. “Ceh, allooora?” Proseguì la sua imitazione, facendomi scoppiare a ridere. “Credi di fottere me? Io ti conosco, Lù, ammettilo che ti piace!”

“Okay, molto convincente, devo dire, lei avrebbe usato esattamente queste parole, anzi, lʼha già fatto, ma non mi va più di parlarne, okay? Né con te, né con nessuna versione dei miei amici, che sia reale oppure emulata. Voglio solo che quel.. che lui sgombri dalla mia testa.”

Non avevo mai creduto un granché al destino.
Dallʼalto del mio cinismo, per me era semplicemente assurdo pensare di ricevere degli inspiegabili segnali dal fato, che, guarda caso, ti avrebbero portato proprio dove eri destinato ad andare. Che cazzata, ovviamente era tutta una questione di auto convincimento.
Nessuno scrive il tuo percorso, sei tu, che quel giorno, per fare quella determinata cosa, hai preso quel treno. Tu, che per colpa del cellulare, sei andato a sbattere contro quella sconosciuta.
Nessuno sceglieva al nostro posto.
E non credevo nemmeno nelle coincidenze, del tipo che parlando di una determinata cosa, quella poi ti si presentava sotto il naso due minuti dopo.
Quello, si chiamava caso. Non coincidenza.
E il caso aveva voluto che parlando di sbronze con mio fratello, qualcuno fosse finito davvero per essere ubriaco marcio, di lì a poco.
Peccato solo che non fossi io.

Comunque, Milo e mamma nellʼultimo periodo si erano appassionati di cucina indiana, così, ogni tanto, ci abbandonavano a casa per sperimentare qualche ristorante sconosciuto al genere umano.
Sempre il caso però aveva voluto che proprio quella sera, anche papà fosse impegnato, per una pizzata con i suoi colleghi.
Ciò significava che ero in pace, a casa da sola, senza nessuno che mi rubasse il telecomando, o almeno così credevo.
Non ero arrivata nemmeno a metà di The Last Song, quando il cellulare aveva iniziato a squillare. Onestamente, non mi andava proprio di rispondere. Ma chi telefonava alle persone alle undici e mezza di sera?

“Pronto?” Parlai, senza nemmeno controllare chi fosse lo scassa palle in questione. Non ero preoccupata, perché tanto il suo numero era finito sulla lista nera.

Nanaaaaaaaa!”

“Ma chi è?” Se era uno scherzo, non faceva ridere.

Come chi è? Aooo, soʼ lo chef!”

“Lo che-” Ebbi unʼilluminazione, ripetendomi quella voce nella testa. “Diego?”

Sì, Diego! Lo chef della muffa! Ho rubato il tuo numero a Lele con la forza, perché lui diceva che non era il caso di chiamarti.”

“Sei ubriaco?” Domandai, togliendomi la coperta. Mi stava facendo venire lʼansia, perché cazzo mi aveva chiamata se Lele gli aveva consigliato di evitare? Cosʼera successo?

Sto un poʼ storto, sì. Ma ce sta qualcuno molto più storto de me. Lʼabbiamo mandato a comprare le sigarette, pure se aveva bevuto come una spugna, errore nostro, ed è tornato con un taglio sul labbro. Ha detto che un ragazzo in fila alla macchinetta era vestito di rosso, e ci ha litigato perché il rosso sta meglio a lui. Credo che sia impazzito. Lo sai di chi parlo vero?”

Purtroppo, lo immaginavo. Chi altri avrebbe attaccato briga per una cosa del genere?

“Sta bene? A parte il taglio? Faglielo disinfettare con il cicatrizzante, non metteteci sopra i rimasugli delle vostre bottiglie solo perché dentro ci sta lʼalcol.” Ma perché mi preoccupavo? Magari gli si fosse sfigurato il labbro. Almeno avrebbe smesso di andarsene in giro a limonare a destra e a manca.

Sentii Diego ridere a crepapelle. “Come sapevi che lʼavremmo fatto?”

“Perché siete degli imbecilli. Senti, era questo che volevi dirmi?”

No. Volevo chiederti di raggiungerci, credo che potresti calmarlo. Come facciamo a riportalo a casa ridotto così? Strilla in faccia a qualsiasi essere umano che incontra, ci farà sbattere fuori da ogni taxi.”

Raggiungerli? Il taxi? Credevo fossero a casa. E comunque, assolutamente no. Perché avrei dovuto fare una cosa del genere per lui. Mai nella vita.

“Ma dove siete?”

Bo, non lo so. Vicino a un supermercato che era aperto ventiquattro ore, avevamo finito le scorte di alcolici. Beviamo vino dalle otto, più o meno.”

“Non so che dirti, Diè. Fatelo vomitare e poi fatevi venire a prendere, io non ho intenzione di venire a fare la sua babysitter.”

Ma continua a fare il tuo nome. Voglio Luce, ma se Luce, però Luce, e se Luce...”

Luce?” Era lui. Lo sentii gridare come se fosse lontano, ma era lui. “Perché parli di Luce? Perché tutti parlate di Luce? Vi spacco la faccia, adesso!”

Okay, lo senti? È matto!” Continuó Diego, tra il casino. Non capivo più nulla, sentivo Tancredi continuare a chiamare il mio nome e altri voce sovrapposte che lo intimavano a calmarsi, rumori di scarpe che grattavano lʼasfalto e... quello era un clacson? “Tanc, togliti dal mezzo della strada!”

Cristo.

“Diego, mandami la posizione.”



Hey,
Come state?
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo lunghissimo capitolo, e grazie per tutto.

Un bacio

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