Chaotic [h.s.] (italian trans...

By TheCousinsGang

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"La pazzia è contagiosa." A Psychotic Sequel. More

Sequel Psychotic
AVVISO
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
⁉️❓Questions❓⁉️
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
AVVISO

Capitolo 6

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By TheCousinsGang


Harry mi teneva ancora tra le sue braccia. Teneramente e al sicuro, come se lui credesse che ciò che avessi detto fosse vero e ne fosse spaventato tanto quanto me, volendomi mantenere al sicuro tanto quanto io volevo mantenere lui al sicuro. Il suo corpo stretto al mio come se volesse farmi da scudo. Come se mi stesse facendo da guardia e credesse che da un momento all'altro lei potesse barcollare qui dentro. Ma dai suoi occhi capii tutto il contrario.

I suoi pollici si avvicinarono al mio viso che era a pochi centimetri dal suo, asciugando cautamente le mie lacrime. "Ne sei sicura?" Mi chiese con una voce tanto dolce quanto il movimento della sua mano.

Annuii. "Non mi credi?" Chiesi.

"Certo che ti credo," sussurrò, cercando sicuramente di calmarmi. "Credo al fatto che tu l'abbia vista . . . Soltanto che non so se lei fosse davvero lì."

Lo guardai confusa, aspettando una spiegazione. Lei era stata lì, e la mia paura e la mia preoccupazione mi avevano frustrata. Cosa stava cercando di insinuare al riguardo?

"Rose, siamo usciti da lì soltanto da due giorni. Quella ragazza ti ha scossa davvero, e non è qualcuno che tu possa dimenticare. In più abbiamo corso per giorni, sei stanca e disidratata per non parlare dell'attacco di ipotermia di questa mattina. Forse sei soltanto confusa."

"Mi stai dando della pazza?" Chiesi. Ero ancora agitata e la preoccupazione nella mia voce lo faceva trasparire.

"No, piccola, certo che no. Quello che sto cercando di dire è che la tua paura di vederci sulla copertina di quell'articolo ti ha riportato in mente alcuni ricordi. La tua mente ti sta giocando brutti scherzi e credi di averla vista, il che è completamente normale dopo tutto quello che abbiamo passato in questi giorni."

Sospirai profondamente. Forse aveva ragione. E volevo credergli, e giustificarlo come uno brutto scherzo della mia mente. Ma lei mi era sembrata così reale.

"In più lei aveva delle gambe cucite. Come ha fatto a starci dietro in tutto questo tempo? Può soltanto muoversi la metà della nostra velocità, pure se fosse."

Lasciai andare un altro sospiro, scoraggiata da me stessa. Aveva sollevato una giusta osservazione. Mi sembrava così giusta, come se l'avessi percepito nel mio cuore quando minacciava di fermarsi e nel mio stomaco quando aveva iniziato ad agitarsi. Ero senza dubbio spaventata, e vedere un immagine così chiaramente, così limpidamente, per poi credere di non averla effettivamente vista, portò un' altra paura dentro di me; stavo vedendo delle cose.

"Immagino tu abbia ragione," dissi con una voce sollevata ma anche abbattuta.

"Non preoccuparti, Rose. Prenderemo altro cibo e acqua e staremo in qualche motel o qualcosa di simile, a riposarci. E poi domani saremo come nuovi, okay?" Chiese. E mi piacque il fatto che avesse utilizzato il "noi" invece del "tu", portando via un po' della pressione che avevo addosso, come se anche lui l'avesse vista. Mi ricordò che anche lui fosse stanco e stressato, e che eravamo inevitabilmente e completamente dentro questa situazione insieme.

"Si," dissi. "Mi sembra una buona idea."

"Bene," sorrise, premendo un bacio sulla mia guancia. E nonostante tutto, sentivo le farfalle nello stomaco. Mi aveva baciata moltissime volte, ma raramente sulla guancia. E ogni tocco delle sue labbra aveva la stessa elettricità del primo.

"Ti amo," dissi di punto in bianco, ma sentendo la necessità di dirlo in quell'istante. Il suo sorriso crebbe e in seguito delle increspature si formarono sui suoi occhi.

"Anche io ti amo," farfugliò, baciandomi sulla bocca questa volta. Ma dopo alcuni secondi la mia mente ritornò al fatto che noi fossimo in uno sgabuzzino. Per cui finalmente ci decidemmo a ritornare verso la signorina che ci teneva le buste della spesa alla cassa.

Uscimmo fuori da quella piccola stanza nel retro del negozio, con passi imbarazzati. O perlomeno io. Tutte quelle persone mi avevano vista avere un crollo pochi minuti prima, e mi sentivo come se avessero ancora i loro occhi su di me. Probabilmente credevano fossi pazza. Sperai solo che fosse per quella ragione.

Ci muovemmo attraverso scaffali di scatole, barattoli e contenitori di cibo. La cassiera stava aspettando - sembrando perplessa quasi quanto lo ero stata io - noi ci avvicinammo e pagammo le nostre cose. "Devi scusarmi," disse Harry alla ragazza.

"Tranquillo," rispose, un po' di apprensione nella sua voce. Era ovvio che lei fosse nuova e non si fosse mai trovata in una situazione del genere. I suoi occhi non mi avevano mai guardata, come se fosse spaventata dal fatto che sarei potuta ritornare nel panico. I miei occhi slittarono verso la foresta, dove l'avevo vista. Nell'oscurità, nelle ombre verde-grigio della foresta. Aspettavo in un movimento veloce al di là delle foglie degli alberi. Cercavo la sua pelle pallida, la sua tuta blu e i suoi incolori e paglierini capelli. Ma vedevo solo le foglie e gli spazi tra di essi.

"Grazie," disse Harry, e io non avevo neanche notato che avesse finito di imbustare le nostre cose. Tutto ciò che la ragazza fece fu darci un gentile cenno col capo come risposta, nient'altro.

Volevo uscire da li il prima possibile ma ero anche spaventata nel farlo. Continuavo a ripetermi nella mia testa che era impossibile che quella donna orrenda avesse mantenuto il nostro stesso passo, che quell'immagine qui era stata solo un'invenzione della mia mente dispersa. Ma il ricordo era troppo reale da poter essere cancellato.

"Andiamo," disse Harry, riscuotendomi di nuovo dal mio stato di trance. Attraversai le porte del negozio accanto a lui. Una volta aperte, una ventata di aria invernale e gelida scese in picchiata tra i miei capelli e rubò il calore dalle mie guance. Strizzai gli occhi per proteggerli dal vento pungente mentre mi guardavo intorno nella strada vuota. E ora dove saremmo andati?

Ma, ovviamente, Harry stava già camminando. Ed io lo seguii, cadendo nel nostro schema regolare in cui lui sapeva sempre il nostro passo successivo mentre io rimanevo un'incapace.

Non aveva realizzato che io fossi rimasta indietro. Girò la sua testa nella mia direzione e si fermò per un momento, la sua espressione preoccupata mentre lo raggiungevo. "Sai, vorrei davvero offrirti la mia giacca," disse. "Ma questo probabilmente è uno dei cappotti più schifosi che io abbia mai potuto indossare, e tutto ciò che ho sotto è una semplice t-shirt. E fa fottutamente freddo."

"Non preoccuparti," risi. Quando mi avvicinai a lui, gettò il suo braccio intorno a me, il che sembrava esser diventata una sua nuova abitudine. Iniziammo a camminare di nuovo ma lui non tolse gli occhi da me. Riuscivo a dirlo anche senza vederlo.

Non parlò per un po'. L'unica cosa che sentivo, erano i nostri passi sul marciapiede in cemento. "A cosa stai pensando?" Mi domandò serio, rompendo il silenzio.

"A niente, davvero."

Annuì, mordendosi il labbro mentre distoglieva lo sguardo. Ma non ne sembrava tanto convinto. "Perché me lo hai chiesto?"

"Non so," rispose. "Sembra che ci sia qualcosa che ti stia infastidendo."

Sospirai per quella che sembrava la mia centesima volta in quel giorno. "Beh . . . Stavo cercando di capire dove stessimo andando. Non voglio sembrare stupida e chiedere ma onestamente non ne ho la minima idea."

Rise, stringendomi in un abbraccio. "Verso un motel, piccola."

"Come immaginavo," chiesi sulla difensiva. "E come fai a sapere che c'è n'è uno di qui?"

"Ho chiesto alla cassiera," mi disse. "Non credo tu stessi prestando attenzione."

Annuii soltanto. Sapevo a che cosa stesse alludendo ma non sapevo come altro rispondere, per cui non lo feci, e poi ci fu silenzio. Ma ci eravamo avvicinati così tanto nella situazione in cui ci eravamo cacciati insieme. Era quel tipo di vicinanza dove il silenzio non era imbarazzante ma buono tanto quanto le parole, in cui mi sentivo confortata, protetta e solidificata con lui. Era come se stessimo insieme da cinque anni invece che cinque mesi.

Camminammo in silenzio per un po', fino a che il negozio, in cui eravamo stati, non sparì dalla nostra vista e, un'area della città più popolata non iniziò ad apparirci davanti.

"Sei preoccupato?" Chiesi. "Preoccupato che qualcuno ci riconosca?"

Un sorrisetto si formò sulle sue labbra ciliegia e si prese il suo tempo per far scorrere la lingua su di esse. Fissava dritto all'orizzonte, di nuovo con quell'espressione come se possedesse tutto lui.

"Non se pensano che noi siamo morti."

E così ripensai all'articolo. La gente avrebbe creduto a tutto pur di liberare le loro menti dal pensiero che due 'psicopatici' stessero percorrendo la loro stessa area. Avrebbe sicuramente creduto al fatto che fossimo morti.

Iniziai a ridere, ed era una di quelle risate improvvise del tipo 'ah-ah-ah', tipo come quando qualcuno faceva una battuta offensiva o spifferava informazioni nocive.

"Pensano che siamo morti, vero? Anche se qualcuno ci riconoscesse, loro non penserebbero che siamo davvero noi. Per loro, siamo morti."

"Dobbiamo comunque fare attenzione," disse Harry, ma indossava lo stesso mio sorriso. "La polizia ci sta cercando e continuerà a cercare finché non troveranno qualche prova."

Aveva ragione e lo sapevamo entrambi, ma ci sentivamo anche come se ci fosse stato tolto un peso dalle nostre spalle. Non c'era una grave oppressione nell'atmosfera, come se anch'essa fosse diventata più chiara. C'erano ancora tante altre cose che oscuravano la mia mente già confusa, ma le mie numerose paure erano appena diminuite di una. Anche se solo per un po'.

"Dunque, William," dissi. Non c'era nessuno in giro, la mia mente lontana disse il nome solo per scherzare. "Quanto hai detto che manca per arrivare a quel motel?"

"Mancano solo altri due chilometri sempre dritti per questa strada, Mary." Mi rivolse quel ghigno diabolico, nel quale ricordai il suo respiro sulla mia pelle, e le sue parole volgari nel mio orecchio di qualche ora prima nel bosco. E improvvisamente sentii il bisogno di affrettarmi per raggiungere l'edificio.

Era come se ancora una volta Harry non avesse fallito nel fare ciò che Harry faceva; cambiare la mia mente nell'arco di pochi secondi.

"Allora," disse Harry. "Odore. . . preferito."

Mi ci volle un momento per capire, ma poi ricordai. Aveva ripreso a fare il gioco di prima, e il naso si increspò per la strana domanda. "Odore preferito?" Ripetei. Annuì solamente, indossando ancora un sorriso sulle labbra.

"Okay. . . " Iniziai, cercando di pensare. Che odore sarebbe potuto piacere ad Harry? Non c'era esattamente un'abbondanza di aromi piacevoli al Wickendale. Si sentivano aliti, polvere, muffa, e cibo marcio.

E improvvisamente, uno dei pochi e buoni ricordi di quel posto mi venne in mente. "Oh, ma ovvio," dissi principalmente a me stessa. "Quello del cioccolato."

Il suo sorriso divenne più ampio e le sue guance erano scolpite da quelle sue bellissime fossette. "Mhmmm," mormorò felicemente.

"E il mio?" Chiesi. Anche se, prima dovevo sceglierne uno per me stessa perché non lo sapevo nemmeno io quale fosse. Mentre camminavamo si prese il suo labbro inferiore tra le dita, pensieroso. Dopo guardò davanti a noi, mentre mi domandava.

"Qualcosa che ha a che fare con le scopate d'estate o con le margherite o qualcosa del genere," disse, rinunciandoci.

"Patatine fritte."

"Cosa?" Ridacchiò.

"Amo l'odore di patatine fritte fatte in casa," gli dissi, cominciando a ridere. "Mia nonna me le faceva sempre."

Annuì, soddisfatto della mia risposta. "D'accordo. Ora tocca a te."

Meditai su una domanda valida da fare. Il suo numero e colore preferito non mi interessavano, volevo sapere cose più significative, cose che erano ancora segrete. Decisi per qualcosa di leggermente più complesso. Ma solo leggermente.

"Materia preferita a scuola."

"Ah," disse, interessato dalla domanda.

"La tua era. . .inglese."

Sorrise, annuendo. "E la tua arte."

"Sì," ridacchiai, ricordandomi i miei numerosi dipinti e disegni. Quelli che erano stati lasciati nella città da cui eravamo arrivati. "Un giorno leggerò qualcosa che hai scritto," dissi.

"Oh, davvero?" Rispose Harry.

"Sì. Ti farò scrivere qualcosa per me."

Rise ancora di più. "Cosa ti rende così sicura che io voglia scrivere qualcosa su di te, ah?"

Diedi un pugno sulla sua spalla; che stronzetto.

"Scherzo," disse, avvicinandomi di più rispetto a prima, con il suo braccio avvolto attorno le mie spalle, e le buste della spesa nell'altra mano. "Tu sei l'unica cosa nella mia vita sulla quale scriverei mai qualcosa."

Arrossii. Era stupido, lo sapevo, ma non potei farne a meno. Continuammo questo gioco per un altro po' mentre camminavamo.

Tra le conversazioni, immaginai i pensieri della brillantezza di Harry riempire le pagine di un diario, trasformando i fogli bianchi in intricati pezzi della sua bellissima mente.

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