Patient 102 | Frerard

By partybugpoison

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#1 in FRERARD ! [30.09.20] #1 in Frank Iero [13.12.20] #1 in My Chemical Romance [02.10.20] gay drama... More

Prologue
1. Like Every Other Day
2. Patient 102
4. Apathy
5. That Smile
6. Numbers
7. Look At Me
8. Dr. Bohan
9. There Is Nothing Outside
10. Happy Birthday To You...
11. Beating Hearts
12. Pear Juice
13. It Can't Happen
14. Flashback
15. Tears
16. You Deserve It
17. River Flows In You
18. Surviving
19. More Than Thousand Words
20. And Without You Is How I Disappear - Epilogue.

3. What Should I Do?

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By partybugpoison

Quella sera Frank raggiunse la stanza 102 e, come d'abitudine, chiese il permesso del paziente prima di entrare.

Gerard come sempre non rispose, Frank però insistette, così si alzò e avvicinandosi alla porta, si appoggiò di schiena ad essa.
Non voleva aprire, avere a che fare con un'altra persona, magari rivedere il tipo di poche ore prima, o qualcuno che voleva imporgli di fare qualcosa senza il suo consenso.

«Sparite.»

«Gerard, non c'è nessun'altro. Ti ricordi di me?»

Gerard aggrottò la fronte, ascoltando bene la voce.
Dopo annuì come se il ragazzo dall'altro lato della porta potesse vederlo.

«Sì.»

«Posso entrare, Gerard?»

«Smettila di chiamarmi con il mio nome» Disse, irritato dal suo modo di finire le frasi con il suo nome.
Lo irritava perché gli sembrava che lo pronunciasse per calmarlo, credendo di essere gentile, o perché magari aveva paura di lui.

Gerard non voleva fare paura, ma apprezzava il fatto di intimorire le persone senza dover far nulla, perché così poteva starsene per conto suo.

«Oh... e come dovrei chiamarti?» Chiese Frank, entrando cautamente quando Gerard fece girare la maniglia della porta e si spostò da essa.

Così dopo giorni Gerard incontrò nuovamente lo sguardo dell'assistente, «Non chiamarmi»
Il suo tono e lo stesso sguardo erano freddi. Molto freddi.

Frank si morse l'interno della guancia, ammettendo a sé stesso di essere un po' intimorito.

«Okay...»

Gerard se ne accorse, ma non fece nulla per cambiare la cosa, anzi nascose un sorriso, e ciò lo rendeva abbastanza cinico.

«Cosa volete adesso?» Disse, riferendosi a tutti gli assistenti compreso lui.

«Non voglio nulla, Ge-.»
Si interruppe subito, sperando che l'altro non ci facesse caso, eppure vide l'espressione dell'uomo indurirsi.

«Stavo per avvisarti. Probabilmente, per quello che hai fatto... ti porteranno giù.»

Gerard inclinò la testa, «Giù?» Chiese, confuso.

«In una stanza isolata.»

A quel punto, Gerard scoppiò a ridere.

Il suono della sua risata fece eco nella piccola stanza, e se Frank o qualunque altra persona l'avesse sentito fuori da quella struttura l'avrebbe trovato bello e contagioso.

Invece Frank in quel momento si era irrigidito e guardava Gerard molto più attentamente di prima.

Non è una persona pericolosa, ripetè nella sua mente almeno un paio di volte.
Non devo avere paura, solo essere prudente.

«Che lo facessero» Rispose infine molto tranquillamente, con il sorriso sul volto lasciato da quella risata.

Troppo tranquillo...
Per essere normale.

«Dopo non avrai realmente più la possibilità di uscire, nemmeno dalla stanza. Capisci? Rinchiuso a chiave. Per una settimana, o almeno credo.» Disse Frank scandendo bene le parole, non capendo come facesse Gerard a restare così tranquillo.
Infondo però, non poteva fare più nulla per scampare all'isolamento, ormai aveva fatto.

Gerard lo guardò e il suo sorriso si spense.
Non gli importava davvero, ma Frank aveva alzato i toni e quello che aveva appena detto gli rimbombava in testa come una minaccia.
Era così che la sua mente l'aveva captata, non era colpa sua.

«Che-lo-facessero» Ripetè, con tutta la lentezza possibile.
Il tono basso e profondo, e quell'espressione irritata ma indifferente, che lo rendeva ancora più inquietante.

Frank si morse le labbra. Un brivido gli percorse la schiena.
Chiuse solo per un momento gli occhi e sospirò, dopodiché si decise a puntare lo sguardo in quello del paziente - senza prepotenza.

«D'accordo Way. Sappi però che, Dio, non dovrei dirlo ma penso proprio che tu mi stia guardando come se fossi il ragazzo di prima. Io ci tengo alla salute delle persone che ci sono qui.»

I pazienti erano persone. Andavano trattati come tutti, solo che avevano dei bisogni in più - o, nel caso di Gerard, erano totalmente autonomi.

«Non sono qui per compassione. Non sono qui per costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Non voglio assolutamente infastidirti, anche se adesso rischio di farlo.»
Continuò Frank, gesticolando appena con le mani.

Forse era l'ansia a farlo parlare, perché una parte di sè aveva paura di Gerard e sperava proprio che non facesse alcuna mossa strana.
Ma voleva anche far capire a Gerard che non tutti erano come Nick, che non era da solo in quel posto, anche se apparentemente era il contrario.
Lui poteva aiutarlo.
Ma non aiutarlo forzatamente, cosa che di tutti si notava.
Frank aveva scelto il suo lavoro, sapeva aiutare le persone ed era disposto e determinato a farlo, lo faceva fino in fondo, lo faceva perché tutte le persone in quel posto lo meritavano.
Poi certo, sapeva riconoscere chi invece oltre i problemi era anche cattivo nell'anima.

L'espressione di Gerard cambiò.
Non era più arrabbiato, o almeno non lo era nei confronti di Frank.
Poteva darsi che capiva quello che voleva dirgli.
Si vedeva anche, glielo aveva dimostrato, che teneva ai pazienti e che provava a farli stare bene in quel piccolo posto che era la loro stanza.

«Con questo... cosa dovrei fare?»

La domanda, da parte di Gerard, fu un proiettile nello stomaco di Frank Iero.
Gli era sembrato, anzi, ne era sicuro, che Gerard stesse provando rimorso o che avesse capito la gravità della situazione.

Era una domanda dannatamente normale, con un tono che lasciava trasparire un'emozione, negativa per lui ma positiva per il resto delle persone in quel caso, per far sì che capissero che era come gli altri.
Quindi Gerard non era totalmente a secco.
Le emozioni sapeva provarle, e Frank lo aveva visto soltanto dopo settimane di permanenza lì.

«Ormai non puoi fare nulla. Solo, fingiti dispiaciuto, pentito. Lo dico per te.»

Gerard annuì, anche se un po' seccato.
Fingere gli riusciva bene, soprattutto se per scopi personali.

Dopo che Frank lasciò la stanza, Gerard iniziò a contare i minuti.

45 minuti dopo, una guardia - armata di manganello e teaser - entrò di prepotenza nella camera di Gerard e lo afferrò dalle spalle, portandolo nel corridoio di giù.

Gerard non si era opposto, non aveva fatto scatti strani.
Il suo corpo però ne stava risentendo, avrebbe voluto scoppiare e forse l'avrebbe fatto da un momento all'altro.
Si stava trattenendo con tutto sé stesso e faceva male.
Il suo viso, solitamente pallido, si era colorato in una gradazione di rosso innaturale.

La guardia, che sembrava ormai aver capito che Gerard non sarebbe stato violento, lo accompagnò nella stanza dalla porta di ferro non troppo spesso.

«Stammi bene, ragazzo».
Chiuse Gerard Way lì dentro, con la chiave che poi riportò alla reception, lasciandola nelle mani di una Linda dispiaciuta.

Gerard, dopo cinque minuti passati a fissare il vuoto seduto, iniziò a respirare sempre più velocemente.
Il suo cuore batteva forte, come se stesse martellando il petto per uscire. Non era l'ansia a farlo, non era la rabbia.
Era quel senso opprimente che lo faceva palpitare.

Gerard Way era claustrofobico.

Quella cella, perciò, era un pericolo per lui.
Niente di buono, per una persona che aveva un disturbo nervoso come il suo.

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