sangue nell'acqua [hs]

By __soph

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Harry era questo, Harry era una carezza e uno schiaffo. Due occhi incastrati in un volto troppo cupo per mer... More

Sangue nell'acqua
Occhi acquosi
Tadcaster
Ladra
Mani crudeli
Cuore a crudo
Attimi di terrore
Non hai una casa?
Red lion
Trauma
Che ci fai ancora qui?
Non parlare con lui
Troppo soli
Va tutto bene
Jenna
Battito fugace
Veleno di serpente
Predatore
Nugoli di contraddizioni
Pelle di velluto
Obbligo o Verità?
Mason O'Connor
Inevitabilmente acqua
Cuore martoriato
Vulnerabile
Peccatrice
Spiraglio
Maia genitrice
Ombre
Occhi di primavera
Gelosia
Pavor Nocturnus
Quando sei con me
Vertigini
Il nostro capolinea
Brividi di cristallo
Destino di eterni infelici
Cento cappi di spine
Vuoi che me ne vada?
Paroxetina
In punta di piedi
Sangue maledetto
Follia
Maia, ti sto supplicando
Pelle viva
Non ho paura di te
SONO TORNATA

Scale in ascesa

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By __soph

Il proprietario del Red Lion si rivelò essere il padre di Harry. Il suo nome era Tom Styles, e designava l'aspetto di un bell'uomo di mezz'età: occhi chiari e trasparenti, limpidi come il più puro dei cieli estivi, e volto fanciullesco e pulito, privo di alcunché di maligno o intimidatorio. Nel momento in cui i nostri palmi aderirono in una stretta calorosa, mi chiesi come Harry potesse essere figlio suo - come l'Harry corrucciato e impaziente potesse avere il suo stesso sangue a scorrergli nelle vene.

«I ragazzi mi hanno parlato della tua situazione.» mormorava, e nel frattempo mi affiancava nel percorso che tutti e quattro avevamo intrapreso lungo una rampa di scale in ascesa. «Non è il massimo, ma penso che per una notte possa bastare.»

Non ero in grado di comprenderne la ragione, ma la sua voce ferma e calma riuscì in poco tempo a sciogliere il nodo di ansia e preoccupazione che mi stringeva la gola, e in pochi minuti crebbe in me la sensazione di poter donare a quest'uomo la mia completa e assoluta fiducia.

Continuavo a guardarlo...incantata, finalmente tranquilla, grata di poter ancora calpestare terreno stabile. E intanto lo seguivo su per gli scalini, persa nella speranza di cui le sue parole di conforto erano intrise, mentre pronunciava «Devi sapere, Maia, che la stanza è molto piccola. Apparteneva ad una nostra vecchia dipendente che si è trasferita qualche mese fa...ma non penso sia un problema, giusto?»

«Giusto.» risposi in fretta, convulsa, impaziente di palesare il mio assoluto consenso. Non volevo apparire come un peso, o come uno scomodo bagaglio da trascinare a fatica. Desideravo...semplicemente, desideravo non dar fastidio a nessuno, non sconvolgere gli equilibri ma essere aiutata, incapace di far fronte alla disperazione che mi dilaniava.

Tom Styles, in quel preciso istante, apparve come la persona giusta. Mi guidò in un ampio corridoio buio, costellato da porte e ingressi di legno vecchio, indirizzandosi verso la prima di esse. Rivelò una piccola stanza avvolta dalla semioscurità, dal profumo di chiuso e di remoto, occupata da pochi mobili impolverati e sciupati dal tempo che era passato, inesorabile.

Tom accese la luce. Strizzai appena gli occhi, facendomi spazio nella camera che solo per quella la notte mi sarebbe appartenuta...ma percepivo lo sguardo intenso di Harry sulla nuca. Sembrava in attesa che io parlassi.

«Il letto è da rifare-» Tom si diresse frettoloso verso il comò, aprendolo per tirarne fuori lenzuola pulite. «Mi dispiace - in questo modo, senza preavviso...» e scosse la testa contrariato. La sua bontà fu palesata dal fatto che si sentisse in colpa per le squallide condizioni in cui la stanza riversava, senza rendersi conto che, per una come me, anche solo avere un tetto sopra la testa fosse sinonimo di pura gratitudine.

«Non importa, davvero!» Mi avvicinai a lui e gli strappai di mano il prezioso carico bianco di lino. «È tutto perfetto, seriamente. Il letto posso rifarlo io - voi avete fatto già troppo!»

Non volevo che mi facesse da balia. Non volevo sentirmi di troppo. Il letto lo avrei rifatto da sola, il pavimento lo avrei pulito da sola, e poi sarei tornata indietro, da sola.

«Tesoro, vai a fare una doccia.» Le mani di Tom coprirono gentilmente le mie, avviluppandosi attorno ai miei polsi tesi. «Per me è solo un piacere sapere di esserti di aiuto...dammi qua, per favore. Sei molto stanca. Hai bisogno di riposare.»

«No, io-» sembravo sul punto di piangere.
Harry mi guardava, Steve mi guardava, io crollavo a terra pezzo dopo pezzo, e la bontà di Tom iniziava a farmi sentire troppo vulnerabile, troppo esposta alla luce tenue della speranza.

«Ti prego. Voglio fare da sola. Tu hai già fatto troppo, per me.»

E dunque, finalmente, Tom Styles comprese. La coscienza dell'uomo adulto e maturo quale era gli suggerì che io non fossi soltanto un'adolescente ribelle in fuga dal proprio destino (non come i due ragazzi alle nostre spalle gli avevano fatto capire) ma piuttosto una giovane ragazza in conflitto col proprio io, senza più un posto nel mondo, affranta, abbandonata - e sola, col complesso d'abbandono, col terrore di costituire un peso, con la ferrea convinzione di non valer nulla. Lui comprese tutto ciò, tutto con un solo sguardo. Lo lesse sul mio viso, nella mia assurda necessità di sembrare forte e indipendente. Lo assorbì con le sue mani buone, poi mi sorrise.

«Va bene, Maia. Se hai bisogno di qualcosa, non disturbarti a chiamarmi. Cerca di riposare.»

Passò un secondo. Lo guardai coi miei occhi grandi, brillanti come due pietre di pirite naturale. E finalmente sorrisi. Sorrisi per la prima volta da quando la mia fuga era iniziata, e insieme alla bocca mi sorrise il cuore, che perse un battito - o forse due. «Grazie.» Sussurrai.

Per la prima volta da quando ero giunta a Tadcaster, mi sentii compresa. Capita. Perdonata. Non etichettata sulla base di giudizi sbagliati, ma osservata con occhi nuovi, studiata con coscienza.
Immaginai fosse per questo che, quando rimasi sola con me stessa, l'alone di disperazione che sempre mi accompagnava tornò a palesarsi.

Mi ricordai del perché fossi lì. Mi ricordai che mamma era morta. Che papà mi odiava. Che ero...sola. Che non avrei trovato pace da nessuna parte, in nessun angolo di mondo, perché la lacerazione che avvertivo nel petto mi avrebbe impedito di essere felice, ovunque.

Quella fu una notte tormentata.

Il mattino seguente, a svegliarmi, non fu altro che un intenso battere alla porta. Un bussare costante e invasivo che mi strappò via dai sogni per gettarmi nella realtà, aprendomi gli occhi e il petto.

Impiegai un secondo di troppo per elaborare cosa stesse accadendo. Poi, quando finalmente compresi, mi rizzai di scatto a sedere - e già avevo il cuore a mille.

Nel breve tragitto che separava il letto dalla porta mi infilai distrattamente una t-shirt bianca e un paio di pantaloni da ginnastica pescati dal mio bagaglio improvvisato, senza far caso né alla mia espressione sconvolta - che nemmeno avevo avuto il tempo di capire dove mi trovassi - né a chi effettivamente potesse celarsi dietro la porta.

Lo scoprii un attimo dopo. D'improvviso. Perché aprii la porta di schianto, atterrita, e mi ritrovai ad annegare negli occhi color acquamarina di Jake. Jake?

Lui mi salutò con un sorriso. Il suo volto si distese, facendosi quieto, abbandonando la traccia di incredulità di cui si era macchiato, sino ad aprirsi in una magnifica smorfia di sollievo.

«Hey.» sospirò, gentile, scivolando contro lo stipite della porta. «Maia, giusto?»

E io, che ancora ero lì, ghiacciata di fronte a lui, mi senti riscuotere al solo accenno del mio nome. «Sì.» esalai, calma, ancora incredula.

«Io sono Jake.» continuò, sebbene già sapessi, sebbene ricordassi vividamente del giorno del furto, e di come lui mi avesse difesa dall'intransigenza spietata di Harry Styles.

«Posso entrare?»

«Oh, sì, certo - scusami.» balbettai, facendogli spazio a sufficienza per entrare nella stanza. La luce che tenue e discreta penetrava dalla finestra donava un nuovo calore alla camera, colorandola di vivo e di presente. Non sapevo spiegarmelo...ma rifiutavo di credere che fosse grazie a me.

«Harry mi ha parlato di ciò che è successo ieri...» parlò Jake, voltandosi verso di me. Si dondolava sui talloni. Era nervoso. Non sapeva cosa dire.

«Ah.» risposi io, di fronte a lui, schiacciata dall'imbarazzo e ancora frastornata dal sonno. Non capivo perché fosse qui, ma la sua presenza non mi disturbava. Non risultava invasiva o forzata, ma lieta, sebbene strana e inaspettata.

«Già.» continuai, «Tom è stato...molto gentile.»

«Hai dormito bene?» domandò. Mani in tasca, capelli scuri a pizzicargli sulla fronte. Voleva stemperare la tensione.

E «sì» risposi incerta, bugiarda, perché non dormivo bene da mesi.
Dettaglio di cui non doveva necessariamente venire a conoscenza.

«Bene, mi fa piacere,» sorrise. Poi, «toglimi una curiosità...ti ho svegliata, vero?»

«Cosa? No! Figurati,» risi, falsa come poche, ostinata di fronte ad un'evidenza che non potevo negare.

Lui mi guardò, e per certi versi la consapevolezza nei suoi occhi mi ricordò la stessa maturità che avevo letto nello sguardo di Tom. Jake aveva capito subito. Conosceva le ragioni che mi avevano spinto a rubare - il suo cuore buono non aveva ignorato i miei occhi terrorizzati, i miei piedi frettolosi, il borsone a colpirmi ritmicamente la coscia. Percepiva la mia sofferenza. E per questo, di fronte a me, sorrise.

«Sono felice che tu sia qui.»

In questo capitolo conosciamo due meravigliosi personaggi: Jake, che già avevo introdotto, e che è il mio bimbo, e Tom, il padre di Harry sonofigo Styles. Il prossimo capitolo è essenziale, perché da quello in poi la storia vera inizierà. Sarà l'ultimo capitolo di passaggio...poi Harry diventerà la colonna portante della storia. UO ADORO.

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