Damnatio ad Bestias

By StaiSerenaElisa

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È estate in Louisiana e un uomo è stato ammazzato. Ethan White, agente speciale, non è contento né dell'una... More

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🐯La pantera di città🐯
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Pausa? Pausa.

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By StaiSerenaElisa

L'essere insieme dava loro forza e coraggio, e forse era anche per questo che Tom non aveva ancora perso il controllo. Adesso erano in quattro a fronteggiarmi, a cercare di tenere a freno il ragazzo.

Travor Allen ci aveva raggiunti in pochi minuti, alla guida della sua volante, chiamato forse dall'altra sua figlia che, non appena si era affacciata alla finestra e aveva assistito alla scena in cui Anastasia allontanava di forza l'Allen da me, si era gettata in strada completamente scioccata.

Vedevo la mano del vice-sceriffo resistere alla tentazione di andare a cercare la sicurezza della pistola d'ordinanza, mentre entrambe le donne spingevano con forza Tom lontano da me.

Io me la godevo forse un po' troppo.

La scena era quasi esilarante, in effetti.
Non mi permettevo di ridere solo perché mi sarei visto praticamente un intero zoo saltarmi addosso.

La tensione era alle stelle, del resto, ma non volevo assumermene la colpa interamente. La mia ultima frase non era piaciuta affatto al giovane Allen, che mi aveva agguantato per le spalle per spintonarmi via con forza. Lo avevo lasciato fare, esattamente allo stesso modo in cui stavo lasciando alla loro natura animale di reagire come meglio credeva. Era curioso e affascinante vederli tutti strizzare gli occhi allo stesso modo, sforzandosi di rimandare la bestia il più profondo possibile. Con gli occhi fissi sulla mano titubante di Travor, alzai le mani, mantenendo un'espressione neutra e distante.

«Tom, vuoi darti una calmata?» sbottò infine il vice-sceriffo, rimproverando con estrema serietà il figlio e dando segno di aver apprezzato il mio gesto.

Il ragazzo scosse la testa, ricacciando giù per la gola la trasformazione che aveva iniziato a cambiargli la bocca.

«È un...» riuscì a dire lui, «pezzo di merda».

Inarcai un sopracciglio, ma mantenni il silenzio perché il telefono della ragazza più giovane squillò e, quando rispose, in meno di un secondo il suo volto si fece esangue. Prima guardò me, poi il fratello, la zia e il padre. La vidi infine voltarsi per cercare di inquadrare qualcosa verso l'orizzonte, e così feci anche io.

Trattenni il respiro per un istante: una pantera ci correva incontro, pestando le zampe con furia sul terreno.

«Papà» mugolò la giovane, indicando la bestia. «Che facciamo? John è dietro di lei».

Travor, allarmato, seguì con gli occhi il dito della figlia e così io, ancora. Di quel passo, l'impetuosità della bestia ci avrebbe investito di lì a poco.

Il pelo dell'animale brillava lucido sotto il sole: era un lampo nero. Un lampo nero decisamente fuori controllo.
Era forse...?

«Merda».

Il vice-sceriffo, con la prontezza d'animo degna da un uomo come lui, si girò verso di me, iniziando a spronarmi con ogni possibile termine di infilarmi in casa sua e chiudere la porta. Mi infilò le chiavi in tasca, mi spinse un po'. Quando però vide la mia espressione frastornata, sembrò decidersi per le maniere forti: mi agguantò per una spalla e mi indirizzò con forza verso la sua abitazione, incitandomi a muovermi.

«White!» esclamò, non appena sentì farmi fare resistenza: avevo puntato i piedi.

«È Nadine?» lo interruppi secco, spostando i miei occhi sugli altri tre membri della famiglia. La presa dell'uomo su di me si allentò per un attimo, permettendomi di capire il necessario.

«Vattene e basta!» ringhiò Tom, appigliandosi all'occhiata che gli avevo lanciato. Le zanne gli avevano lacerato le gengive e il labbro inferiore e il ragazzo sputava sangue. «Stai solo peggiorando le cose, come sempre. Questa non è roba per te!»

Non avrei voluto, soprattutto perché l'angoscia del branco era palpabile, ma finalmente sorrisi.

Scansai la mano del vice-sceriffo dalla mia spalla come se fosse burro sciolto, a dispetto della forza che fino a quel momento mi era stato difficile combattere, riportando l'attenzione sulla pantera che ci correva incontro.

Era Nadine... era davvero lei e, a quanto pare, aveva perso il controllo.

Con gesti lenti mi sganciai tutti i bottoni della camicia, mentre un paio di mani tentavano ancora di imporsi su di me, di trascinarmi via. Me le scrollai di dosso con fin troppa facilità.

Ah, Nadine, pensai. Ancora una volta, e solo per te.

Un attimo, un solo attimo.

Quando espansi le mie ali al massimo, oscurando il sole alle mie spalle, la mannara mi era quasi addosso. La vidi frenare con estrema goffaggine, quasi come se si fosse smarrita all'improvviso, gli artigli che ghermivano il terreno, straziandolo e aprendolo.

La pantera scivolò, arrivando ai miei piedi su un fianco e con un gran polverone. Si tirò su, ringhiando e soffiando, gli occhi spaventati e il muso arricciato dalla rabbia. La sua forma animale era davvero imponente, di un selvaggio impenetrabile.

«Nadine» sussurrai, mentre lei indietreggiava, fissandomi le ali. Quando le mossi, un unico e semplice battito, il felino appiattì le orecchie contro la testa, tornando a ringhiare.

«Qualsiasi persona sia il bersaglio di questa rabbia» continuai, «non ne vale la pena».

«Io non ne valgo la pena» sottolineai, il tono ridotto a un mormorio quasi inudibile.

Sapevo cosa significava per i mannari perdere il controllo, non avere più niente di umano dentro se stessi.

Mi inginocchiai, avendo premura di raccogliere le ali sulla mia schiena e allungai una mano verso il suo muso.

Forse la sua ira era scoppiata a causa delle mie parole, o direttamente a causa mia e della mia presenza; forse era dovuta al fatto che aveva avuto l'idea, o l'impressione, che suo cugino fosse in pericolo. Chi l'aveva avvertita non aveva fatto un gran bel lavoro - pensai mentre gettavo uno sguardo veloce al ragazzo alle sue spalle, che si teneva a debita distanza - ma qualsiasi fosse il motivo, ormai la mannara aveva un pezzo della mia fiducia, così come io speravo di avere la sua. Doveva capire che non avrei mai sfiorato la sua famiglia, nemmeno un pezzo di cretino come suo cugino Tom. Ero stato uno stronzo, vero: ora me ne rendevo conto, anche se proprio continuavo a non riuscire a giustificare quel concedersi al selvatico. Forse avrei dovuto semplicemente accettare che loro erano così, che lei era così. Che faceva parte del loro essere, così come la mia aquila.

Puntai i miei occhi in quelli di Nadine, gialli come una spiaggia deserta.

Avevo odiato quello che ero, lo avevo fatto davvero. Costretto fin dalla nascita a diventare qualcuno che non sarei mai voluto essere. Poi lo avevo accettato, per forza di cose certo, ma lo avevo accettato. La scuola, gli allenamenti, la gerarchia e i guanti sporchi di sangue, sempre quello degli altri.

«Nadine, torna» dissi, insistendo ancora con la mano.

La pantera esitò, poi chinò la testa e iniziò a tremare, fremendo sotto i colpi iniziali della trasformazione inversa. Si accucciò, ringhiò, strizzò i grandi occhi gialli e io non potei fare altro che distogliere lo sguardo. Mi alzai in piedi con molta attenzione e feci pochi passi indietro, fino a raggiungere la camicia che avevo lasciato cadere sul selciato.

L'afferrai senza dedicare nemmeno uno sguardo alla famiglia della ragazza, che sentivo ribollire agitata e sconvolta alle mie spalle. Avrei fatti i conti con loro più tardi, adesso il mio pensiero era solo uno.

Trovai Nadine accucciata su se stessa, a guardarmi con gli occhi pieni di lacrime.

«Mi dispiace» le dissi, mentre le coprivo le spalle esili con le mie vesti.

Nessuno: ...
Ethan:

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