Polvere di Luce

By Doubleyes

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Venya è una maga a cui non piace usare la sua dote e non sa ancora che si sta per cacciare in grossi guai qua... More

Parte I: Incontri della sorte
Capitolo 1
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Parte II: In viaggio per la corona
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Parte III: La maga, l'inventore, l'illusionista e il pirata
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Parte IV: Il riscatto della magia
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Parte V: Dentro il buio
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Epilogo
Ringraziamenti
Pubblicità!

Capitolo 2

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By Doubleyes

I polpastrelli del mio aggressore mi affondano nella guancia, facendomi male.

Lo percepisco premere sulla mia mascella, con la sua pelle ruvida.

Mi strattona a sé. «Viene definito clandestino, chi si introduce in una nave senza far parte del suo equipaggio» mi sussurra una giovane voce maschile all'orecchio. Il fiato è caldo, delicato come una carezza, e il suo tono non è per nulla intimidatorio, al contrario della forza che sta usando per immobilizzarmi. Forse sono finita tra le braccia di un ubriaco o di un pazzo.

«E soltanto per vostra informazione, è un reato verso il capitano e la sua ciurma. Dovrei mettervi in cella ma siamo ancora sulla terraferma, quindi deciderà il governo di Landa le sorti di una ladruncola come te».

Ladra? Ma come si permetteva? Io non avevo mai rubato nulla in vita mia. Se escludevo una delle dodici chiavi del palazzo di Farvel, ma ero stata costretta a farlo per fuggire da lì.

A me non importava di reati o di prigioni. Volevo soltanto evitare di essere catturata dai tre individui che mi cercavano al porto. Perché mi avrebbero riportata in un posto che per me era molto peggio di qualsiasi prigione esistente. 

Vorrei rispondergli a modo, ma con la bocca tappata non mi capirebbe. Gli mordo un dito, sperando di fargli abbastanza male da distrarlo.

Appena i miei denti gli affondano nella carne percepisco di nuovo quell'odore metallico e disgustoso. Ne sento il sapore in bocca e mi sale quasi un conato di vomito. Mi pento di ciò che sto facendo, ma credo sia l'unica soluzione. In tutta risposta lui mi stringe più forte con il braccio e si mette a ridere.

Quando premo di più con gli incisivi, lo sento trattenere un urlo e poi mollare la presa. Mi spinge lontano. Cado a terra per la sorpresa. Sento i muscoli delle braccia formicolare e faccio appena in tempo a mettere le mani davanti la faccia, per non sbatterla contro un barile.

Cerco di riprendermi subito e mi volto verso di lui, affinché non possa riafferrarmi di nuovo senza che io me ne accorga.

Il fascio di luce triangolare colpisce la sagoma di un ragazzo. Alto, almeno venti centimetri più di me. I capelli lunghi e castani, raccolti in una coda che gli ricade dietro il collo. Gli occhi scuri, impenetrabili come la notte fonda e arrabbiati. Delle flebili occhiaie li contornano come ragnatele. La pelle di qualcuno che è abituato a farsi baciare dal sole. La sua bocca è contratta in un'espressione stordita, incorniciata da una barba corta. Si tiene il dito morso tra le mani sporche di sangue. Anche la sua camicia ne è macchiata. Ne percepisco il liquido anche sul mio viso e vorrei pulirmi con la manica della camicia, ma mi trattengo. Come trattengo la voglia di sputare che mi sale direttamente dallo stomaco fino alla gola.

Le spade sulla cassa sono esattamente dietro di lui. Potrebbe prenderne una e trafiggermi. Oppure no.

«Ma sei matta?» sbraita «Ma che razza di contrattacco è? E se fossi stato morso da un ratto o avessi qualche malattia contagiosa? Adesso ce l'avresti anche tu».

«Ma sarai matto tu» replico nervosa «Tua madre non ti ha insegnato che non si aggredisce la gente senza motivo?».

I suoi occhi si spalancano al suono della mia voce, inscenando la medesima situazione stupita che avevo riscontrato quando avevo provato a parlare alla gente fuori da Farvel. Tutti sembravano trovarla strana, singolare. Un vecchio viandante le aveva addirittura affibbiato l'aggettivo di autentica. Ma non sapevo se era davvero così diversa dal normale, dopotutto io ero abituata al mio timbro.

«Chi sei?» mi chiede massaggiandosi i polsi, per poi riprendere a fissarmi in un modo autorevole che dovrebbe farmi paura. Ma non ci riesce. Ha qualcosa negli occhi, una sfumatura che li fa apparire da bambino. «Che ci fai sulla mia nave?».

La traiettoria del mio sguardo si dirige verso l'unica entrata ed uscita della stiva, dove il sole illumina il legno. Uscire per sfuggirgli non era possibile, visto che le tre guardie che mi aspettano al porto sono molto peggio di quel ragazzo che mi ha aggredito.

«Se non mi rispondi ti consegnerò alle autorità» mi minaccia. Oh, che paura.

«Spero che tu stia scherzando» cerco di guadagnare tempo, mentre chiedo al mio cervello di inventarsi qualche cosa.

«Non penso proprio. Vedi, i ladri non sono mai personaggi ben visti» si avvicina ed io automaticamente indietreggio. Ancora con questa ladra? È meglio che lo creda tutto sommato. Meglio essere una ladra che una fuggitiva costantemente braccata.

«Vuoi un altro morso? Non deve essere stato così male allora».

Le mie spalle finiscono contro una trave e sussulto, imprecando tra i denti. L'importante è restare nascosta qui dentro per un po'. Non mi serve altro.

Lui si avvicina, fermandosi a un soffio da me.

«E se fossi armata?» adotto la sua stessa tattica.

«Avresti già tirato fuori la tua arma» mi risponde sicuro di sé, estraendo un piccolo pugnale dalla cintura. Nella penombra della stiva la sua mascella non sembra più così ben definita e i suoi occhi perdono ogni traccia di tenerezza.

«Non rubo agli assassini» replico.

Lui si ferma, soppesa il pugnale da una mano all'altra, giocherellandoci. Il sangue mi si gela nelle vene, è la prima volta che sono di fronte a qualcuno con un'arma. Come devo reagire?

Non mi blocca più, deve aver intuito che non voglio scappare.

«Non sono un assassino» mi dice, diventando improvvisamente serio.

La tensione tra di noi è così fitta che si potrebbe tagliare con il suo pugnale. Anche l'aria sembra pesante, vorrei sparire ma non posso. Le dita mi pizzicano pericolosamente, ma è solo la magia che vuole venirmi in soccorso. Cerco di concentrarmi sul nostro discorso e non su ciò che vorrei.

«Ah no? Allora ti piace fare bagni nel sangue? Sai...».

«Ho soccorso una persona» mi interrompe spiegandomi il suo motivo per quelle macchie, che hanno imbrattato anche me. «Ma non è servito a nulla». Il suo sguardo è così sconsolato e deluso, che non sembra mi stia dicendo una menzogna. Ma allora perché mi sta minacciando con il suo pugnale? Vuole solo spaventarmi?

Ci studiamo. Deglutisco. Nell'iride dei suoi occhi riesco a scorgere il mio riflesso. Sembro apparentemente calma. L'unica cosa che mi fa paura è la lama che possiede. Non mi fiderei di lui, nemmeno se mi garantisse che non vuole farmi del male. Il mio sesto senso mi dice di non cedere. Posso ancora prendere tempo.

«Cosa ti fa pensare che io sia una ladra?».

Lui solleva il sopracciglio destro, visibilmente sorpreso da quella domanda.

«Non porti le scarpe» risponde e istintivamente abbasso per una frazione di secondo lo sguardo. Che idiozie, penso. Ma dove diamine sono capitata? Il modo di pensare delle persone mi era così sconosciuto, così diverso dal mio, al quale sono stata educata.

«Magari le ho perse» faccio spallucce, sperando che la tregua che mi sta concedendo possa durare. Non ho mai combattuto corpo a corpo con qualcuno, e so di non essere pronta a farlo ora. Ho imparato da sempre a difendermi con la sola forza della magia che riesco ad evocare, non con i muscoli o delle armi.

La sua bocca si piega in un sorrisetto. «Certo, tutti i giorni si perdono le scarpe» mi prende in giro.

Sta per dire anche qualcos'altro, ma io ne approfitto per abbassarmi e scansarlo di lato.

Prontamente mi sento afferrare per il gomito, fermandomi. Accidenti, non era per nulla ubriaco quel tipo. Forse è solo pazzo.

Il suo pugnale cade a terra tintinnando, mentre mi riafferra con entrambe le mani.

«Mi sono stancato dei tuoi giochetti» quasi sussurra di nuovo al mio orecchio.

Comincia a trascinarmi di peso. In quanto a forza non riesco a contrastarlo ed anche se provo a puntarmi con i piedi, la mia pelle scivola sul legno come fosse sapone.

Siamo quasi giunti in prossimità delle scale per salire in superficie, quando decido di implorarlo. «Non farlo, ti prego, devo nascondermi. Mi stanno inseguendo».

Mi guarda confuso. Ora che è esposto meglio alla luce del sole, le macchie scarlatte sulla sua camicia sembrano ancora più fresche e noto che ha anche una manica strappata. Il tessuto reciso, attaccato solo per un piccolo lembo, pende e oscilla.

«Le persone che hai derubato?» mi domanda severo.

Scuoto la testa di fronte alla sua testardaggine. «No, molto peggio. E poi non sono una ladra, tanto quanto tu non ti ritieni un assassino».

«Da chi stai scappando allora?».

Me ne sto pentendo, ma forse dirgli la verità è l'unico modo affinché mi conceda il riparo della sua stiva.

«Dei maghi» pronuncio a bassa voce.

Sento le sue dita tremolare leggermente ed allentare la presa.

«Mi hanno catturata per farmi degli esperimenti, ma sono riuscita a scappare» continuo nel tono più triste che mi riesce di fare in quel momento.

Piego le labbra, cercando di trasformare l'espressione del mio viso in qualcosa che assomigli a un ricordo di un evento spiacevole. Potrei anche piangere, sono brava a fingere, tutto pur di non finire tra le grinfie di quelle guardie. 

Sembra che quella mezza verità abbia fatto presa sul suo animo, quando finalmente mi lascia andare. Continua a guardarmi, ma questa volta, dopo la mia rivelazione, è preoccupato.

Ed io conosco bene il motivo. Le persone comuni temono i maghi. Se solo avesse saputo chi sono davvero non si sarebbe azzardato a minacciarmi con un coltellino da quattro soldi. Ma io, del resto, non voglio essere me. Non volevo il mio ruolo. Quel ruolo.

«Aspetta qui» mi ordina, per poi salire i gradini, che stranamente sotto i suoi passi non emettendo alcun distorto suono legnoso. Gli fisso la schiena, finché scompare oltre la soglia, inghiottito da ciò che si nota del cielo e delle vele, oltre il buco d'apertura della stiva.

Sbuffo. Non amo ricevere ordini, ma almeno sono ancora al sicuro dai miei inseguitori. Forse.

Non me la sentivo di star ferma ad aspettare. E se quel tipo avesse deciso di consegnarmi a qualcuno? Magari proprio ai guardiani di Farvel. Rabbrividisco, dicendomi che nessuno osa parlare con dei maghi. Se gli si faceva perdere tempo riducevano gli intralci ad un mucchio di cenere. O almeno avevo sentito anche questa diceria su di loro.

Ci ritengono spietati e cattivi, aveva sempre detto Jarleth. Il mio maestro.

Non sapendo bene come agire, mi metto a girare per la stiva.

Mi fermo esattamente vicino al pugnale del ragazzo. Lo raccolgo. Ha una gemma blu incastonata sull'elsa e degli intarsi in bronzo che si intrecciano tra loro. Sembra molto antico, ma ben tenuto. Me lo aggancio alla cintura, sotto il mantello, consapevole del fatto che in pratica glielo stavo sottraendo, ma credo che avere un'arma potrebbe tornarmi utile.

Molto più utile di quanto io abbia mai pensato.

Sento un rimbombo provenire da sopra la mia testa, che ben presto si trasforma in un vociare concitato. Riconosco la voce del ragazzo spiccare distinta, ma le altre mi sono completamente estranee.

«Sì, è qui» sta dicendo a quelle voci.

Oh no. Brutto maledetto. E adesso?

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