La misericordia di Invercargi...

By suzuya_rin

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Piove sulla Periferia di Invercargill, uno dei paesi più meridionali della Nuova Zelanda, e Alberic Gladwyn B... More

Prologo
La villa circondata dai trifogli
Note a piè di pagina
Sangue gemello
Cadaveri e macchie indelebili
Fili di oscurità, ago di ghiaccio
Impronte digitali

Le ali della sera

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By suzuya_rin

Rhydian Urquhart era un uomo sulla trentina, non eccessivamente muscoloso e dai capelli mori. Stava in piedi davanti ai due individui con la schiena lievemente inarcata in avanti, avvolto in un piumino blu scuro, quasi intimorito, al punto che, nonostante superasse entrambi di qualche centimetro, pareva una figura più minuta di quanto non fosse.

Si trovavano nel giardino dietro la casa, dove anziché il viale alberato vi era una distesa di aiuole dai colori sgargianti, sostituite a intervalli regolari di alberi di rimu, faggio, matai, kauri, totara e di altre specie, alcune sconosciute ai due colleghi, imponenti ma ancora giovani, che non avevano ancora raggiunto l'apice della loro crescita, le quali sembravano formare uno spazio vuoto volto a catturare l'occhio verso il centro, costituito da un semplice spazio circolare erboso, in mezzo al quale era situata una grande voliera vuota.

«Conosceva bene il signor Braxton?» domandò Travor interrompendo il momento di silenzio che si era formato da quando avevano chiesto all'uomo di fargli qualche domanda. Il vento cominciava a placarsi e l'aria stava divenendo più calda con l'avanzare del Sole in cielo, rendendo le condizioni esterne più sopportabili.

«Sì, signore. Ho lavorato per lui per anni, conoscevo questi giardini più delle mie tasche. Non riesco a credere che qualcuno abbia potuto ucciderlo!». Le mani del giardiniere, segnate dal lavoro, tremavano appena mentre parlava, la sua voce sembrava quasi uno squittio, unito al fatto che egli incespicava appena sulle parole, quasi volesse dire molte cose ma le bloccasse sul nascere.

«Sa per caso se aveva dei nemici, qualcuno che avrebbe potuto ucciderlo?» domandò Robert, cercando di mantenere il tono rassicurante che gli era stato insegnato ad usare per mettere a proprio agio le persone con cui trattava e alzando gli occhi dal quaderno cercando il contatto visivo.

«No, non vedo come potrebbe essere stato possibile. Alberic era un uomo molto gentile, seppur eccentrico e schivo. Non parlava quasi mai con nessuno, eccetto con i suoi dipendenti, ma non ci ha mai trattato male, parola mia, ci pagava bene. Mi ha dato lavoro quando ero ormai disperato, signore, era uno dei miei più cari amici» affermò con la voce che si incrinava a tratti, il tremore alle mani che si accentuava. Era ben chiaro che l'uomo era prossimo al pianto, l'agitazione, lo stress, la paura e il trauma stavano avendo la meglio sul suo autocontrollo. Robert leggeva molto bene le emozioni sul suo volto, comprendeva che gli era difficile assorbire la notizia della morte di una persona conosciuta. Nei suoi anni di lavoro era entrato in contatto con molte persone e aveva assistito a molte reazioni diverse alla stessa situazione, ma non c'era giorno in cui la varietà della psiche umana smettesse di sorprenderlo.

Travor stava per porre un'altra domanda, quando venne interrotto da un forte stridio che riempì l'aria, sembrava il verso di un rapace che scendeva in picchiata sulla sua preda, annunciando a chiunque lo ascoltasse che il predatore aveva scelto il bersaglio della sua caccia e gli faceva iniziare la corsa disperata e stremante in cerca della salvezza. Le tre figure volsero lo sguardo verso Sud, scorgendo in cielo il profilo di un uccello, in controluce, che veniva verso di loro. La sagoma si avvicinava velocemente e i contorni divenivano più definiti, prima i colori, poi il piumaggio e infine si riuscivano a vedere gli occhi e il becco rapace del volatile, che si librava ormai rasoterra, al loro livello. Il volto di Rhydian parve distendersi completamente, le rughe di preoccupazione scomparirono e sul viso si fece spazio un lieve sorriso stanco, mentre, con un movimento che sembrava aver fatto un centinaio di volte a quella parte, prendeva dalla tasca un pezzo di stoffa marrone, che Robert riconobbe come un guanto da falconiere, per poi infilarlo nella mano destra e tendere quest'ultima in avanti, alzata sopra al livello del suo capo. Il rapace non dava segno di voler rallentare, volava dritto in una posa aerodinamica, tanto che dava l'impressione fendesse l'aria con un taglio netto, deciso, guizzando su di essa come il migliore dei nuotatori. Quando ormai sembrava che l'uccello li avrebbe sorpassati sotto lo sguardo meravigliato dei due colleghi, esso spalancò le ali frenando e dando una splendida visione dei colori neri, marroni e bianchi che avevano le sue piume, poggiandosi con grazia sulla mano del giardiniere. Richiuse le maestose ali e fu in quel momento che Rhydian tornò a girarsi verso Robert e Travor, permettendo al falco di rivolgere il suo sguardo fiero e solenne verso di loro. I due guardavano meravigliati la creatura che avevano davanti, le zampe ricoperte di piccole piume bianche, quasi fossero una sorta di pelliccia, erano provvisti di acuminati artigli, le ali, da quello che avevano visto, erano immense, quasi tre volte la lunghezza del corpo dell'animale, ovvero persino più di un metro e mezzo, e dalle sfumature armoniosamente alternate nella porzione interna di quella parte del volatile, mentre in quella esterna tutto ciò veniva coperto da uno strato di piume marroni. Il ventre era niveo come gli arti inferiori, candore che si estendeva fin sopra il collo, sino alla testa, dove veniva interrotto da una fascia di colore scuro che circondava la testa e incorniciava i vigili occhi gialli e comprendeva anche il becco aguzzo, nero e dalla parvenza pericolosa.

«Un falco pescatore!» esclamò Robert meravigliato «Non ne avevo mai visto uno prima d'ora, è meraviglioso!» commentò con gli occhi puntati sul rapace ad osservarne ogni minimo particolare minuziosamente.

Rhydian si era decisamente calmato dopo l'arrivo del falco, come se la sua presenza lo avesse sollevato in parte da tutti i pensieri negativi che lo stavano assalendo e lo ricoprivano come fanghiglia appiccicosa che gli limitava i movimenti e lo spingeva verso il basso. Il volatile era poggiato docilmente sulla sua mano, in una posizione familiare al giardiniere per quante volte aveva sentito quel peso su di essa. Accennò un sorriso orgoglioso alla domanda dello psicologo, prendendo ad accarezzare il piumaggio della creatura.

«Il suo nome è Vespero» annunciò, e sembrò che esso, a sentirsi nominare, assumesse un tono regale.

«Un nome insolito...» commentò Travor, conscio del fatto che non era informato quanto il suo amico in quell'ambito.

«Il nome glielo diede mio padre quando me lo regalò, al mio diciottesimo compleanno. Era da sempre affascinato dal latino e, siccome sin da quando aveva imparato a volare aveva l'abitudine di sparire sul far della sera, l'ha chiamato così» raccontò il giardiniere immerso nei ricordi.

Robert, intuendo che comunque il collega non riusciva a capire il nesso tra i due fatti, a malavoglia staccò gli occhi dall'uccello e riprese in mano la sua penna, dall'inchiostro verde, nella quale miscela erano ben visibili dei brillantini, e che presentava il particolare di una piccola bambola Troll dalla sgargiante chioma fucsia sulla sommità. Prese a scrivere sul suo quaderno, per rivolgerlo verso Travor silenziosamente, indicandogli la scritta, con il suo consueto stile schematico, in carattere maiuscolo "VESPERO ⟶ DA VESPER: SERA (IN LATINO)". L'agente di polizia, non appena finì di leggere, venne attraversato da un lampo di comprensione che gli balenò sul volto e fece segno di aver capito all'altro, ringraziandolo mentalmente.

«Il signor Braxton glielo faceva tenere qui?» domandò allora Travor, immaginando che la voliera davanti a loro servisse come dimora del falco.

«Sì. Vede, dopo la morte dell'ultimo piccione viaggiatore che aveva allevato la gabbia che vedete alle mie spalle era rimasta vuota. Qualche giorno dopo la mia assunzione mi lasciai sfuggire qualche lamentela sul fatto che mi era difficile tenerlo in casa e con il giardino piccolo che mi ritrovavo non riuscivo a fare granché, e lui mi ha proposto di tenerlo qui» narrò con lo sguardo perso verso il vuoto, quasi vedesse e contemporaneamente non vedesse ciò su cui il suo sguardo si posava, come se guardasse attraverso una cataratta fatta di ricordi «Ormai ha già quasi quattordici anni, non avrei mai potuto immaginare potesse sopravvivere a uno di noi due» il suo tono si incupì di colpo e tutte le emozioni che erano state dimenticate dopo il lieto arrivo dell'animale a cui era tanto affezionato si ripresentarono tornando ad opprimergli il petto togliendogli il respiro. Vespero, ancora posato nella sua mano, percependo la tensione del padrone, emise un lieve verso, guardandolo, provando a richiamare la sua attenzione.

I due colleghi videro il cambiamento sul volto del ragazzo. Avevano spesso a che fare con queste situazioni, ma ogni volta si era almeno parzialmente impreparati, perché ogni reazione umana è diversa e unica, così come le parole che potrebbero davvero consolare qualcuno.

«Ogni volta che muore qualcuno lascia sempre un vuoto nelle persone che ha incontrato. Quando queste vengono uccise vengono strappate da questo mondo molto più brutalmente, come strappando un cerotto con tutta la forza che si ha in corpo» disse Robert esprimendo a parole ciò che l'individuo davanti a lui stava provando.

«Il massimo dell'aiuto che possiamo offrirle è la cattura di chi l'ha ucciso. Sappiamo che non è molto, ma ci servirebbe davvero il suo aiuto, non possiamo fare tutto ciò da soli» continuò Travor. Rhydian annuì, rialzando lo sguardo che aveva precedentemente abbassato e facendo un profondo respiro per calmarsi e ricomporsi. Riprese ad accarezzare il falco, nella parte del dorso compresa fra le ali. Vespero sembrò gradire e il giardiniere fece qualche altro respiro profondo, prima di voltarsi nuovamente verso i due, dando implicitamente il permesso di continuare l'interrogatorio.

Dopo un attimo di silenzio in cui Travor si accertò delle condizioni dell'uomo, procedette con le domande, cautamente: «Il signor Braxton aveva altri dipendenti oltre a lei?»

«Sì» rispose questi accompagnando l'affermazione con un cenno della testa. Nella sua voce si percepiva ancora un lieve tremolio. «la governante, Chloé Moore, e la domestica, sua sorella Rachel» fece una pausa, poi, percepenso il ragionamento che avevano probabilmente fatto gli ufficiali, replicò: «Non sospetterete anche di loro?» guardò in faccia i due e, non ottenendo riscontro, seppe che la risposta era affermativa. «Ma come? Non potrebbero fare del male nemmeno ad una mosca! La signorina Chloé amava il signor Braxton, si sarebbero sposati a breve e non avevano mai litigato. E sua sorella ha il suo stesso carattere cortese» aggiunse incredulo dei sospetti a carico loro.

«Non lo mettiamo in dubbio, signor Urquhart, ma vede, nel nostro lavoro non possiamo escludere nessuna possibilità.» affermò Robert per tranquillizzare l'uomo di fronte a lui. «Per favore, ora ci potrebbe parlare del rapporto delle sorelle Moore con il signor Braxton? Prima ha parlato di un matrimonio...» disse accennando ad una frase detta dall'altro prima. Quest'ultimo annuì, iniziando.

«Da qualche anno Chloé e Alberic stavano insieme e sia io, sia sua sorella eravamo felici per lei. Poi due settimane fa il signor Braxton le ha chiesto di diventare sua moglie e lei ha accettato, stavano organizzando il matrimonio. Volevano farlo a dicembre, quando i fiori degli alberi in giardino sarebbero sbocciati» raccontò l'uomo, indirizzando uno sguardo sfuggente alla casa, che mise il falco in un piccolo stato di allarme per quel movimento non previsto e girò un occhio anch'esso verso l'abitazione. Quando il giardiniere tornò a rivolgersi verso Robert e Travor e anche Vespero, capito che non c'era niente di pericoloso, si fu calmato, il primo riprese, quasi ricordandosi un concetto che doveva esprimere. «Quando le darete la notizia, mi raccomando, siate cauti, non la prenderà molto bene, sarà distrutta dal dolore. Tende a essere molto sensibile, soprattutto sarà qualcosa che la proverà molto, oltre ad aver perso il fidanzato ci ritroviamo anche senza lavoro...» disse con tono preoccupato, gesticolando appena, con i pensieri rivolti alla donna.

«Non si preoccupi, sarà nostra premura.» assicurò lo psicologo «Ci parli di Rachel ora, la prego»

«Non c'è molto da dire su Rachel, non saprei come definirla. Lei e Chloé sono gemelle diverse...eterozigoti, sì, è il termine giusto. È una gran lavoratrice e ha sempre cercato di staccarsi dalla sorella. L'unica pecca nel suo rapporto con Alberic era che quest'ultimo per un po' ha creduto che lei rubasse, ma è stata solo un'incomprensione, hanno chiarito quasi immediatamente» assicurò lui, continuando a raccontare.

«Grazie per la sua collaborazione» vedendo che Rhydian stava per girarsi, Trevor si affrettò ad aggiungere «La pregheremmo di restare a nostra disposizione» Rhydian annuì e Travor continuò «Un'altra cosa: saprebbe dirci come trovare le signorine Moore?»

«Certamente. Non possiedono un recapito telefonico, ma abitano in una casupola vicina, ci arriverete seguendo la strada che passa qui di fronte in direzione ovest, non so dirvi il nome della via» disse cortesemente l'interpellato, più rilassato di quanto era all'inizio.

«Molto bene. Ultima domanda: saprebbe dirci dov'era intorno alle nove di ieri sera?»

«Ad un appuntamento con la signorina Rachel, siamo stati nel centro della città, vicino a Leet Street» Travor annuì e ringraziò l'uomo facendogli le sue condoglianze, mentre Robert finiva di annotare le informazioni ricevute, tra cui il numero di telefono del giardiniere e la strada dove abitava, per poi salutare Rhydian cordialmente, informandolo che avrebbero dovuto fargli qualche altra domanda in futuro.

Osservarono l'uomo attraversare il cortile con la naturalezza di chi segue un percorso familiare, per poi guardarlo mentre svoltava l'angolo della casa, il falco pescatore ancora poggiato placidamente sulla mano del padrone, come se fosse il suo posto preferito. Quando il giardiniere se ne fu andato, Travor parlò nuovamente rivolgendosi all'amico, rompendo il silenzio creatosi. «Che ne pensi? Mentiva?»

«Non credo, ho osservato attentamente i suoi movimenti: hai notato la sua postura? Gesticolava ed era proteso verso di noi: chi mente tende ad irrigidire la parte superiore del corpo e a porre una barriera tra esso, l'interlocutore e l'oggetto della menzogna. Urquhart non ha fatto nessuna di queste tre cose. Inoltre non ha tentato di nascondere il suo nervosismo, nonostante avrebbe potuto causare sospetti e non ci ha fissato negli occhi più del dovuto. No, non ci stava mentendo in questo, ma resta da verificare il suo omettere particolari, a partire dal suo alibi. Il modo di comportarsi che tiene denota un'insicurezza e la paura di farsi vedere deboli davanti agli altri, è una sorta di meccanismo difensivo, e potrebbe significare una difficoltà a fidarsi delle nuove persone» ragionò l'interpellato, riguardando i suoi appunti.

«Dirò a Korsak di procurarsi i filmati delle telecamere nei dintorno di Leet Street per visionarli, ora la priorità è interrogare le nostre altre possibili sospettate» Robert concordò con l'amico e insieme attraversarono il giardino, tra le aiuole, per dirigersi di nuovo verso il viale alberato dove si erano incontrati qualche tempo prima.

Come suggeritomi in un commento nella precedente parte di storia, alternerò i capitoli di normale narrazione con le note a piè di pagina. Se poi verrà ritenuto di cattivo gusto stilistico modificherò di nuovo i capitoli in modo da inglobare le note nei capitoli narrativi.

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