𝕿𝖗𝖚𝖊 𝕮𝖔𝖑𝖔𝖗𝖘|| P.D

By thanatosi

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You were red and you liked me because I was blue. But you touched me and suddenly I was lilac sky. Then you d... More

Prologo
01| Decisioni stupide
02| Niente cazzate
03| Me la fai la Dybala Mask?
04| Non mi sembra una buona idea
05| Pareggio
06| Festeggiato
08| Mierda
09| Tutta colpa della neve
10| I pazzi vanno assecondati
11| Un posto migliore
12| 2-1
13| Per te
14| Ma non potevi innamorarti di una persona normale?
15| Esprimi un desiderio
16| Cose buone
17| Com'era Madrid?
18| Quello di cui hai bisogno
19| Puoi dirmelo?
20| Non è mai una buona idea
21| Voglio solo che tu sia sempre felice
22| Non con lei
23| 10
24| 00:00
25 | Va tutto bene, te lo giuro
26| Lunedì (bianco)nero
27 | Tsunami
28 | Fino alla fine
29 | L'unica cosa che conta
30 | Amorfoda
31| Bianco
32| Nero
Epilogo
𝕽𝖎𝖓𝖌𝖗𝖆𝖟𝖎𝖆𝖒𝖊𝖓𝖙𝖎 𝖊 𝕹𝖔𝖙𝖊

07| Apnea

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By thanatosi










Erano le quattro e sedici e Idie era convinta che avrebbe nevicato tra meno di una settimana.

C'era ancora il sole, che andava e tornava quando gli sembrava più comodo. Ma c'era comunque freddo, quel freddo gelo.

Carolina invece continuava ad insistere: per quest'anno le nevicate
erano terminate.

«Tra meno di un mese è Pasqua! Non nevicherà, ne sono certa»

Nicolò semplicemente ascoltava, nascondendo il volto nella sciarpa blu.

Erano tutti e tre davanti alla scuola, e Idie aveva già iniziato la terza sigaretta della giornata, battendo ritmicamente la suola dei suoi anfibi sul cemento scuro.

«Sicura di non volere un passaggio?»

«Sicura, non ti preoccupare»

Nicolò continuava a guardarla dal basso verso l'alto: sapeva il perché non aveva accettato il passaggio, ed anche Carolina lo sapeva.
Lei era solo più brava ad ignorare e a far finta di niente.

La distanza tra la Kennedy e casa di Idie era parecchia, ma non le importava.

Aveva bisogno di bruciare calorie.

Il freddo invece, la preoccupava un po' di più.

Attraversò la strada, con le cuffie dell'iPod nelle orecchie e la voce di Rkomi che intonava "Apnea".

Torino non era mai stata così bella.
Eppure Idie non riusciva proprio ad ammetterlo a se stessa, non riusciva a dirsi che ormai quella era la sua vita.

Sua nonna una volta le aveva detto che quando nasci in una città, quella è tua per sempre, e tu sei sua.

E Torino, Idie se la sentiva fin dentro le ossa, sotto le cartilagini e nelle vene.

Eppure, la odiava.

Un rumore improvviso alle spalle la costrinse a fermare le gambe magre: il clacson di un auto stava richiamando la sua attenzione.

Inizialmente pensò ad uno scherzo, poi a qualche male intenzionato.

Solo dopo si rese conto che quella non era un'automobile comune.

Era una Maserati.

E con quei vetri oscurati, era difficile capire chi ci fosse alla guida.

Poi, il finestrino abbassato le rivelò un Paulo Dybala con una mano sul volante e gli occhi ancora più limpidi del solito.

Per pochi istante rimase in apnea.

«Mi sei venuto a prendere a scuola?»
si sforzò di essere il più naturale possibile e di non sembrare affatto sorpresa dalla presenza del calciatore lì.

«Sali?» fece lui, ignorando la domanda.

Idie si accorse che stava ignorando anche il suo sguardo scuro, e senza lasciarle il tempo di rispondere o muoversi, il ragazzo aprì lo sportello, dando per scontato che lei avrebbe accettato.

Il caldo del riscaldamento le arrivò addosso prepotentemente.

Rimasero in silenzio così a lungo che Idie pensò che non avrebbe mai più sentito il suo fastidioso accento.

«Mi devo cambiare» sbottò infine.

Lui, invece, continuava ad avere lo sguardo fisso sulla strada, attento a non prendere buche.

«Cosa?» le chiese schiarendosi la voce.

«Mi devo cambiare» spiegò, muovendosi sul seggiolino di pelle bianca « Sono scomoda così»

Paulo si soffermò ad osservare il suo abbigliamento: una gonna, larga nera e una camicia bianca che cercava di nascondere qualsiasi tipo di forma, e un cardigan è sformato di un triste colore grigio.

Deglutì a vuoto, cercando di riprendere la salivazione persa.

«Che devo fare?» chiese ancora, e si rese conto di dover sembrare un ragazzino di dodici anni davanti ad una bella ragazza.

Anche Idie notò quella sorta di tensione: Paulo stringeva le mani nervosamente al volante e le nocche diventano bianche, le vene invece pulsano velocemente.

«Niente, tanto i vetri sono oscurati» alzò le spalle e mi spostò su i sedili posteriori con velocità e poté giurare che-anche se per un solo minuscolo istante- Paulo Dybala le avesse lanciato uno sguardo spaventato e allo stesso tempo incuriosito.

Lo stava provocando, di questo Paulo era certo.

E si sentiva messo in difficoltà, in discussione.

Perché era lì?

Perché aveva preso la macchina e aveva guidato fino a quella scuola privata?
Perché non era rimasto a casa a riposare?

E mentre si torturava la mente con quelle domande che proprio non volevano trovare una risposta, Idie si stava cambiando, lentamente.

Per un brevissimo istante, il ragazzo lasciò vagare lo sguardo su quel corpo magro, ma tonico.

«Non mi guardare il culo» lo avvertì lei, e si sentì una perfetta ipocrita, perché voleva che la guardasse esattamente come lei guardava lui.

Ritornata al suo posto,
infilò l'uniforme nello zaino, non prestando troppa attenzione a non stropicciarla, schiacciata tra i libri di letteratura francese e matematica.

Idie si perse ad osservarlo di profilo, ed anche se con la mascella contratta e lo sguardo serio, ai suoi occhi sembrava un bambino.

Si disse che avrebbe potuto avere la sua stessa età, frequentare la sua stessa scuola e avere una vita normale.

Invece non era così.

«Domani giochi?» chiese continuando a fissarlo: sapeva che sarebbe arrossita se lui si fosse girato a guardarla, ma non le importava.

Non riusciva a staccargli gli occhi da dosso.

«Forse» restò sul vago, e poi fu lui a provocarla «Ci vieni?»

«Mi vuoi lì?»

Per un breve istante la degnò della sua attenzione, e di poter vedere il colore dei suoi occhi.

Apnea.

Il silenzio coper un po', interrotto solo dalla musica che proveniva dallo stereo.

Canzoni varie in spagnolo si alternavano tra di loro, in comune avevano solo il ritmo.

«Ascolti musica da tamarro» constatò, prendendolo in giro.

«Allaccia la cintura» la rimproverò lui
«Non voglio prendere una multa, davvero» le spiegò, e con un gesto nervoso spese definitivamente lo stereo.

Idie non era abituata ad obbedire, era cresciuta un po' come voleva, fumava troppo e odiava chi le dava ordini.

Ma decise lo stesso di fare uno strappo alla regola ed allacciare la cintura.

«Dove stiamo andando?»

«Non lo so» ammise dopo un po'.

Idie se l'aspettava quella risposta, perché Paulo stava guidando da un quarto d'ora e non sembrava intenzionato a raggiungere una qualsiasi meta.

Le andava bene così, perché nemmeno lei aveva mete o punti di arrivo.

Le andava bene così, perché le era mancato ed era strano.

Perché lei non sentiva mai la mancanza delle cose o delle persone.

Appoggiò la testa al finestrino freddo e sospirò un paio di volte.

Si accorse che avevano raggiunto Piazza Vittorio, con i suoi portici e i locali ancora non troppo affollati.

«Mi hanno consigliato di stare lontano da te»

Idie sorrise, perché sapeva benissimo cosa la gente pensasse di lei e sapeva che anche Paulo sarebbe venuto a conoscenza delle sue stranezze.

«Ah sì? Chi te l'ha consigliato?»

«Un po' tutti» rispose mordendosi il labbro «Me lo consigli anche tu?» chiese e si voltò di lei, per poi ritornare velocemente con gli occhi sulla strada.

«No, assolutamente. Anzi..» disse facendo scoccare la lingua al palato
«Ti consiglio di starmi vicino il più possibile» concluse, cercando i suoi occhi.

«Ci conosciamo da poco e ho come la sensazione che mi porterai al manicomio» le confessò, sentendosi improvvisamente con il cuore più leggero.

«E allora perché sei qui?»

Il tono di Idie divenne improvvisamente più serio, ma anche più malinconico.

Era questa la domanda che avrebbe voluto fargli dal primo istante.
Ma si era persa, tra una canzone spagnola e una cintura allacciata alla buona.

Il ragazzo alzò le spalle con indifferenza, «Non lo so, avevo bisogno di staccare»

Idie rimase delusa dalla risposta, ma non lo diede a vedere: cosa si aspettava? Un "mi sei mancata"?

Avrebbe voluto chiedergli altre mille cose, ma non ne ebbe il coraggio, e come per magia quella strana elettricità nell'aria le sembrò che fosse svanita nel nulla, sostituita da quell'indifferenza che lui manifestava.

Insomma, non la guardava nemmeno.

Improvvisamente, il calciatore si slanciò la cintura.

«Vengo quando non voglio pensare» le disse, stringendosi nella felpa nera.

In quel momento preciso, Paulo le sembrò davvero un ragazzo normale, in un momento di difficoltà.

Sempre in silenzio, scesero dall'automobile e Idie prese a guardarsi intorno, cercando di ricordare dove si trovasse quel posto.

«Parco del Nobile» esclamò dopo un po' «Come ho fatto a non riconoscerlo? Ci venivo da piccola con la mia tata»

«Avevi una tata?» le chiese sorridendo.

«Mia madre viveva a Parigi» gli confidò e Paulo sentì ancora quel tono malinconico farsi largo tra le sue parole
«Andavo da lei nel fine settimana»

Il ragazzo cercò di decifrarla, di scavare sotto tutti quei capelli e le clavicole sporgenti.

Non ci riuscì.

Si perse un attimo di troppo a guardare quella forma strana degli occhi di ambra liquida, e lei se ne accorse.

«Non sembri italiana» soffiò.

Idie si chiese se quello fosse un complimento, ma la voce di Paulo arrivò a chiarire i suoi dubbi.

«Hai gli occhi..»

«Sì, sono a mandorla» rispose incrociando le braccia al petto con fare altezzoso
«I tuoi sono verdi, lo sai che solo il 2% della popolazione mondiale ha gli occhi verdi?»

Paulo restò in silenzio, sorrise però per quella risposta che inizialmente gli sembrò completamente senza senso.

Ma cosa aveva senso in quel preciso istante?

«Stamattina mi sono svegliato e non sapevo nemmeno perché sto continuando a vivere così»

Idie rimasta ferma, non se l'aspettava, ma lo lascio continuare.

«Sono andato all'allenamento, ho riso, ho fatto lo scemo con gli altri, poi mi sono messo a pensare e se penso mi sento peggio..e quindi sono qui»

«Non mi devi nessuna giustificazione» lo fermò subito, prendendogli il braccio.

Paulo sentì ancora quella sensazione, quella della Cena di Natale.

Quel calore che si espandeva sotto la pelle, che lo invadeva e lo rendeva felice.

«Hai detto che non vuoi pensare, perché stai pensando allora?»

«Non lo so, non riesco a smettere»

Se le avessero detto che Paulo Dybala l'avrebbe portato in un parco, quasi al tramonto, in una Torino che ai suoi occhi sembrava bella, avrebbe riso in modo sguaiato.

«Io ho il problema contrario- mormorò lei, -penso poco e quando penso, penso male»

Aveva ancora il suo braccio fermo, e la sua mano era scivolata lentamente sul polso nudo.

Avrebbe voluto prendergli la mano, sentirlo più vicino di quanto già non fosse.

Ma non poteva.

C'erano troppe regole, distanze da mantenere e sapeva che lui si sarebbe allontanato velocemente, quasi scottato.

Era un calciatore, uno dei più pagati al mondo, e giocava nella squadra gestita da suo padre.

Lei era un completo disastro, e lui, meritava qualcosa di più di una ragazzina complessata che non sapeva nemmeno stare al mondo.

Eppure, qualche sera prima, lui l'aveva stretta e baciata.

Ora c'era un muro gelido.

«A che pensi?»

L'accento argentino riuscì a distarla per un po' da tutte quelle paranoie.

«A che penso? Non lo so a che penso» disse e un brivido di freddo le attraversò la colonna vertebrale.

Idie non sapeva se Torino sarebbe stata ricoperta dalla neve,
ma sapeva che la vicinanza di Paulo la faceva tremare.

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