Travellers

By Haineli

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Tempo. Intuizione e rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono. E se i... More

00. Prologo.
01. Godi il momento.
02. Da grigio a rosso sangue.
03. Sola.
04. La squadra alpha.
05. Tempo.
06. Come topi.
07. Travellers.
08. Accademia.
09. Nuovo inizio.
10. Istruzioni per l'uso.
12. Cinquantanove ore e quarantatré minuti.
13. Ricerche.
14. Rabbia.
15. Di madre in figlia.
16. Sorrow.
17. Gelido miraggio.
18. Release recollection.
19. Memories.
20. Stop.
21. Attanagliata.
22. Madre.
23. Sogno di una notte di mezza estate.
24. Il ballo.
25. Fiducia.
26. Operazione speciale.
27. L'abito della discordia.
28. Anniversario.
29. Lost.
30. Ter.
31. Frost.
32. Corpo a corpo.
33. Paladino e boia.
34. Pure heart.
35. Potere travolgente.
36. L'inizio della fine - Parte I
37. L'inizio della fine - Parte II
38. L'inizio della fine - Parte III
39. La fine.
40. Rewind.
41. A voi, dal futuro.
42. Dispair.
43. Proteggere e servire.
44. Sander.
45. Linea di non ritorno.
46. Confine.
47. Eternità infinita.
48. Velocità di fuga.
49. Legami di sangue.
50. Regret.
51. Contro tempo.
52. Ideali disillusi.
53. Awaken.
54. Velocità di fuga.
55. Safe and sound.
56. Ritorno al passato.
57. Betrayal.
58. Ritorno all'infinito.
59. Assoluzione.
60. Memorie di un futuro passato - Parte I.
61. Memorie di un futuro passato - Parte II.
62. La celebrazione dei diplomi.
63. Le origini del caos.
64. Il simbolo della libertà.
65. La grande guerra.
66. Hide and seek.
67. La sorgente di tutti i mali.
68. Tempo scaduto.
69. Polvere e sangue.
70. Resa dei conti.
71. Testa, cuore, animo.
72. L'amore che move il Sol.
73. Da rosso sangue a grigio.
74. Presente.
75. Il flusso del tempo.
76. Little mouse & little Rose - Parte I.
76. Little mouse & little Rose - Parte II.
77. Fear.
78. The end?
79. New reality.
80. Via d'accesso.
81. Fino alla fine.
82. Addio.
Epilogo.

11. Via di fuga.

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By Haineli

Terzo giorno

«Ancora!» Avevo perso il conto di quante volte avessi sentito quella parola nell'arco di cinquantadue ore.

La testa mi stava esplodendo, i muscoli delle gambe volevano cedere e quelli delle braccia arrendersi alla gravità, mentre pensavo solamente da quanto tempo stessi in posizione senza che nulla fosse cambiato. Un lavoro di concentrazione, di concentrazione e ancora concentrazione. Non dovevo far nient'altro che pensare al tempo da bloccare o pensare di bloccare il tempo, era quello il mio lavoro, incessante, da ore. Respiro affannoso e occhi affaticati mostravano quanto fosse debole il mio corpo alle variazioni di energia.

Sapevo come avrei dovuto sentirmi e credevo che una volta raggiunto l'apice del mio potere sarebbe stato poi tutto più facile, ma in quel momento non riuscivo nemmeno ad avvertire il grigio sottrarsi ai colori della realtà. Digrignai i denti poiché avevo la consapevolezza che nulla stava andando per il verso giusto. Eppure, era stato così semplice in passato.

«Ancora, Delaney! Devi crederci!» Il bastone di Sander scandiva i secondi inesorabili, quel ticchettio aveva invaso persino i miei ricordi più preziosi. L'onda sonora serviva a far risonare la mia anima, diceva.

Non ce la facevo, non potevo farcela, non ero capace. Sentivo il peso nella mia testa, sulle mie spalle tese e sulle mie ginocchia. Era troppo per me e io non ero nient'altro che una principiante.

Portai le mani a coprirmi le orecchie, non ne potevo più, non volevo sentire quella voce che rimbombava tra le mura di mattoni e metallo. Volevo solo urlare, dirgli di smetterla, che sarebbe bastato così e che non doveva nutrire alcuna aspettativa su di me.

«Delaney, devi provarci ancora!» Ciò che fino a quel momento era stato il brusio di sottofondo dei miei pensieri, si era rivelato essere l'ennesimo grido di Sander. M'incitava a non fermarmi: era feroce e famelico, tutto il contrario rispetto a ciò che la mia anima bramava. L'uomo fece volteggiare il suo bastone più volte in aria assicurandosi di darmi il giusto tempo nella respirazione e nel ritmo delle contrazioni muscolari. Il legno di faggio sul parquet era diventato così fastidioso.

Sbattei le palpebre per ritornare alla realtà, a quella vera, quella in cui la disperazione aveva preso il sopravvento e io non avevo nessun tipo di potere. Mi sentivo incapace e persa. Persa nell'autocommiserazione, persa nella convinzione di trovarmi in un mondo che non mi appartenesse e in cui mai sarei risultata perfetta. Mi stavo lentamente capacitando di come io fossi solo uno scherzo della natura uscito male.

Non ero né umana, né una viaggiatrice.

M'inginocchiai sul pavimento poggiando i palmi poco più avanti. Inarcai la schiena ignorando l'ennesimo urlo del mio istruttore. Eravamo rimasti solo noi in quella enorme aula austera. Non mi aveva dato un attimo di tregua: le uniche pause che ero riuscita ad avere erano dovute a Kit che passava per potermi lasciare qualcosa da mettere sotto i denti. Persino la notte nella mia stanza credevo di avvertire ancora le grida di Sander che mi imponevano di provarci nuovamente. Chissà quante ore erano passate dall'ultima volta che Kit era apparso in mio soccorso. Chissà da quante ore fallivo miseramente.

Ripercorsi con la mente le mie azioni in quello stesso spazio: immobile tentavo di fermare un qualsiasi oggetto o spezzare qualche equilibrio. Sembrava così facile per i ragazzini che mi avevano circondato a ondate durante quei giorni. Potevo essere considerata come una mera spettatrice: avevo visto quei bambini riuscire a bloccare il tempo senza la minima difficoltà, anche solo per qualche istante. Avevo inquadrato la bravura di altri nel teletrasportarsi di qualche centimetro o quella di chi ricompariva qualche secondo più tardi alle mie spalle. Quei dannati braccialetti azzurri e rossi non avevano smesso un attimo di suonare.

Il mio, invece, era sempre rimasto in silenzio: segnato dalla flebile linea cuneiforme di normalità.

«Ti arrendi così facilmente?» le parole di Sander bruciarono più del dovuto. Non ne potevo davvero più. Non mi stavo arrendendo, non volevo, eppure... Boccheggiai ulteriormente, non riuscivo neanche a proferire parola, ma cosa avevo combinato? Nulla.

«Non... Non ce la faccio» ammisi stremata chiudendo le mani in pugni e accasciandomi ulteriormente verso il pavimento. Non mi ero mai sentita così piccola e insignificante.

«Stai sbagliando approccio: ciò che hai fatto è stato solo torturarti su come riuscire nell'impresa, ti sei stancata solo con il pensiero, ma devi smettere di farlo e agire di conseguenza. È il più primordiale degli stimoli. Non ci sono leggi metafisiche: o senti il potere che ti scorre nelle vene o non avverti nulla. Hai usato tutta la tua energia a vuoto. Quindi forza, in piedi e riproviamoci ancora!»

«È difficile!» mi giustificai. Ogni parola risultava una mera consolazione per la mia incapacità.

«Certo che lo è! Come pensi abbiamo iniziato tutti? E credimi, nessuno ha mai avuto il tuo potenziale!» Levai lo sguardo verso l'alto. Non poteva dire ancora così dopo quello spettacolo ridicolo. Mi stavo umiliando: non poteva far finta di nulla. Feci presa su un ginocchio per sollevarmi.

«Io non ho nessun tipo di potenziale!» urlai. Non volevo rimanere un istante di più alla presenza di quell'uomo. Come poteva credere lui in me, se neanche io lo facevo? Era solamente patetico. A grandi falcate oltrepassai la porta con l'epigrafe romana ignorando tutto ciò che Sander provò a dire. Mi richiamò così tante volte a gran voce che feci fatica a contarle.

Aveva continuato a urlare nonostante non fossi più a portata di orecchio. Non poteva seguirmi, con quella gamba non poteva farlo. Il mio nome rimbombava per tutta l'Accademia e nella mia mente. Sembrava quasi di poter leggere il mio epitaffio nel mausoleo di famiglia "Delaney Holland, l'incapace. Non riuscì a proteggere suo padre, non riuscì a proteggere sua madre, non riuscì a proteggere suo fratello e non riuscì a proteggere nemmeno sé stessa."

Corsi nella mia camera e, dopo aver aperto la porta tramite il bracciale, crollai a terra in un pianto liberatorio. Strinsi i pugni sbattendoli più volte sul pavimento. Presa dalla frustrazione iniziai ad arrancare verso un punto più stretto: indietreggiando fino a toccare con le spalle la porta di lega e facendomi lentamente scivolare. Raccolsi le ginocchia al petto rimanendo in quello stato catatonico per chissà quanto tempo, ma almeno fino al termine della giornata.

Neanche quando Kit passò per sapere come stessi osai rispondere. Semplicemente rimasi a osservare come la stanza sprofondava lentamente nel buio. A New York era calato il sole.

In quell'istante balenò della mia mente l'idea più malsana di tutte. Magari New York faceva ancora per me... Forse Boston, Los Angeles, Parigi o qualsiasi altra città del mondo sarebbe stata adatta a me. Nessuno avrebbe potuto trovarmi o farmi del male e avrei avuto il mio nuovo inizio. Non volevo rimanere oltre in quella struttura e forse la soluzione era proprio davanti i miei occhi.

Alzai il busto quel tanto per inquadrare quel rettangolo olografico: sarei potuta scappare da una finestra. Dovevo semplicemente trovarne un'aperta: se fossi stata fortunata non mi avrebbe portata troppo lontano da casa mia. Dentro di me stava crescendo la consapevolezza che quel posto non fosse adatto a preservare i miei sentimenti. Sentivo di dover cercare una via di fuga ad altra sofferenza e responsabilità.

Avrei trascinato James con me: lui avrebbe capito.

Uscii dalla mia stanza facendo ben attenzione a non essere vista. Sembrava tutto troppo silenzioso e deserto per i miei gusti, complice, probabilmente, l'ora abbastanza tarda. Passai davanti alla stanza del mio fratellastro, sfiorando con le dita il suo nome inciso.

Udii delle voci provenire dal piano inferiore. Mi avvicinai al parapetto quel tanto per osservare i colpevoli di tale rumore. Dall'alto del balconcino intravidi una coppia di ragazzi tenersi per mano e incamminarsi verso la zona est dell'Accademia. Probabilmente in direzione della mensa. Se non avessi voluto essere scoperta sarei dovuta passare per una zona poco frequentata. La biblioteca si trovava nell'ala ovest del complesso.

Aspettai pazientemente che i due ragazzi uscissero dal mio campo visivo. Intrapresi le scale scendendole una a una fino a portarmi, colonna dopo colonna, verso la maestosa porta intarsiata d'oro e i cui tralci erano d'abete.

«Ce l'hai quasi fatta, Delaney» sussurrai a me stessa. Spinsi con tutte le mie forze quelle ante. Dovevo essere veloce se non avessi voluto essere scoperta. Mi convinsi che non ci fosse nessuno che potesse cogliermi in flagrante. Difatti, quando entrai, ad accompagnare i miei passi c'era solo l'eco del grande locale. Eravamo io, migliaia di libri impolverati e le più stravaganti tecnologie del ventitreesimo secolo, a essere circondati dal buio della sera.

Percorsi diversi metri prima di ritrovarmi nel punto esatto in cui ero comparsa dal nulla qualche giorno prima. Osservai in tondo la stanza ovale, circospetta. Ma nonostante i miei occhi non mettevano in mostra niente di strano che non avessi già visto, avvertivo uno strano senso di irrequietezza. E nel più totale silenzio avvertii un "click".

«C'è qualcuno?» indietreggiai nella direzione opposta a quella del suono. Ma a rispondermi fu solo la mia stessa voce dispersa per tutta la sala. Serrai i pugni convincendomi che non avrei dovuto farmi prendere dall'agitazione. Gli unici punti di luce erano le lampade al plasma che volteggiano sopra il mio capo, seguendo i miei movimenti, ma senza mai aumentare di intensità. Se mi fossi mossi ancora sarei stata presto inghiottita dall'oscurità.

Decisi di ignorare il mio presentimento avvicinandomi alle vetrate nel chiostro della grande biblioteca. Affrettai i miei passi uno dopo l'altro su per i gradini nella speranza che tirando, spingendo o manomettendo qualche cardine almeno una finestra si aprisse.

«E andiamo, ci sarà un punto da cui posso scappare!» ero esasperata. Ma proprio quando la speranza aveva quasi abbandonato il mio corpo la mia attenzione venne catturata da un portoncino alla mia sinistra, nascosto da una pila di libri e da un mappamondo ottocentesco. Mi avvicinai con cautela quel tanto per poter avvolgere con la mia carne il freddo metallo del pomello. Nella mia mente si era appena incuneata l'ipotesi che magari dietro quella porta si potesse nascondere la risposta ai miei problemi. A quel punto avrei dovuto solo dovuto girare la maniglia per scoprirlo.

Ma qualcosa mi bloccò.

*Clap* *Clap* *Clap*

Non ero mai stata sola.

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