Kind a love story

By JeJseries

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(STORIA IN REVISIONE, ALCUNE CARATTERISTICHE CAMBIERANNO) Jamie, diciassettenne dall'aria dark, capace di las... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8'
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
~Personaggi~
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Ventitré Marzo
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
♡ News ✎

Capitolo 40

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By JeJseries

-MARIE-
-Signora Johnson, penso che sua figlia abbia bisogna di essere aiutata. Deve parlare con qualcuno, deve sfogarsi...si tiene troppe cose dentro, pensa troppo-
Annuisco guardando la scrivania della consulente della scuola di Jenna.
Forse mia figlia ha veramente un problema ed io ho preferito chiudere gli occhi.
-È venuta qui durante una lezione in cui l'insegnante era assente ed è stata in silenzio per un buon quarto d'ora per poi incominciare a piangere. Quando ha preso a parlare non riusciva a spiegarsi bene. La sua voce era tremolante, sembrava...aver paura di tutto. Una volta uscita di qui ho visto che tre ragazze le hanno detto qualcosa, ma non sono riuscita a percepire cosa purtroppo, dopo di che non è più venuta all'incontro successivo che le avevo dato. Senta...probabilmente il preside non vorrà che io le dica questo, ma...gli studenti qui sanno essere molto scaltri e mi è capitato di vedere episodi di bullismo, ma ciò che fanno le ragazzine, con quelle parole...è inconcepibile-
Vorrei sbattere la testa contro un muro.
Jenna aveva provato a farmelo capire, ma io non le ho dato retta, ho preferito collegare tutto all'adolescenza.
-Spero che lei abbia capito le mie motivazioni nel richiedere un colloquio con lei-
Annuisco guardandomi intorno.
-Certo, ho capito-
C'è un momento di silenzio in cui mi guarda con pena e compassione. Ed io sento sempre di più di aver dato il minimo.
-Non c'è nient'altro?-
-No, volevo solo che lei prendesse in considerazione l'idea di mandare Jenna da uno psicologo-
-Beh...allora io vado-
Annuisce stringendomi la mano ed io mi avvio verso l'uscita di questo ufficio.
Oggi Jenna non è voluta neanche alzarsi dal letto, probabilmente aveva scoperto di questo mio incontro. E mi continuo a chiedere cosa stia succedendo, cosa le sta succedendo.
O solo voglia di piangere dopo ciò che mi ha detto per un'ora la consulente.
Vado verso i bagni femminili e mi guardo allo specchio per qualche secondo.
Vedo solo una pessima madre, troppo concentrata sul lavoro per ascoltare sua figlia.
E adesso vedo una pessima madre in lacrime, vorrei solo abbracciarla e tenerla stretta a me.
Sento del vociare venire verso il bagno e colgo l'occasione per entrare in una delle toilette, l'ultima cosa che voglio è farmi vedere in lacrime davanti a delle ragazzine, mi prenderebbero per una quarantenne sull'orlo di una crisi, ciò che per altro sono.
Una volta chiusa dentro la mia mente si distrae non appena leggo il nome di mia figlia sulla parente collegato ad insulti spregevoli.
Chiudo gli occhi istintivamente, il solo pensiero che lei abbia letto una cosa del genere su se stessa mi fa scendere ancora più lacrime. Ma come si fa a pensare certe cose su una ragazza come lei.
-Quest'ora sembra non passare più, per fortuna che quella pazza ci ha lasciato andare in aula stampa tutte e tre-
Sento dire dall'altra parte, probabilmente il vociare di prima.
-Già, avete notato che neppure oggi Jennifer non riesco a dire una parola Johnson si è fatta vedere a scuola?-
La ragazza viene seguita dalle risate delle amiche a seguito. Ma come fanno ad essere così? La consulente aveva ragione su di loro.
-Si, probabilmente non ne avrà avuto il coraggio, sopratutto dopo che l'abbiamo vista uscire dall'ufficio della consulente Swanson, chissà cosa le avrà detto-
-Che si vuole ammazzare, mi sembra ovvio. Le avrà chiesto aiuto-
Ed ecco che viene seguita nuovamente dalle loro stupide risate. Mi sento cadere il mondo addosso, soltanto pensando ha tutto ciò che si è sentita dire Jenna.
-Ma l'avete vista l'altro giorno? Con la maglietta di quel gruppo strano per gente pazza, tutta vestita di nero. Non mi sorprenderò se lo farà in futuro-
Ma certo. Queste ragazze scherzano su un futuro suicidio di mia figlia, come se niente fosse. Non so che fare, non se che pensare.
E se Jenna è così...veramente? Se fosse troppo tardi, se in questo momento in cui io non sono a casa succedesse qualcosa?
Improvvisamente il battito aumenta ed io mi ritrovo obbligata a sedermi sul pavimento.
Mi tremano le mani e sento il cuore uscire dal petto. Sto andando nel panico.
Devo andare a casa, devo andare da Jenna.
Mi concedo qualche secondo per riprendermi per poi uscire velocemente e andarmi a sciacquare la faccia. Quel gruppo di ragazze smette improvvisamente di ridere per poi allontanarsi il più possibile e uscire.
Beh...se ero un professore sarebbero andate probabilmente nei casini, e lo vorrei fare. Vorrei far sapere al preside ciò che ho appena sentito uscire dalle loro bocche, ma non so neanche di chi si tratta e in questo momento sono concentrata nel provare a calmare il mio battito cardiaco.
Una volta entrata in macchina mi dirigo velocemente verso Downtown, devo fare il più veloce possibile. Per fortuna Brooklyn non era trafficata tanto quanto Manhattan, altrimenti sarei finita col lasciare l'auto per la strada e proseguire con i mezzi.
Una volta parcheggiata la macchina mi sbrigo nel chiamare l'ascensore per poi schiacciare il pulsante del nono piano e una volta arrivata mi precipito subito ad'aprire la porta.
-Jenna?-
Parlo a voce alta nel tentativo di chiamarla, ma non sento nessuna risposta.
Vado velocemente verso la sua camera e la ritrovo sul letto, con le tapparelle abbassate mentre guarda il vuoto.
-Jenna, va tutto bene tesoro?-
Mi avvicino a lei per poi sdraiarmi al suo fianco. Addosso a quella maglia, la maglia strana per pazzi che alla fin fine è una semplice maglia a maniche corte nera di una band che le piaceva accompagnata da una maglia a maniche lunghe del medesimo colore sotto. Sempre più coperta di quelle tre racchie.
-Jenna, mi rispondi? Va tutto bene?-
Annuisce continuando a guardare quel punto indefinito della stanza. Sento che si sta spegnendo, e mi rendo conto che solo adesso me ne sto accorgendo. Era così anche prima, ma io feci finta di niente, e adesso eccoci qui.

-Marie, tesoro, ci sei?-
Sento toccarmi la spalla e lentamente apro gli occhi. Mi rendo conto di essere seduta per terra, davanti alla camera di Jenna.
Oh dio, ci mancava solo questo. Uno stupido ricordo di ciò che ha affrontato mia figlia, come se la mia mente volesse ricordarmi che sono stata una madre orribile.
-Marie, perché non vai a letto, è da ieri che sei sveglia davanti a questa porta, era prevedibile che prima o poi saresti crollata. Perché non vai a sdraiarti?-
Mio padre cerca di convincermi a darci un taglio, ma non posso.
Non mi muovo da questa porta finche Jenna non apre. Ho bisogno di spiegarle tutto.
-No-
Poi cosa significava? Un deja vu fin troppo realistico. E sento di aver sbagliato tutto nella sua vita, come se tutti i problemi venissero alla mente proprio adesso.
-Marie, hai visto come ha risposto a Jamie. L'importante è che adesso sta mangiando, anzi...è meglio se vai a parlare con quel punkettone la fuori-
Detto questo mi alza con forza da quel pavimento rimettendomi in piedi.
-Sappi che la mia opinione su di lui è sempre la stessa, ma dovresti ringraziarlo per ciò che ha detto-
Ha ragione. Non mi aspettavo che Jamie avrebbe fatto una cosa del genere, ma a quanto pare, a mio malincuore, tiene davvero a Jenna e al bene dei bambini.
Dopo ciò che aveva sentito ieri sera si era chiusa in camera e non è più uscita, però oramai era sera del giorno dopo e non andava bene, e Jamie le ha detto: Se non vuoi aprire te Jenna, entrerò io.
Passò dalla sua camera tramite la finestra e ho pregato che non si facesse niente, poi una volta arrivato alla sua è andato direttamente ad aprire la porta e a prendere la cena che doveva mangiare. Le ha fatto un discorsetto, tendendo sempre conto che ciò che aveva appena scoperto le stesse facendo male, ma che era incinta e che doveva preoccuparsi del bene dei bambini e mangiare. Lei non la prese bene, non perché non volesse mangiare anzi, era abbastanza affamata, ma la prese come un'accusa e abbiamo sentito oltre la porta tutto il piccolo litigio fra loro due.
Tra Jamie che le diceva che sapeva bene che non l'avrebbe mai accusata e Jenna che ribatteva che erano tutte cazzate e tra quello che si erano detti ho percepito dell'altro in ciò che diceva Jenna.
Poi, prima di andare via, Jamie le ha detto che doveva parlare con me, che la mia decisione aveva un suo perché e che era fortunata ad avere una madre come me, che era fuori dalla sua stanza da un giorno e che sarebbe rimasta li finché non intendeva parlarmi.
A quelle parole mi scese qualche lacrima, le aveva dette Jamie e sentivo del rispetto nella sua voce che mi fecero pensare che forse non era così male.
Ma furono distrutte dalle parole di Jenna
"Jamie, non mi interessa se tua madre non ti aspetterà mai dietro ad una porta"
Erano poche ma...brutte, e sembravano piene di cattiveria.
Lui uscì subito dicendo che si era immischiato fin troppo per poi uscire di casa.
-Già, e non voglio che grazie a questa scoperta si rovini anche il loro rapporto. È già attaccato ad un filo tutti i giorni-
Mi dirigo verso le scale per poi uscire di casa.
Era sul marciapiede mentre fumava una sigaretta nervosamente. Mi metto al suo fianco e lui mi da un'occhiata per poi tornare a guardare il bosco davanti a noi.
-Sono sicura che Jenna non voleva dirlo sul serio-
Dico io per dare una pausa a quel silenzio e lui annuisce facendo qualche altro tiro.
-Probabilmente è così, solo che non mi va di essere giudicato da persone mentre sono incazzate per altro-
Detto questo spegne la sigaretta sotto i suoi piedi.
-Già, comunque grazie...per ciò che hai detto su di me. Credevo che tu mi vedessi solo come una madre stressante e conformista-
Ammicca un sorriso alzando le spalle.
-Lo penso ma, come ha detto Jenna, mia madre non mi aspetterebbe mai dietro ad una porta, deve capire che è fortunata in qualche modo-
Mi ritrovo a sospirare guardandomi i piedi.
Alla fine era solo un ragazzo con due genitori assenti, forse c'è un perché dietro ciò che ho visto su di lui, forse non succhia ecstasy dalla pancia di una ragazza solo per fare l'adolescente ribelle.
-Va da lei e dille tutto-
Ammicco un sorriso alzando lo sguardo su di lui. Non tutti sono capaci di camminare in bilico da una finestra all'altra.
-Si chiude a chiave, e non mi farà entrare-
-Ho preso la chiave della sua camera furtivamente mentre uscivo-
Dice tirandola fuori dalle tasche dei pantaloni.
-Vuole che tu le parli, ma allo stesso tempo vuole starsene da sola. Quindi va, e spiegale ogni particolare-
Annuisco guardandomi i piedi. Mi sentivo io l'adolescente indifesa mentre lui l'adulto che cercava di sistemare le cose. Di solito ero io quell'adulto, ma questo crollo e tutto quello che sta succedendo non me lo rendono possibile.
-Grazie-
Alza gli occhi al cielo indicandomi la porta di casa.
A quanto pare non era abituato ad essere Mr aiuto.
Entro frettolosamente in casa per poi avviarmi verso la stanza di Jenna.
Rimango qualche secondo con la mano sulla maniglia per poi mandare in volo tutti i miei dubbi ed aprire la porta.
Mi si spezza il cuore non appena la vedo sul letto con lo sguardo pieno di tristezza.
Si volta verso di me per poi riportare lo sguardo sulla finestra negando.
-Jenna, lasciami spiegare...-
-Mi hai mentito per tutto questo tempo. Tu come ti sentiresti?-
Non potevo rispondere a questa domanda.
Scuote di nuovo la testa evitando di guardarmi.
-Jenna, non sapevo cosa fare, è stato tutto inaspettato-
Annuisce guardandomi dritto negli occhi pieni di odio.
-In effetti mi sembrava strano che una neo donna in carriera volesse avere un figlio-
Abbasso lo sguardo andandomi a sedere al suo fianco. Poso una mia mano sulla sua che ritira all'istante.
Prendo un bel respiro e decido di iniziare, che lei lo voglia o no.
-Andavamo al liceo insieme, lui è di qui, comunque sia...al liceo eravamo migliori amici, poi ci incontrammo anni dopo a New York mentre io stavo semplicemente visitando la città. Lui lavorava li da poco, ma aveva una carriera promettente e anche...una moglie e due figli piccoli, uno di un anno e l'altro di pochi mesi-
La vedo scoppiare in lacrime di nuovo, probabilmente per il fatto che adesso sapeva che aveva dei fratelli. Provo ad abbracciarla cercando di consolarla e con mio stupore non si dimena. Le massaggio la schiena mentre cerca di riprendersi.
-Chi è? Come si chiama?-
Vorrei non poterle rispondere, rivelarle la sua identità è sempre stato un tabù.
-Mamma!-
-John Renton-
Ed ecco che si forma quel silenzio, quasi assordante, in cui mia figlia torna a guardare il vuoto. Ma non è finita qui, la storia non è finita.
-Nacque una storia tra di noi, che per altro durò un bel po', ed io pensavo di amarlo e che lui corrispondesse. Ma quando rimasi incinta di te lui mi disse che aveva moglie e figli e che io ero solo la sua amante, non sarei potuta mai essere altro che quello. Comunque sia abitavo a New York ormai, mi ero trasferita li per lui, e come hai detto tu ero una giovane donna in carriera, perciò decisi di darti in adozione-
Spalanca io suoi grandi occhi verdi identici a quelli di suo padre a quella mia affermazione.
-Cosa? Mamma...volevi mandarmi in adozione?-
Sembra distrutta e l'idea che sia io a ridurla in questa maniera mi fa sentire così miserabile.
-Non sapevo che fare, lui non si fece più sentire ed io non avrei più potuto lavorare con un figlio. Però, al sesto mese, ti sentii scalciare e fu...la sensazione più bella. Continuavi a tirare calci ed io mi emozionai al tal punto di avvisare la coppia che voleva prenderti che era saltato tutto-
Scoppio anch'io in lacrime a quel ricordo. Uno di quei momenti che non potrai mai scordati nella tua vita.
-Mi trasferì in Montana di nuovo, dissi tutto ai nonni e non erano molto fieri di me visto che non gli avevo detto niente. Poi sei nata tu e cambiò tutto, tutta la mia vita, non mi interessava più della mia carriera, ma solo di te e al tuo bene. A tre anni incominciasti a farmi domande su di lui ed io non volevo farti soffrire, non volevo farti sapere che lui ci aveva abbondate perché era una cosa schifosa-
Non so più come andare avanti, lei è immobile mentre guarda il vuoto e vorrei solo poterle leggere nel pensiero. Forse potrà capirmi, in un primo momento anche Jamie non ne voleva sapere di essere padre, ma perfino un diciassettenne è più responsabile di quel bastardo.
A proposito di Jamie, dovevo fare in modo che il loro rapporto non sarebbe andato in mille pezzi.
-Quanto riguarda Jamie...non essere così con lui, si è solo trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quando l'ha scoperto mi ha spronato a parlartene per evitare una situazione come questa-
Forse dovrei andarmene, lasciarla sola a rimuginare su ciò che le avevo appena confessato. Già, forse dovrei fare così.
Mi alzo dal letto cautamente e vado alla porta, mi rigiro verso di lei prima di uscire e la vedo mettersi due mani sul viso scuotendo la testa, per poi sentire di nuovo quel pianto.
-Mamma...-
Mi volto subito non appena sento quella parola.
-Si, tesoro-
-Chiamami Jamie quando esci-
Eh si, adesso era il suo turno e scommetto che andrà molto meglio del mio.
Sospiro annuendo per poi richiudere la porta.
Me lo ritrovo davanti insieme ad Anais e tutti gli altri. Forse aveva ragione lui, questa famiglia era troppo appiccicosa.
Gli faccio segno di entrare.
-Vuole te-
Si stacca dalla sbarra in legno delle scale per dirigersi velocemente dentro la stanza.
Lo vedo andare verso di lei e abbassarsi alla sua altezza mettendo le mani sul suo viso.
Le starà sicuramente sussurrando parole dolci che la faranno calmare e addolcire.
In questo momento attraverserei la sua finestra tramite quella di Jamie solo per vedere cosa si dicono.
Decido di chiudere la porta e lasciarli soli, adesso è lui la persona da cui va quando ha bisogno di coccole e consolazioni ed io dovevo accettarlo in qualche modo.
Avevo detto a Jenna tutto ciò che dovevo dirle da una vita, e sentivo un senso di vuoto diverso dal solito. Avevo detto tutto e mi sentivo bene, per quanto però mi sentivo anche male.
Avevo bisogno di piangere e di essere anch'io consolata e coccolata, avevo bisogno di persone che mi avrebbero detto che andrà tutto bene e per fortuna avevo quelle persone davanti a me, in fila, pronte ad aiutarmi.

******************************************
Capitolo 40 un po' più corto rispetto alle dieci mila parole che faccio di solito (queste sono circa tre mila) ma scrivere dalla parte di Marie mi viene sempre difficile, però mi piace farlo e far vedere anche diverse prospettive🦕❤️
Spero che la storia continui a piacervi nonostante io non sia la persona più veloce ad aggiornare, mi dovete scusare per questo mio particolare...🤫
Continuate a votare e commentare o a scrivermi messaggi in privato (mi fa molto piacere quando lo fate)
Al prossimo capitolo🦇❤️



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