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Door september199six

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Β«A volte siamo semplicemente insalvabili.Β» Cover / logaphile All rights deserved / september199six Meer

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ventitrΓ©
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ventotto (II)
ventinove
trenta
epilogo - utopia
H
ringraziamenti

ventisette

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Door september199six

Home, Aron Wright

Eve ieri si è addormentata tra le mie braccia in un silenzio leggero che ci ha accompagnate per tutta la notte.

Quando ieri sera ho preso il cellulare per avvisare mia madre e per chiederle se se la sentiva di restare da sola mi sono accorta di un messaggio di Darlene. Risaliva a qualche ora prima, dopo il mio primo tentativo di rintracciarla quando ero ancora a casa, inconsapevole di tutto e persa nei miei stessi passi come ogni volta.

Io le ho risposto con la notizia di Chris, facendole credere che quella chiamata fosse partita esclusivamente per quello, e non me ne sono pentita. Mi ha chiesto di Eve e quando ci saranno i funerali, così ci vedremo più tardi. Ha avvertito lei Matt e Alex, anche se entrambi conoscono poco Chris e Eve.

Mi volto verso di lei che è ancora sdraiata, avvolta dalle coperte che ho adagiato sui nostri corpi poco dopo essermi accorta che si era addormentata. Il suo respiro è regolare, ma il suo corpo ai miei occhi appare talmente piccolo e vulnerabile in questo momento da sembrare privo di ogni froza. Vorrei restare ancora con lei, però ho bisogno di tornare a casa per qualche ora. Ho bisogno di vedere mia madre, nonostante tutto ed essere sicura che almeno Evan possa starle accanto anche soltanto metaforicamente oggi.

Francis entra piano nella stanza mentre sto allacciando gli stivali; l'odore di vaniglia è più leggero, ma si sente ancora tra le pareti.

«Dorme ancora» sussurra Francis, dopo aver osservato Eve.

Annuisco brevemente e poi la guardo anch'io. «Credo sia un bene che riposi, finché può.»

«Leyla sta andando a prendere Ginny» mi avvisa, e spero che lei riesca ad avere almeno la forza necessaria per poter affrontare questa giornata senza crollare.

«Io devo andare a casa, ma cercherò di arrivare in Chiesa prima dell'inizio» dico, finendo di legare i lacci del secondo stivale. «È un problema per te restare da solo con lei?»

Francis scuote la testa un paio di volte prima di rispondermi. «Ma certo, Mia. Vai pure, mi prenderò io cura di lei.»

Gli sorrido piano dopo aver recuperato la giacca e la borsa, poi gli appoggio una mano sulla spalla prima di uscire dalla stanza. «Non riesce ancora a rendersene conto, ma ha bisogno anche di te.»

Gli occhi di Francis sembrano velarsi di lacrime per un istante alle mie parole, e poi fa qualcosa che ha fatto poche volte, forse mai. Mi abbraccia, ed è un abbraccio lento, non stretto ma sentito, caldo, che trasmette tanto anche se dura poco. Io lo ricambio, e nel farlo riesco quasi a sentire tutto quello che sta attraversando dentro.

«Grazie per essere corsa qua, Mia.»

Sospiro mentre ci allontaniamo e lo guardo. «Avrei fatto qualunque cosa, lo sai. Spero solo che sia abbastanza.»

È presto e il cielo è ancora piuttosto scuro, sono poche le venature attraversate dai raggi del sole che ancora non è alto come lo sarà tra qualche ora. Mi accorgo che questa notte ha piovigginato grazie alle strade che sono leggermente bagnate e umide; cerco di moderare i miei passi per evitare di scivolare e cadere miseramente.

La metro è quasi vuota, ma ho bisogno di sedermi nonostante ci siano solo poche fermate a dividermi dalla mia. Sono stanca e mi sento tale, come se tutti i muscoli del corpo mi dolessero nello stesso momento; li sento pesanti, le gambe molli e di piombo che si impiantano sulla gomma del vagone. Ho un braccio poggiato sul corrimano al mio fianco, piegato, la mano a sostenermi la testa.

Sorprendo una donna ad osservarmi quando mi accorgo del suo sguardo fisso su di me. Incrocio i suoi occhi e lei li distoglie subito, io sospiro e chiudo i miei perché non ho la forza di fare altro. Sono consapevole di come appaio agli occhi della gente: non ho i capelli in ordine e che i segni sul mio viso sono in grado di rispondere a qualsiasi domanda che possa venirmi posta in questo momento meglio di quanto potrei fare a parole. Ho passato la notte fuori e si vede, ma non sanno il perché e non sanno com'è stata, quanto ha fatto silenziosamente male. Non lo sanno e non lo sapranno, perché non sono tenuti a saperlo.

Mi tocco il colletto della maglia più volte, ci faccio passare le dita dentro in modo circolare cercando di allargarlo almeno un po', perché inizio a sentire di nuovo tutto il peso che mi sono ostinata a tenere fuori dalla mia portata nelle ultime ore. E non parlo di Chris o di Eve, perché fingere in un tale contesto era solamente la cosa giusta da fare.

Mi alzo quando la metro inizia a rallentare in vista della prossima fermata. Sono ancora aggrappata con una mano alla gomma isolante delle porte quando ormai è già ferma; si aprono ed esco lentamente, ci sono soltanto un paio di persone con me. Salgo le scale e poi sono fuori, ma ho bisogno di un istante per fermarmi e lasciarmi investire da una ventata che mi scuote facendomi ridestare.

Prendo il cellulare mentre inizio a camminare lungo la strada, per distrarmi e per controllare che non ci sia altro che mi sono persa, che tutto questo già basta; sembra essere così, perché tutte le icone sono vuote.

Percorro il piccolo vialetto prima di arrivare davanti all'entrata del palazzo; cerco le chiavi nella borsa e dopo qualche secondo sono dentro, poi guardo le scale ma alla fine vado verso l'ascensore, perché non ho neanche la forza di guardarle. Le porte si chiudono e inevitabilmente vedo il mio riflesso nello specchio davanti a me. Forse quella donna aveva ragione a fissarmi nella metro: i capelli sono quasi completamente piatti sulla testa, cadono lisci sulle spalle e oltre; tengo le ciocche dietro entrambe le orecchie e il mio volto è ancora più visibile, insieme agli occhi marcati e vuoti, le labbra leggermente screpolate.

Quando l'ascensore si ferma e le porte si aprono quasi sobbalzo, perché mi sono persa di nuovo, ed è successo tutto nel giro di pochi istanti. Esco sul pianerottolo e non sono sicura di quello che potrei trovare dietro la porta a cui sono davanti, di quello che mi aspetta, e se possa essere anche peggio di quello che mi aspetterà dopo, in questa giornata che è iniziata soltanto da poche ore e che a me sembra infinita.

«Io vado, allora» dico a mia madre mentre esco dalla mia stanza. È ancora in cucina e tiene una tazza di tè tra le mani.

«Mi fai sapere quando torni?» mi domanda, e in questo momento riesco a vedere soltanto una donna vulnerabile e sola che si sente tale senza poter cambiare nulla.

Annuisco. «Ti scrivo un messaggio più tardi. Evan dorme ancora.»

«Lascialo dormire, lo sveglierò io più tardi» mi rassicura. «Vai pure, Mia, e abbraccia Eve anche da parte mia.»

Sistemo la borsa sulla spalla e con solo un ultimo cenno la saluto, prima di uscire di casa ancora una volta. Le scarpe alte che indosso mi limitano il passo, perché vorrei poter camminare più velocemente, ma poi mi rendo conto che ho anche bisogno di fermarmi. Ho bisogno di calma, di riprendere a respirare come sono riuscita a fare ieri sulla spiaggia prima che Francis mi chiamasse. Controllo l'orario sfilando il cellulare dalla tasca del cappotto; constato che posso permettermi di camminare più lentamente, di prendermi il mio tempo per elaborare tutto, per immaginare in quale modo questa giornata finirà.

Scendo le scale mobili della metro senza sorpassare nessuno. È la prima volta che succede, che mi prendo davvero del tempo, che non penso a quanto potrei perdere se non lo faccio, perché oggi a perdere qualcosa non sono io.

La metro passa quasi subito, mi è toccato aspettare soltanto qualche minuto. Ogni tanto, quando sono ormai dentro, controllo che ore siano perché voglio arrivare prima che la funzione inizi. È già la seconda volta oggi che sono seduta su questi sedili, e a me sembra che siano passate molte meno ore da quando l'ho presa stamattina; come se il tempo improvvisamente si fosse fermato e io fossi qui di nuovo, ma soltanto vestita diversamente, meglio. Come se il frangente in cui sono tornata a casa non sia mai esistito.

I tacchi risuonano mentre esco, e sono costretta a tornare indietro quando mi rendo conto che le scale sono fuori uso e devo quindi prendere l'ascensore. È piccolo e buio, e nonostante non siamo in molti a me inizia a mancare l'aria. Chiudo gli occhi e inclino la testa, come a sollevare lo sguardo verso l'alto, poi sospiro e appena le porte si aprono corro fuori, questa volta superando chi si trova davanti a me facendomi spazio per poter uscire al più presto. Quando sono fuori rilascio un altro sospiro e anche il cuore inizia a battere più lentamente; mi porto una mano sul petto e aspetto ancora qualche secondo prima di lasciare la stazione per andare in Chiesa. .

Leyla tiene Ginny per mano, non la lascia mai andare. Sa quello che è successo a suo padre; forse non lo ha compreso ancora pienamente, ma lo sa.

Io sono ancora con Eve in una piccola stanza dietro l'altare, ma da qui riesco a vedere la Chiesa riempirsi sempre di più. Usciremo quando Eve sarà pronta per farlo, per affrontare tutte le persone che dal momento in cui metterà piede fuori da questa stanza la assaliranno credendo di avere delle buone intenzioni.

Francis torna da noi. «Mancano pochi minuti.»

Sposta lo sguardo da Eve a me, dato che lei non risponde subito. Guarda prima me e le sorrido debolmente e lei, rassicurata, alza lo sguardo su Francis.

«Dammi solo qualche altro secondo e poi usciamo.»

Francis annuisce, ma l'espressione sul suo volto fa male persino a me quando lo guardo. So come si sente: vorrebbe non essere stato tagliato fuori e stare costantemente vicino a Eve; so che sta facendo di tutto per tenere insieme i pezzi e resistere per lei.

Quando restiamo di nuovo da sole, mi volto verso Eve. «Non voglio dirti cosa fare, ma credo che lasciar entrare Francis possa soltanto aiutarti.»

Lei mi guarda con con gli occhi così vuoti e marcati che nonostante il trucco sarebbero [sono] impossibili da nascondere. «Penso che dovremmo uscire» dice poi, la voce roca che s'incrina dal principio.

Sospiro e poso una mano sulle sue. Mi guarda con un accenno di consapevolezza in più, malgrado le lacrime immobili agli angoli degli occhi. «Ce la farai, Eve.»

Eve annuisce velocemente serrando le labbra, mi stringe piano la mano. «Resta con me» sussurra. Le sorrido con il cuore a pezzi e le sfioro la guancia.

«Sempre

La Chiesa è gremita, e ho intravisto Darlene, Matt e Alex durante l'inizio; erano tutti nelle file più in fondo, quasi alla fine della navata. Ginny ha pianto, ha cercato di contenersi in singhiozzi lenti e soffocati, ma è riuscita comunque ad arrivare ai cuori di tutti. Leyla l'ha tenuta tra le braccia per tutto il tempo, il viso che si contraeva spesso, perché non vuole saperne di crollare qua, davanti a tutti e alle sue figlie. È tanto forte, ma spero che tutto il dolore contenuto qui, oggi, e nei giorni che verranno non le si riverserà e ritorcerà contro, investendola e devastandola senza darle neanche la possibilità di rendersene conto, di prevenirlo.

Quando la funzione finisce io sono qualche passo indietro rispetto a Eve, mentre usciamo dalla Chiesa. Alzo lo sguardo verso il punto in cui dovrebbero esserci Darlene e gli altri, ed è solo adesso che mi accorgo della presenza di Harry. Sento il cuore fermarsi per un istante ed i miei piedi fanno lo stesso. Mi guarda anche lui, avvolto nel nel suo cappotto scuro con entrambe le mani nelle tasche e i capelli sollevati verso l'alto. Dischiudo le labbra e soltanto dopo mi ricordo che il tempo si è fermato solo per me; mi ricordo che siamo ancora qua, e che c'è anche lui.

Scuoto piano la testa e sbatto le palpebre un paio di volte riprendendo a camminare. Mi chiedo da chi lo abbia saputo, cosa abbia pensato e come la stia vivendo, nonostante conoscesse Chris poco meno di me. Ma sapere che è qua mi distrae [sapere che è qua però mi distrae e mi destabilizza, perché non so come comportarmi, se dovrei andare da lui o meno. Sono passate quasi due settimane da quando ci siamo visti. Non so come stiano realmente le cose tra di noi, al momento; solo che rivederlo, anche da lontano, mi fa sentire bene. Mi fa sentire come se il sangue fosse tornato a scorrermi nelle vene, come se fossi stata rinchiusa in una bolla e lui l'avesse distrutta per permettermi di uscire, per farmi tornare a respirare.

L'aria che mi leviga le guance non appena usciamo nel cortile della Chiesa è quello di cui avevo bisogno per riuscire a smettere di pensare per qualche istante a Harry. Eve al mio fianco cerca la mia mano e io gliela stringo piano, mentre camminiamo ancora un po' prima di fermarci. Le persone iniziano ad avvicinarsi e tutti sapevamo che era inevitabile, che sta alle persone provare a rendersi conto di quanto nessuna parola adesso sarà in grado di essere ascoltata davvero.

Io sono ancora vicino a Eve, e quando la folla sembra diradarsi, si avvicinano anche Darlene e Matt, seguiti da Alex. La abbracciano tutti, uno dopo l'altro, tenendola un po' tra le braccia finché non è lei ad allontanarsi. Darlene abbraccia velocemente anche me, mi lascia un bacio sulla guancia prima di sorridermi e tornare verso l'altra parte del cortile. Matt mi sfiora la spalla, Alex mi sorride.

Quando rivolgo nuovamente lo sguardo dinanzi a me, vedo Harry avvicinarsi. Mi guarda diverse volte mentre cammina. Una volta di fronte a Eve, la prende tra le braccia e porta una mano dietro la testa per avvicinarla ulteriormente a sé. Sento il cuore tremare mentre li guardo, perché conosco quella stretta e mi manca come qualcosa che hai avuto il privilegio di avere e che poi ti è stata strappata.

«Mi dispiace tanto» sussurra Harry, sollevando alla fine lo sguardo su di me brevemente prima di distoglierlo. Mi chiedo se anche io sembri sempre così piccola e vulnerabile tra le sue braccia.

Eve annuisce mentre si allontana e poi la vedo passarsi una mano sul volto per catturare una lacrima solitaria. Harry le sorride dolcemente e le accarezza la spalla un'ultima volta prima di prima di riservare un'ultima occhiata a me e andare verso Leyla e Ginny e poi a Francis, poco distante da noi. Non riesco a fare a meno di osservarlo, e so che lui ne è consapevole, che i miei occhi su di sé li sente allo stesso modo in cui io sento il suoi quando non sono rivolta verso di lui. Ho il cuore pesante e ho il respiro irregolare. Non sono sicura di sapere cosa mi stia succedendo, ma devo allontanarmi da qui. 

Appena posso, dopo aver lasciato Eve con Leyla, mi apparto. Cerco un posto in chi tutte le voci diventano lontane e di sottofondo, ma dove al contempo posso continuare tenere gli altri sott'occhio senza che loro, però, possano vedere me. C'è un vento leggero che scuote le foglie degli alberi fino a farle precipitare al suolo, spostando quelle che hanno già toccato terra. Sono scossa da un brivido improvviso e mi stringo di più nel cappotto, poi una voce che mi era mancata più di quanto mi mi piaccia ammettere mi fa voltare.

«Ciao, Mia.» È Harry, e una parte di me sapeva che sarebbe venuto, anche se sarei dovuta andare io da lui. L'altra parte lo sperava, perché ancora troppo orgogliosa e insicura per poterlo fare davvero.

«Ciao, Harry» sussurro accennando un sorriso, con le braccia incrociate al petto per ripararmi dal freddo.

«È stata una bella cerimonia» dice, e io annuisco guardando in basso.

«Lo è stata, ma credo che non abbia compensato il vuoto per la perdita.»

«Quello non lo colmerà nessuno» risponde Harry, ed io resto ad ascoltarlo con la pelle ricoperta di brividi. Sulle braccia, le gambe, la schiena. «È un genere di vuoto che resta lì e che ti intrappola al suo interno.»

Restiamo a guardarci senza dire niente perché lui sa già tutto. Poi sorride, e lo fa con quel sorriso che mi fa mancare la terra sotto ai piedi. «Come lo hai saputo?»

«Darlene» dice, senza spostare neanche per un secondo gli occhi dai miei. «Ero al Midnight quando lo ha detto a Matt.»

Dal modo in cui mi guarda e parla capisco che c'è ancora qualcosa, che tiene dentro troppe parole non dette.

«Ma avrei preferito saperlo da te, Mia.»

Sapevo che l'avrebbe detto, perché forse ha ragione, forse avrei dovuto essere io ad avvisarlo, avrei dovuto pensare che lui avrebbe voluto saperlo.

«Sono subito corsa da Eve e sono rimasta con lei fino a questa mattina, non ne ho avuto il tempo.»

Harry mi guarda, gli occhi verdi che quasi mi bruciano l'anima. Sta cercando di trattenersi, ma arriva anche lui a un punto di non ritorno. «So quello che stai facendo, Mia, ed è esattamente lo stesso che sta facendo Eve con Francis. Non puoi consigliarle qualcosa che neanche tu sei in grado di fare.»

Capisco che ha già parlato con Francis dalle parole che dice. «Non lo fare, Harry, perché non è la stessa cosa e lo sai.»

Un sentimento di rabbia mi sfiora fino ad appropriarsi del mio corpo, a farmi parlare come se Harry non fosse più davanti a me.

«Tu non hai idea di come sia stato, e non hai nessun diritto di saperlo.» Capisco troppo tardi di aver toccato il fondo, perché mi rendo conto che l'unica a non averne il diritto, in realtà, sono io.

L'ho ferito — ancora — allontanandolo da me e spingendolo via con tutta la forza che neanche ho, ma è questo il mio problema e non so come rimediare. Abbassa la testa e poi la risolleva, volgendola verso sinistra. Ci sono ancora tante persone intorno a noi; persone che aspettano il loro turno per arrivare a Eve, a Leyla o Ginny.

«Io...» inizio, muovendo anche le mani e cercando di non apparire così vulnerabile e debole, ma di fronte a me c'è sempre Harry e al momento, per quanto possa essere paradossale e contraddittorio, per quanto ci siamo detti e ci diremo, lui resterebbe la mia àncora di salvezza se arrivassi sul punto di crollare. «Dovrei tornare da Eve.»

«Aspetta» dice ancora, prima di riuscire a voltarmi completamente. Mi trattiene il braccio piano, le dita avvolte attorno al polso. «Come stai?»

Io per qualche secondo sorrido, distogliendo lo sguardo da lui e scuotendo piano la testa, poi torno a guardarlo e scrollo le spalle. «Sto.»

Faccio di nuovo per andare via, ma dopo mi fermo e torno a guardare Harry. «E tu? Tu come stai?»

Harry sorride piano, con le mani di nuovo nelle tasche del cappotto, poi scrolla anche lui le spalle. «Lo stesso.»

È incredibile il modo in cui riusciamo sempre a recuperarci e a salvarci come se — apparentemente — non fosse successo nulla, come se qui fossimo insieme.

Ci guardiamo ancora per qualche secondo prima che io spezzi quel contatto e lasci solo lui a guardarmi andare via. Vado di nuovo verso l'interno della Chiesa perché sento la gola secca e perché ho bisogno di prendermi una pausa. Raggiungo la piccola stanza in cui eravamo io e Eve prima dell'inizio della funzione, dove sul tavolo davanti alla parete c'è ancora la bottiglia d'acqua che ha portato Francis per Eve.

Recupero un bicchiere e verso l'acqua, la gola quasi mi brucia quando questa la attraversa. Me ne verso ancora e poi mi appoggio al tavolo, con entrambe le mani aggrappate ai contorni. Mentre chiudo gli occhi per pochi istanti sento dei passi, e solo quando varca la soglia vedo che si tratta di Francis.

«Ti cercavo» dice non appena mi vede, e io mi allontano di scatto dal tavolo.

«È successo qualcosa?»

Francis fa segno di no col capo. «Non in questo momento, ma devo dirti una cosa.»

«Dilla, Francis» lo incito, perché un brutto presentimento sta iniziando a farsi spazio nella mia mente.

Lui sospira e poi si avvicina a me, io non distolgo mai gli occhi da lui.

«Stamattina, dopo che tu sei andata via e Leyla è tornata, ha parlato ad Eve di un possibile trasferimento» inizia Francis, e fa una pausa prima di continuare, dopo avermi guardata e aver visto il modo in cui la mia espressione è mutata dopo l'ultima parola. «Non sono costrette e non lo hanno deciso ancora, ma Leyla ha pensato a questa possibilità per poter permettere ad Eve e a Ginny di ricominciare.»

«E dove andrebbero?» Se si trattasse di un trasferimento non molto lontano da Bath potremmo lo stesso continuare a vederci; forse non spesso come abbiamo sempre fatto, ma un modo lo troveremmo.

«A Leeds, dove Leyla ha lasciato la sua famiglia prima di trasferirsi a Bath per Chris.» Leeds. È a ore di distanza da Bath.

«Eve cosa ne pensa?» chiedo a Francis, cercando di non essere egoista e di sperare e volere solo il meglio per lei, ma una parte di me non indifferente spera che decida di restare.

«Non ha detto molto, e al momento non sembrava neanche troppo propensa ad andare via da Bath» dice, scrollando le spalle. «Ma tu sai com'è Eve.»

Io annuisco e incrocio le braccia al petto, poi sospiro. «E tu? Cosa faresti se decidessero di farlo?»

Anche Francis sospira e si avvicina al tavolo dietro di me per appoggiarvisi. Mi guarda negli occhi prima di rispondermi, e io penso di sapere già quello che dirà. «Penso che andrei con lei.»

Muovo piano la testa annuendo e serrando le labbra, perché mi aspettavo questa risposta. È quella giusta.

Francis mi dice di aspettare che sia Eve a parlarmene. Ha pensato di darmi un preavviso cosicché sia per me più facile prepararmi a quell'eventualità se Eve prendesse una decisione definitiva a riguardo. Non voglio credere che se ne vada, non dopo tutto quello che abbiamo passato, non dopo tutto quello che ci unisce indissolubilmente.

Io e Francis usciamo insieme dalla piccola stanza, poi si volta verso di me un'ultima volta con un sorriso comprensivo prima di tornare da Eve, che è insieme a Leyla e ad un'altra donna che non conosco.

Il mio istinto mi implora di cercare Harry, di lasciare che legga tutte le parole che mi porto dentro e che non riesco a dire, ma sarebbe un atto egoistico e non posso farlo, non oggi e non qui.

Sento qualcun altro chiamarmi per la seconda volta oggi, solo che in questo momento non riesco ad associare la voce alla persona che ho davanti finché non la vedo.

«Dottor Welson» dico sorpresa, perché non mi sarei mai aspettata di rivederlo in queste circostanze. «Conosceva Chris?»

Welson annuisce e le sue labbra si curvano in un sorriso malinconico; indossa un completo scuro con un cappotto lungo al di sopra. «Era un grande amico per me, non era semplicemente un paziente dell'ospedale.»

«Era una bella persona» affermo, e lui annuisce ancora. Ha subìto una grande perdita anche se tenta di non darlo a vedere. Alza di nuovo lo sguardo su di me e accenna un sorriso. «Ti trovo bene.»

Mi esce una risata spontanea dalla bocca, piccola e ironica, e Welson se ne rende conto. «Ho appena scoperto che Eve probabilmente si trasferirà, quindi sì, è giusto che lei mi trovi bene.»

Welson sa quello che Eve è per me, perché quando sono stata in clinica e ha visto chi è venuto mi ha chiesto cosa rappresentasse ognuno di loro per me. Riguardo a Harry non mi ha però chiesto niente, perché non lo ha visto arrivare; ricordo di essergli stata grata, perché non avrei saputo in che modo rispondergli. Non sapevo cosa Harry fosse per me, e forse non lo so neanche adesso. 

«Però sei qui, pezzo per pezzo, intera» dice, e quando pronuncia l'ultima parola sono scossa da un brivido, mentre lui mi sorride piano contraendo le labbra.

Si avvicina leggermente dopo che quando continuo a guardarlo senza dargli una risposta. «Dipendi solo da te stessa, Mia. Sei crollata ma ti sei rialzata, e puoi ancora farlo. Abbi sempre quel briciolo di forza che ti permetterà di cadere con le braccia davanti al volto prima di toccare il fondo.»

A/N

Scrivere questo capitolo è stato più difficile di quanto immaginassi già, ma spero che l'attesa ne sia valsa la pena e che vi abbia lasciato qualcosa.
Fatemi sapere in ogni caso cosa ne pensate e cosa vi aspettate dai prossimi 🦋

—3!!!

[credo che non abbia mai scritto un capitolo così lungo dai tempi di Shelter probabilmente]

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