「O V E R L A Y」

By octawas

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Luhan e Sehun non potrebbero mai essere più diversi l'uno dall'altro. Uno il tipico sfigato in ambito sociale... More

「O V E R L A Y」
Prologo
Capitolo 1
Capitolo 3

Capitolo 2

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By octawas

Luhan.

Quando aprì gli occhi e inquadrai l'orologio sulla parete, erano già le sei meno un quarto del pomeriggio. Cavolo, ma quanto avevo dormito?

Dopo aver fatto una breve perlustrazione della casa, e controllato che quelli del trasloco avessero portato tutto, mi ero appisolato un attimo sul divano. Ma proprio un attimo eh.

Lasciai perdere, alla fine mi alzai barcollando dal divano e andai in cucina con l'intento di prendere qualcosa da mettere sotto i denti dal frigo.

Ma appena lo aprì e mi resi conto che era completamente vuoto, ritornai coi piedi per terra.

Merda, in quella casa a parte i mobili e qualche robaccia che avevo tolto dalla scatola che mi ero portato dietro non c'era niente.

Forse nei giorni successivi avrei dovuto comprare qualche soprammobile.
Ma in quel momento, dovevo andare a comprare del cibo, se no lì ci morivo seriamente.

Andai nella camera da letto, dove c'erano alcuni scatoloni con dei miei vestiti, cambiai la maglia e poi andai alla ricerca di dove avessi lasciato il portafoglio, lo trovai nella borsa coi vestiti che avevo lasciato sul tavolo. Lo cacciai nella tasca posteriore dei jeans, presi il telefono e uscì di casa.

Il corridoio era completamente vuoto, come quella mattina, ma in quel momento mi soffermai di più ad osservarlo. I muri erano di un elegante grigio chiaro, dal soffitto pendeva qualche lampadario con decorazioni in vetro e tra le porta era disposto un mobiletto con dei vasi di fiori bianchi sopra, insomma, gusto raffinato direi.

Mi avvicinai all'ascensore e schiacciati il bottone, le porte si aprirono e io entrai subito, mi appogiai alla ringhiera dietro e mentre le porte si chiudevano vidi quella del mio vicino, la numero trecento quattro.

Mi chiedevo che ci facesse un tipo come lui in un palazzo del genere. Dal suo abbigliamento non mi sembrava che spruzzasse soldi da ogni poro.

Scrollai la testa, non volevo pensarci. Non a lui. È stato veramente sgarbato, cavolo, io mi stavo per presentare, cosa che, tra parentesi, non avevo mai fatto! E va be', pazienza, la mia vita sociale non era mai stata tanto attiva, come se la cosa poteva cambiare da un giorno all'altro.

Le porte dell'ascensore si aprirono, e io sgattaiolai fuori. Presi il mio telefono e controllai su Google Maps se ci fosse qualche supermercato lì nei dintorni, ma l'unico che trovai era quasi a sette isolati da lì.

La prossima volta avrei dovuto trovare qualcosa di più vicino, ma quella sera proprio non mi allettava l'idea di andare in qualche ristorante e mangiare solo come un cane, quindi quello andava più che bene.

Dopo più di un'ora, e dopo vari vicoli ciechi, arrivai finalmente a quel stramaledetto supermercato. Presi un carrello ed entrai.

Al ritorno era stato più facile, almeno per la strada, quella me la ricordavo, mentre quelle quattro buste invece pesavano una tonnellata e si era fatto quasi buio. Sul serio, non c'era un supermercato più vicino?

E io stavo svenendo dalla fame, era dalle nove di quella mattina che non mangiavo niente, mi sentivo un buco nello stomaco, e pian piano stava diventando una voragine.

Quando sarei finalmente tornato a casa mi sarei preparato un bel panino a quattro strati, perché in effetti, io non sapevo cucinare.

Pensavo non sarebbe stato un problema, che avrei imparato col tempo, ma avevo la netta sensazione che avrei mangiato panini per un po'.

Mentre stavo ancora fantasticando su cosa mi sarei mangiato una volta tornato a casa, mi accorsi che mi stavo avvicinando al mio palazzo.

E che sul marciapiede davanti al portone, c'erano due persone che se la stavano dando a suon di lingue, se avessero scopato lì sul posto credo sarebbe stato meno osceno.

Mi fermai per un attimo a qualche metro di distanza, forse non si erano resi conto che si trovavano in pubblico e che non era esattamente il posto più adatto del mondo dove ficcare la lingua su per la gola a qualcuno.

Dopo qualche attimo, come se avesse avvertito la mia presenza, la troia in minigonna si stacco dal ragazzo davanti a lei mostrandomi la faccia di colui che fino a qualche secondo prima si slinguazzava alla grande, per poi andare alla macchina sportiva parcheggiata dietro di lei.

Aprì la portiera ed entro nel veicolo con fare lascivo, mentre il ragazzo... Aspetta, il ragazzo mi stava guardando?

Il mio nuovo maleducato vicino, di cui ancora non sapevo il nome, se ne stava lì in mezzo al marciapiede a fissarmi come se gli avessi fatto un torto. Sta volta era vestito in modo elegante, con una camicia bianca sbottonata un po' sul davanti e una giacca grigia. Aveva i capelli tirati all'indietro in modo spettinato, ma cazzo se li stava bene tutto a quel tipo.

Ricambiai il suo sguardo un po' confuso, ma in quel momento la troia parlò. 《Sehun?》 Chiese con voce stridula sbucando con la testa dal finestrino.

Subito smise di guardarmi ed entrò in macchina a sua volta, dalla parte del guidatore. Ah, quindi era maggiorenne. Mise in moto la macchina e sfrecciò via sparendo subito dalla mia visuale.

Rimasi un attimo a guardare la direzione in cui lui e la sua troia erano spariti, poi scrollai la testa. Ma che cavolo era appena successo?

Due settimane più tardi.

Erano passate circa due settimane da quando mi ero trasferito in quel nuovo appartamento, e forse avevo finalmente imparato a cucinare qualche pasto commestibile, grazie a dei video culinari dove ti spiegavano passo per passo quello che dovevi fare.

Avevo rischiato di mandare a fuoco più di una volta quella povera cucina, ma ne era valsa la pena. Più o meno. Quasi ogni sera finivo per ordinare la pizza e buttare i miei esperimenti dritti dritti nel bidone della spazzatura. Certe cose nemmeno un cane sarebbe in grado di mangiare.

Qualche giorno mi è capitato di prendere l'ascensore insieme al mio vicino scorbutico. Ogni tanto ci è sfuggito qualche timido saluto da parte mia, e seccato da parte sua, ma non abbiamo mai parlato davvero.

Mi chiedevo il perché del suo strano comportamento la sera in cui ero arrivato, ma forse mi ero immaginato tutto io.

Ho conosciuto anche gli altri vicini. Cioè, "conosciuto" è una parola grossa, diciamo visti o salutati, o in alcuni rari casi presentati.

Nel appartamento di fianco al mio, il numero trecento sei, viveva una simpatica coppietta di vecchietti, che una volta avevo aiutato con dei grossi scatoloni che dovevano buttare via. La nonnina si era offerta di prepararmi delle crepes veramente buone che mangiai con gusto, non credevo ci vivessero persone simili in quel palazzo.

Nei altri due appartamenti sparsi per il corridoio invece vi erano una madre con due figli, mai visti, ma ogni tanto la sentivo lamentarsene al telefono, e nell'altro una giovane coppia che ogni tanto sorpresi amoreggiare nel ascensore, cose da farti vomitare anche quello che hai mangiato la sera prima a parer mio.

In quei giorni avevo pian piano arredato la casa con qualche soprammobile comprato in giro per i negozi nelle varie uscite in centro per esplorare la grande città, avevo anche scoperto dei posti carini dove poter ordinare il cibo o anche solo venirci a mangiare da solo, e un supermercato, grazie a dio, più vicino. Venti o trenta minuti da casa.

Ma quella sera non potevo starmene tranquillo sul mio bel divano in pelle, con un fetta di pizza in mano, a guardarmi qualche vecchia puntata delle mie serie TV preferite che mandavano in onda a quell'ora. No, sarebbe stato troppo bello.

Quella sera mio padre era venuto in città e si era ficcato in testa di uscire per cena. Io, lui e la sua fantastica e adorata moglie, in un nuovo ristorante di lusso aperto da poco lì in centro.

La vista dalle grandi vetrate su tutta la città nella sala era mozzafiato, dietro di me, che ho avuto occasione di vedere solo quando sono entrato. Purtroppo l'unico panorama che potevo ammirare in quel momento era composto da mio padre, che aveva l'area stanca ma era comunque tutto sorridente e in ghingheri, e dalla mia matrigna, che li stava talmente appiccicata da poter far invidia ad un polpo.

Era passata più di mezzora, e non facevano altro che parlare di lavoro, di loro due e di quanto mio padre fosse stato fortunato ad averla incontrata.

Ma dico sul serio, non vedi tuo figlio da più di due settimane e quando finalmente lo incontri lo ignori completamente?

Un cameriere si avvicinò al tavolo con la prima portata che mise davanti ai due spasimanti, poi tornò di nuovo con il mio piatto.

Appena il cameriere se ne andò mio padre decise che era giunto il momento di considerare anche suo figlio. Ma forse era meglio se non apriva la bocca.
《Senti Luhan, non ti sei già stufato di vivere da solo?》 Chiese in tono quasi triste. Che?

《Lo so che è passato poco tempo, ma a me e a tua madre manchi. Che ne diresti di tornare a casa? Magari potresti continuare ad andare in quella stupida scuola che ti sei scelto in treno, oppure farti accompagnare con l'autis-》

《Lei non è mia madre.》 Sibilai a denti stretti. Ma che stava dicendo? Era quello il motivo per cui aveva organizzato la cena? Per farmi tornare a casa?

《Luhan. Ne abbiamo già parlato.》Disse in tono autoritario. Ne abbiamo già parlato un corno. Lei non era mia madre, e non lo sarebbe mai stata. Cavolo quella donna mi odiava!

《Ma se era stata una vostra decisione farmi vivere da solo!》 Sbottai d'un tratto. Quella situazione era assurda. Non aveva senso.

《Lo so, ma a io e Hea-Young ci siamo accorti che ci manca avere nostro figlio in giro per la casa. Ti sto dicendo che mi manchi, non sei contento?》

Se ero contento? Ma se per quattro anni non aveva mai pensato a me, e adesso se ne esce fuori con quella stronzata?

《Papà, ma che stai dicendo? Che sta succedendo qui?》 Chiesi alzandomi in piedi e poggiando le mani sul tavolo.

Mio padre guardò preoccupato prima la puttana, che se la stava sogghignando alla grande e poi spostò lo sguardo su di me. Aspetta, perché stava sorridendo? La stronza mica mi voleva a casa, per quasi tre mesi ha affermato tutto il contrario, e adesso stava sorridendo? No, qui qualcosa non tornava.

Sospirò, poi con voce stanca, come se tutta l'allegria di prima fosse sparita, disse 《Siediti figliolo. Dobbiamo dirti una cosa.》

Lo guardai in modo scettico, poi contro voglia mi sedetti. Cos'era quella storia? Lo sapevo che era una balla quella di prima. Figurati se gli mancavo.

《Ecco... Volevamo che tu tornassi a casa per presentarti una persona. Un mio caro amico di data ha deciso di trasferirsi vicino a noi, nella casa che hanno messo in vendita.》 Disse, con un nuovo sorriso speranzoso.《E cosa centra con me?》Chiesi confuso.

《Lui ha una figlia, della tua stessa età, che verrà ad abitare insieme a lui e sua moglie.》Disse. Non stavo esattamente capendo dove volesse andare a parare. Una figlia? E quindi?

《Io e Yongun ci siamo ritrovati qualche mese fa, ma questa proposta è saltata fuori solo recentemente.》Disse. Di quale proposta stava parlando? Glielo stavo per chiedere quando lui ricominciò a parlare 《Be', sua figlia è bella ed educata, avete la stessa età, potrebbe diventare una brava moglie per te.》

Lo fissai per un attimo sbalordito. Non volevo credere alle mie orecchie. Quindi era di questo che si trattava, huh? Un matrimonio combinato, con la figlia di qualche riccone del cazzo.

Figurarsi se per una volta aveva pensato a suo figlio, no, a lui importava solo dei soldi, come alla puttana di fianco a lui per il resto. Ed ecco spiegata la ragione per cui sorrideva, quale altro fantastico modo c'era per liberarsi di me senza dover sborsare alcun soldo?

Mi alzai di nuovo, ma sta volta non ero minimamente intenzionato a risedermi. 《No.》Risposi solamente, per poi aggiungere 《Non ho alcuna intenzione di sposarmi, ho solo diciassette anni!》 Gli urlai addosso.

Tutti i presenti nella sala si girarono verso di noi. Stavo decisamente attirando l'attenzione, ma non me ne poteva interessare di meno. Mio padre si era bevuto il cervello, e io alle sue cazzate non ci volevo più stare.

《Infatti, vi sposerete l'anno prossimo quando lei compierà diciott'anni.》Disse semplicemente, come se fosse la frase più normale del mondo a dire ad un figlio.

《Ma hai mai provato a pensare almeno una volta a quello che vorrei io? Non voglio sposare una sconosciuta qualunque, non voglio tornare a vivere con te e la tua amante del cazzo, io non voglio niente di tutto questo!》Gli sbottai addosso, mi sentivo accaldato, e la faccia tutta rossa. Non avevo mai parlato a mio padre in quel modo, ma non avevo più nessuna intenzione di accontentarlo in tutto e per tutto.

《Attento a come parli.》 Fu la sua unica risposta e a quel punto non ce la feci più. Buttai da un lato la sedia e mi incamminai verso l'uscita incazzato come non mai.

Mi sentì afferrare per un gomito e mi girai verso mio padre. 《Che stai facendo?》Mi chiese com un tono duro. 《Me ne vado, non si vede?》Mi liberai dalla sua presa e continuai a dirigermi vesto l'unica uscita della sala tutta addobbata a tema.

Una volta fuori iniziai a camminare nella direzione da cui eravamo arrivati con la macchina, cercando di ricordare la strada che avevamo percorso da casa mia. Presi a calci un sasso per la frustrazione e cercai di non pensare, di non pensare a niente.

Si era fatto buio, ed i lampioni di tutta la città si erano accessi. Controllai l'ora sul telefono, erano quasi le dieci di sera, e io forse mi ero perso.

Dopo quasi mezz'ora di cammino mi ero avvicinato di più ad una zona che conoscevo, ma tutto d'un tratto iniziò a piovere. Che bello, una giornata più merdosa di quella non ci poteva essere.

Mi tirai la giacca sulla testa, cercando di ripararmi come meglio potevo. Andai sotto un sottotetto ed aspettai che diminuisca la pioggia.

Forse era passata un'ora, o anche di più. La pioggia non dava segni di voler cessare, quindi ripresi a camminare tra i vicoli finché non arrivai al mio quartiere.

Tirai fuori le chiavi ed entrai nel mio palazzo in fretta, il corridoio era buio ed illuminato solo dalla luce dell'ascensore aperto. A quanto pare non ero l'unico a tornare a quell'ora a casa.

Affrettai il passo ed entrai prima che le porte si chiudessero. Mi ritrovai davanti il mio vicino scontroso che nel vedermi aggrottò le sopracciglia, come terribilmente infastidito che l'ascensore non sia partito prima che potessi entrare.

Sì, be', anch'io ero infastidito. Quindi me ne fregai della sua espressione e mi girai, e anche se era già illuminato, schiacciai il pulsante del diciottesimo piano.

Sebbene me ne fregassi della sua espressione, mi ritrovai davanti agli occhi il suo riflesso nello specchio. Aveva addosso un doppiopetto grigio chiaro, con sotto una maglietta scura che spuntava dal colletto. Buon dio, ma a quel ragazzo stava davvero bene proprio tutto, poi con quei capelli spettinati sembrava uscito da una rivista di moda. Al posto suo vestito in quel modo sarei sembrato ridicolo.

Mi dovetti ricredere, se si vestiva in quel modo ogni sera di sicuro un appartamento in un posto come quello se lo poteva permettere eccome.

Mi accorsi che lo stavo fissando, di nuovo, e forse questa volta un po' troppo. Distolsi lo sguardo da lui e guardai il mio riflesso, ero bagnato dalla testa ai piedi e stavo gocciolando per terra. Con una mano portai all'indietro i capelli bagnati che mi finivano negli occhi, e a quel punto notai che mi stava guardando, non dietro le spalle ma nel riflesso dello specchio davanti a noi.

Aveva uno sguardo intenso, e non sembrava minimamente intenzionato a distoglierlo, quindi lo feci io, sentendomi un attimo a disagio.

Il pannello dell'ascensore segnalò che avevamo raggiunto il nono piano. Mi tamburellai le dita sulla gamba coperta dai jeans bagnati, aspettando di vederlo salire fino al diciottesimo, per liberarmi da quella situazione imbarazzante.

Continuai ad aspettare. E ad aspettare...
L'ascensore sobbalzò come se fosse mancata la corrente. L'abitacolo diventò buio e io rimasi senza respiro, mentre il terrore si impossessava di me.

《Fantastico.》Disse il ragazzo alle mie spalle. 《Semplicemente fantastico, cazzo.》

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