Dies Sanguinis

By MissAngorian

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[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercat... More

Prologo dell'Inizio e della Fine
~1~ Ombre nella foresta
~2~ Nebbia e polvere
~3~ Il Veleno del Sole
~4~ Il Reggente di Londra
~5~ Il canto del sangue
~6~ Conseguenze
~7~ L' ago del dolore
~8~ Respirare te
~9~ Princeps legionis
~10~ Crimini come desideri
~11~ La fanciulla bianca
~12~ Elegia del passato
~13 ~ Lame sottili
~14~ La via del ritorno
~15~ Il prezzo da pagare
~16~ Il male minore
~17~ Le trame dell'ombra
~19~ Signum Hederae
~20~ Cattedrale di alberi e ossa
~21~ La chiave di vetro
~22~ Interludio di pioggia
~23~ Gli occhi dell'inverno
~24~ Camelia velenosa
~25~ Quel che resta
~26~ Il fantasma di te
~27~ Oppio nero
~28~ Increspature
~29~ Le rotaie del mondo
~30~ Lascito
~31~ L'altra parte del buio
~32~ Colpe da espiare
~33~ Alisei implacabili
~34~ Queste mani colpevoli
~35~ La consunzione di un'anima
~36~ La voliera
~37~ I confini dell'amore
~38~ Re di promesse mancate
~39~ Methodus Pugnandi
~40~ L'Orgoglio e l'Ira
~41~ Fumo allo specchio
~42~ Bacio di cenere
~43~ Verità sbiadite
~44~ Sanguerame
~45~ L'inganno della neve
~46~ L'ultimo filo
~47~ Sotto un cielo bugiardo
~48~ Un labirinto di memorie
~49~ Il peso del tradimento
~50~ Fratelli
~51~ Dies Sanguinis [ Parte I ]
~52~ Dies Sanguinis [ Parte II ]
Chiusa della Fine e dell'Inizio
► Di Sequel & Chiacchiere ◄
• Appendice: Personaggi
» Extra: Di un giorno passato
» Extra: Di un giorno di primavera [ Parte I ]
» Extra: Di un giorno di primavera [ Parte II ]
Shari, secondo ElianaPi
Shari, secondo _Deianira_
Shari e Gareth, secondo heilorss
Shari e Gareth, secondo stelly2002
• Wattys 2017 •
》Sequel pubblicato《

~18~ Insomnia

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By MissAngorian


Bruciavo.
Una bara di cristallo fine, così fulgida da vincere la tenue barriera della carne, ustionando gli occhi serrati. Non importava quanto strenuamente battessi i pugni su quel vetro scintillante e mortifero, non c'era nulla che valesse a salvarmi dal tormento di fuoco che mi torturava la pelle, o urla che potessero alienare lo strazio del mio corpo sfinito.
«Hai promesso.»
E non c'era inferno che non avrei attraversato per quella voce.

Mi svegliai con il cuore in gola e il suo nome sulle labbra.
Strinsi tra le dita tremanti l'angolo gualcito del cuscino, quasi a trattenere il dolore che mi serrava le viscere, l'ultimo simulacro che mi rimanesse di lei.

Strizzai gli occhi nei buio, piano, mentre gli ultimi barlumi dell'incubo scivolavano mansueti fra le ombre della camera. Ero ancora vestita; avevo atteso il ritorno di Gareth per tutto il pomeriggio, ma con il discendere della sera la stanchezza aveva avuto la meglio sulla mia determinazione.

Non avevo fatto altro che marciare per la stanza, stringendo la piccola perla nel pugno e calpestando ogni minuto della sua assenza, scegliendo con cura le parole che avrei usato per chiedergli – no, comunicargli – che lo avrei aiutato nella ricerca dell'assassino di Armand. In cambio avrei condiviso le informazioni di cui ero venuta in possesso grazie alla provvidenziale apparizione di Sophie.
Mi era sembrato un piano perfetto.

Peccato che non fossi affatto nella posizione di trattare e che stessi tirando la corda per l'ennesima volta.

Ma lui non era tornato.
Qualunque compito avesse dovuto svolgere fuori dalla Residenza, aveva deciso di non rientrare e di recarsi invece là dove passava le sue notti: nel letto dell'Artificio senza nome.

Accesi la piccola lampada sul comodino, che sfarfallò un poco nel riscaldarsi, riempendo il silenzio di un ronzio leggero. Mi alzai dal letto, le ultime tracce di sonno ormai completamente svanite.
Oltre la finestra, il buio era completo: la notte aveva dispiegato il proprio manto su Londra, cobalto polveroso trapuntato di minuscole fiammelle d'argento.

Non c'era speranza che potessi riprendere sonno, troppi pensieri affollavano la mia mente in tumulto; così uscii dalla camera di Gareth, decisa a trovare un tomo abbastanza noioso che mi aiutasse a vincere l'insonnia.

Attraversai il corridoio deserto a piedi nudi, scivolando fra le ombre e gli scricchiolii di legno, e quando entrai in biblioteca compresi di non essere la sola ancora sveglia a quell'ora tarda.

Il fuoco del camino era acceso, regalando un'atmosfera morbida e tenui giochi di luce che s'inseguivano fra i ripiani ricolmi di alambicchi e gli scaffali, crepitando fra i ciocchi anneriti.

Seduta a gambe incrociate sul tappeto, una figura minuta faceva scivolare in diagonale un alfiere laccato di bianco su una casella occupata da un cavallo nero, acciuffandolo con fare soddisfatto.

«Per essere un soldato, manchi di tattica» commentò, allegra.

Non c'era modo di abituarsi alla bellezza di Clarisse, si poteva solo restarne abbagliati ogni volta.
I capelli chiarissimi rifulgevano dei riflessi ignei del fuoco, rendendola quasi inumana; i suoi lineamenti avrebbero portato alla più cupa disperazione qualsiasi artista, incapace di restituirli a un volgare quadrato di tela. Non era dunque strano che fosse riuscita a spingere nel baratro della follia persino il Reggente di Londra, che distruggeva senza ripensamenti qualsiasi minaccia che potesse in qualche modo scalfirla.
L'altra figura, in penombra, grugnì.

«E tu, per essere la Compagna di Ambrose, sei davvero troppo ingenua.»

La voce di Luc aveva la consueta nota ruvida, mentre la sua mano si muoveva sulla scacchiera di legno. Agguantò l'alfiere bianco e lo sostituì con una lucida torre nera.

Non mi sarebbe pesato guardarli per ore: il gigante burbero e la bambina splendente, chini su quei pezzi finemente intagliati e privi di volto, mentre decidevano con lucida spregiudicatezza chi sacrificare e chi salvare per la propria causa.
Una guerra di fine intelletto e gelida ferocia, combattuta con un fondale di fiamme.

Eppure mi sentii un'intrusa lì sulla soglia, così feci per richiudere la porta, ma questa mi tradì con un lamento secco.
Gli occhi azzurri di Clarisse mi trovarono subito e un sorriso luminoso sciolse la sua fronte aggrottata.

«Shari» esclamò sorpresa, «Non osare fingere di non averci visti. Vieni qui.»

Non era possibile negarle alcunché, così mi ritrovai ad avanzare verso di loro, rigida.

«Sono così contenta che tu stia bene» disse lei, alzandosi in piedi e lasciando cadere le pedine conquistate, «Naturalmente ho saputo. Mi dispiace così tanto.»
Il suo bel volto si oscurò; sembrava sinceramente rammaricata per quanto mi fosse successo.
«Temo che sia stata anche colpa mia. Se non avessimo passato il pomeriggio insieme, Ambrose non ti avrebbe punita così duramente» continuò, guardandomi mesta, «Protettivo non rende lontanamente l'idea.»

Scossi la testa, imbarazzata.

«Ti prego, non scusarti» replicai, sforzandomi di sorriderle. Ero stanca di sentire gli abitanti di quella casa ammorbidire le colpe di Ambrose, come se non fosse mai completamente responsabile.

«Ce ne hai messo, a riprenderti» commentò Luc, osservandomi e poggiando le spalle contro il divano in una posa rilassata, «Io e Gaspar abbiamo scommesso sulla tua sopravvivenza. Gli devo parecchie sterline.»

Clarisse lo fulminò.
«Sei un villano» commentò disgustata.
Deglutii.

«Non ho avuto modo di ringraziarti» gli risposi invece, vincendo le mie naturali resistenze. Sebbene non avessi dimenticato il nostro burrascoso incontro in biblioteca e il suo sadico divertimento nello spaventarmi, non potevo ignorare il modo in cui si fosse preso cura di me, «Per quello che hai fatto. Per avermi salvata.»

Per un attimo sembrò sinceramente sorpreso dalle mie parole; ma nascose quell'emozione dietro una maschera di manifesta strafottenza.

«Non ringraziarmi, bambolina Selvatica. Se Ambrose mi avesse chiesto di trovarti e poi ucciderti, l'avrei fatto.»

Clarisse gli lanciò l'ennesima occhiata di fuoco.

«Ora basta, Luc. Sono stufa di questa storia. Sono giorni che ripeto ad Ambrose di smetterla di trattarla come una prigioniera, o è naturale che reagirà di conseguenza» disse, sollevando il mento e sfidandolo a contraddirla, «Per non parlare di quell'imbecille, che ogni notte si nasconde alla Corte come un maledetto coniglio. Il suo signum dovrebbe essere la carota, non certo l'iris.»

La sorpresa mi seccò la gola.
«La Corte dei Fiori di Vetro?» domandai, stupita.

Clarisse mi guardò, un sopracciglio perfetto inarcato per l'incredulità.
«Ti ha parlato di quel postribolo? Ha un bel coraggio.»

«No» risposi, sentendo le guance avvampare, «No. E' solo che volevo parlargli in merito alla morte di quel vampiro, Armand. Ho delle informazioni che potrebbero interessargli, ma immagino che dovrò aspettare fino a domattina.»

«Beh» commentò Clarisse, lanciando un'occhiata esitante all'indirizzo di Luc, «se è urgente, immagino che potremmo portarti da lui...»
Luc quasi si strozzò.

«E che diavolo potrebbe esserci di così urgente?»

Clarisse lo ignorò, tornando a rivolgermi la sua attenzione.
«Certo, Ambrose potrebbe non gradire, vista la tua fuga. Ma se ci fossimo noi, non vedo come potrebbe obiettare...» rifletté, parlando più a se stessa che a qualcuno in particolare.

«Ah no? Ho qualche idea delle possibili obiezioni che potrebbe fare, dammi un mese e te ne stilerò una lista completa.»
Luc aveva incrociato le braccia, i muscoli tesi oltre la maglia chiara, l'intrico dei suoi tatuaggi più evidente che mai.

Il mio cuore prese a battere forte, un ritmo frenetico alimentato dalle possibilità inattese che avevo davanti. Non avevo mai valutato l'eventualità di vedere la Corte con i miei occhi, soprattutto alla luce del fatto che era lì che Gareth spariva durante la notte.

E di scoprire a chi appartenessero le braccia che lo stringevano, nelle ore che separavano il crepuscolo dall'alba.

Ma Luc aveva ragione; mettermi un'altra volta contro Ambrose rasentava la follia. Non mi facevo illusioni al riguardo: non sarei sopravvissuta di nuovo alla gabbia di luce.

«Ti ringrazio» dissi a Clarisse, sedendomi stancamente sul divano, «Ma non è il caso. Aspetterò domani mattina, davvero.»

Ma Clarisse sembrava di tutt'altro avviso. Mi prese le mani, stringendole fra le sue.

«Gareth ti ha scelto come Compagna. Ha rifiutato tutti gli Artifici che gli sono stati proposti per oltre un anno, prima di te. La tua vita non dovrebbe essere limitata alle mura della sua stanza, e se vuoi vederlo, dovresti poterlo fare» disse convinta, «so che ti hanno trattata da prigioniera, ma non devi esserlo per forza. Smetti di essere la Selvatica spaventata che cerca di fuggire e scegli di essere una Gotha. Ambrose voleva spezzarti: c'è riuscito, Shari?»

Le sue parole furono aghi avvelenati a trafiggere i polmoni e mi ritrovai a cercare con la mano la perla sotto il maglione.
Mi aveva spezzata?

«No» risposi, infine.

***

Luc aveva guidato in strade buie e silenziose, svoltando di tanto in tanto ad incroci fantasma. Avrei voluto conoscere Londra abbastanza da sapere dove ci stessimo dirigendo, ma la verità era che ai miei occhi le facciate delle case si rincorrevano identiche oltre il finestrino.

L'auto si fermò davanti ad un palazzo di sbiaditi mattoni rossi, con mura screpolate e finestre dai vetri spezzati che ricordavano occhi fissi nel vuoto. L'edera s'inerpicava sulla facciata coi suoi tralicci, in un abbraccio morboso che sembrava voler celare l'aspetto cadente dell'antico palazzo.

«Dove siamo?» domandai, mentre un brivido d'inquietudine mi percorreva la schiena.

«Down Street» rispose Luc, laconico.
Aprì la portiera e ci fece cenno di scendere.

Non riuscivo a credere che quel posto lugubre fosse davvero la Corte dei Fiori di Vetro. Per qualche ragione avevo immaginato che si trattasse di una grande e fastosa villa, o forse di un palazzo appartenuto all'antica monarchia inglese.
Che ne era della famosa vanità dei vampiri?

Luc si avvicinò, torreggiando su di me, e m'irrigidii quando le sue mani sfiorarono i miei capelli, disciogliendo la treccia morbida con cui li avevo legati.

«Tienili sciolti» disse, arruffandomeli attorno alla gola, «copri il collo.»

Arrossii quando esitò sulla mia pelle e seppi che nonostante il buio si era accorto del fiotto di sangue accorso alle mie guance.
Mi lasciò andare, rude.

«Tu invece» ringhiò, ficcando senza troppe cerimonie un cappellino di lana bitorzoluta sulla testa di Clarisse, «Vedi di nascondere quei dannati capelli bianchi. Non voglio grane.»

Clarisse ridacchiò ma obbedì, celando la chioma opalina sotto la lana scura. Mi fece segno di seguirla.

L'ambiente in cui entrammo era umido e freddo, con fogli di giornale marci e cumuli di foglie parzialmente putrefatte. Rabbrividii rendendomi conto che era una vecchia stazione della metropolitana: ne individuai la biglietteria e persino delle panchine capovolte.

Luc si avviò verso un vecchio ascensore e fece scorrere le porte in ferro battuto con un clangore sinistro.

«Sei sicuro che questo trabiccolo funzioni ancora, zannalunga?» domandai, la voce distorta dal nervosismo.

Lui ridacchiò.
«Oh, sì.»

In qualche modo riuscì ad azionarlo, e la discesa fu lenta, scandita da cigolii metallici. Quando le porte del traballante ascensore si aprirono, sospirai di cupo sollievo.

Poi, mi guardai intorno.
E compresi.

Un'immensa piazza dal pavimento lucido si dispiegava davanti a noi illuminata da tenui luci azzurre, che conduceva a diverse gallerie dagli archi a tutto sesto in pietra antica. Alzai gli occhi e questi si riempirono di lacrime trattenute.

Colture verticali idroponiche si estendevano verso l'altro, ricoprendo ogni centimetro dell'alto soffitto di pietra. Piante multicolori dalle foglie lucide e carnose crescevano grazie alla luce artificiale e alle sostanze chimiche, per la maggior parte commestibili e d'inestimabile valore.

«Questo posto...»

Clarisse mi prese la mano e intrecciò le sue dita alle mie.

«Il primo Rifugio sotterraneo di Londra, dove tutto è iniziato. Quando i vampiri si sono ribellati hanno comunque continuato a occuparsi delle piante, che poi si sono rivelate fondamentali per far sopravvivere gli Artifici» spiegò con voce morbida, quasi temesse di turbarmi, «la Corte si trova sottoterra per evitare che le radiazioni uccidano gli Artifici, visto che non hanno un Padrone che possa guarirli. Si chiama così per questo: per la fragilità di ciò che contiene.»

Annuii, incapace di parlare.
Mi trovavo nel primo Rifugio mai costruito, ricavato dalle vecchie gallerie della metropolitana. Camminavo su pavimenti che avevano visto la ribellione dei vampiri, l'eccidio di centinaia di persone.

La struttura, simile a quella dei Rifugi che avevo conosciuto, era ampia e resa più confortevole per le necessità dei vampiri, i quali avevano lasciato che le piante infestassero ogni superficie disponibile, rigogliose grazie alla protezione dalle radiazioni.

Quando imboccammo una delle gallerie mi ritrovai a camminare sull'erba, punteggiata da piccole chiazze di fiori di camomilla.
In Superficie, non esisteva più niente di simile.
Mi chinai ad annusarle con stupore.

Poi, iniziammo a vedere i primi Artifici. Sembravano creature uscite da una favola macabra, scalzi e vestiti solo d'organza e veli colorati, la pelle traslucida e quasi azzurrina a causa delle luci. Sulla guancia di ognuno di loro spiccava un tatuaggio a forma di orchidea, sinuosa e dai riflessi porpora.
Sorridevano gioiosi e si voltavano a salutandoci con graziosi inchini. Alcuni di loro avevano piccoli fori arrossati sulla pelle, linee sottili tracciate da unghie troppo appassionate.

Clarisse li guardava; non avevo mai visto i suoi occhi così gelidi.

Addentrandoci nel reticolo di gallerie e stanze mi resi conto che la struttura era stata congegnata come un giardino botanico, dove ogni tanto s'intravedevano poltrone rococò e divani vittoriani, posizionati in modo apparentemente casuale.
Alberi di limone profumavano l'aria e salici dalle fronde ricurve fornivano riparo ad amanti nascosti o a baci di sangue.

Incontrammo vampiri parlare tra loro come se si trovassero in un comune salotto, mentre altri prendevano per mano gli Artifici, conducendoli verso alcove scavate nella pietra e protette da tralicci rampicanti e veli sottili.

«Ciao, Lucas.»
A parlare era stato un vampiro attraente, dai capelli biondo cenere e occhi brillanti di una luce ferina.
La mascella di Luc s'irrigidì.

«Albert.»

«Dovrebbe essere Padrone, per te» ringhiò il vampiro. I suoi occhi rossi erano lucidi e compresi che doveva aver bevuto.

«Non sei mai stato il mio Padrone» disse Luc gelido, «ora perdonaci, ma dobbiamo proprio andare.»
Il vampiro gli afferrò il braccio.

«Ma Katherine lo era, prima che la uccidessi» ringhiò stringendolo con rabbia, «se fosse dipeso da me, ti avrei strappato quel cuore traditore.»

Si avvicinò a Luc, alitandogli sul volto, «Ce l'hai ancora, non è vero? La rosa dei Leinster. Puoi fingere di essere un vampiro, ma sappiamo entrambi la verità. Sarai sempre uno Schiavo del Sangue, un lurido Selvatico traditore.»

Luc se lo scrollò di dosso e lo afferrò per il colletto della camicia, il viso ad un soffio da quello dell'altro.

«Tua sorella era una puttana, ed è dove merita di stare: all'inferno.»

Fu Albert a colpirlo per primo, dritto sulla mandibola. La testa di Luc scattò all'indietro, ma si riprese in fretta e gli fu addosso.

Clarisse mi afferrò e mi strattonò lontano.
«Si accorgeranno che sei una Selvatica se resti qui. Cerca Gareth» disse fredda, guardando torva i due vampiri mentre una piccola folla di curiosi si avvicinava, «Trova la stanza di Dahlia e portalo qui. Corri.»

Non me lo feci ripetere due volte, sebbene non avessi alcuna idea di dove andare. Non appena individuai un Artificio, lo agguantai con fermezza e gli domandai dove potessi trovare la stanza indicatami da Clarisse.
Lui non sembrò sorpreso dalla violenza con cui lo trattai e si limitò a indicarmi un velo bianco, oltre il quale si celava un ingresso.
Mi affrettai a raggiungerlo inciampando tra i cespugli odorosi e scostai la tenda leggera.

Gareth era davvero lì.
E non era solo.

Era seduto al centro di un letto basso, vestito solo dei pantaloni scuri. La pelle chiara del torace risplendeva dei bagliori delle candele e piccole ombre ne sottolineavano la muscolatura del busto magro.
I suoi occhi rossi scintillavano, rubini oscuri rischiarati dalle fiamme delle candele ed erano fissi sulla donna che aveva di fronte.

Questo Artificio aveva i capelli rossi: fu la prima cosa che notai, scioccamente, come se si fosse trattato di uno scherzo crudele.

Ma i capelli dell'Artificio erano di un rosso cupo che sbiadiva nel castano e la sua pelle era marmo immacolato. Solo sulla guancia un tatuaggio a forma di orchidea interrompeva la sua perfezione.
Sorrideva.

«Dicono che il Princeps di Londra abbia una nuova Compagna» confidò lei con voce morbida, attraente quanto lo era il suo corpo sottile, «una donna così bella da averlo messo in ginocchio con un solo sguardo.»

Le sue dita gli sfiorarono il petto con la delicatezza che avrebbero avuto per un amante di vecchia data.
Indugiò sulla linea della clavicola.

«Altri invece sostengono che sia più un folletto, una creaturina orribile che è riuscita ad irretirlo con le sue arti.»

Gareth rise, e la sua risata mi scivolò addosso come una pioggia di frammenti di vetro.

«Se c'è qualcosa sulla quale si può sempre contare, sono i pettegolezzi» commentò, divertito.

L'Artificio piegò la testa, curiosa come un piccolo uccello, perfetta come l'angoscia tormentosa che mi scavava le viscere.
«Ma dunque una donna c'è» replicò, mentre lui le sfiorava i capelli.

Le stesse dita che avevano indugiato sui miei, perdendosi mentre ne inseguivano la lunghezza.

«Un piccolo demone, più che un folletto» rispose lui lentamente, mentre il sorriso prendeva una piega ironica, «E mi ha messo in ginocchio, immagino, seppur non nel modo che intendi.»

Lei dischiuse un poco la bocca, sorpresa.
«Sembra una creatura terribile» commentò.

Le labbra di Gareth si curvarono in una smorfia amara.
«Oh, lo è.»

Avrei voluto possedere il coraggio di fare un passo avanti o un passo indietro. Interrompere quello che stava per avvenire o nascondermi dietro quel velo, fingere che non stesse accadendo.
Ma non ci riuscii.

Con fascinazione e tormento guardai le labbra chiare di Gareth posarsi sulla gola dell'Artificio, posandovi piano un bacio delicato.

Sarebbe stato meglio se non avessi saputo cosa voleva dire avere quelle labbra sulla pelle, sentire il suo respiro scivolare sulla curva della gola.
Una lancia rovente conficcata nel petto sarebbe stata più misericordiosa.

Colsi il bagliore dei suoi canini candidi prima di vederli affondare nel collo dell'Artificio e il sospiro spezzato che lei esalò, mentre lo stringeva fra le braccia.

Avrei voluto distogliere lo sguardo. Avrei voluto respirare senza sentire cocci di vetro lacerarmi i polmoni ogni volta che questi si espandevano, uno strazio privo di ragione che non avevo mai provato in tutta la mia vita.

Mentre il collo della ragazza lacrimava sangue, Gareth le inclinò un poco la testa per avere maggiore accesso al pulsare della carotide, affondando le sue dita fra i capelli.

Una nausea insopportabile mi costrinse a fuggire da quella scena, completamente dimentica di Luc, di Clarisse, del motivo per cui mi trovassi lì.
Sapevo soltanto che dovevo andarmene, prima che le gambe smettessero semplicemente di reggermi.

Note: Aggiorno prima del solito perché il capitolo è venuto fuori più facilmente del previsto, e perché avevo voglia di lavorare sul prossimo. (No, non è vero, è che soffro di logorrea e prolissità, e questo doveva solo essere l'intro del prossimo capitolo e invece niente, si sono sdoppiati). Scriverò la seconda parte decine di volte, già lo so, ma cercherò di non versarci sopra troppa melassa. (Illusa!)
Come sempre i vostri riscontri sono preziosi, stelline o commenti che siano.
In ogni caso, se siete qui, se avete letto e se continuerete a leggere, io comunque vi adoro⭐️

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