Dies Sanguinis

By MissAngorian

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[ • Conclusa e in revisione • ] Anno 2204. Quando il Sole è diventato velenoso, gli esseri umani hanno cercat... More

Prologo dell'Inizio e della Fine
~1~ Ombre nella foresta
~2~ Nebbia e polvere
~3~ Il Veleno del Sole
~4~ Il Reggente di Londra
~5~ Il canto del sangue
~6~ Conseguenze
~7~ L' ago del dolore
~8~ Respirare te
~9~ Princeps legionis
~11~ La fanciulla bianca
~12~ Elegia del passato
~13 ~ Lame sottili
~14~ La via del ritorno
~15~ Il prezzo da pagare
~16~ Il male minore
~17~ Le trame dell'ombra
~18~ Insomnia
~19~ Signum Hederae
~20~ Cattedrale di alberi e ossa
~21~ La chiave di vetro
~22~ Interludio di pioggia
~23~ Gli occhi dell'inverno
~24~ Camelia velenosa
~25~ Quel che resta
~26~ Il fantasma di te
~27~ Oppio nero
~28~ Increspature
~29~ Le rotaie del mondo
~30~ Lascito
~31~ L'altra parte del buio
~32~ Colpe da espiare
~33~ Alisei implacabili
~34~ Queste mani colpevoli
~35~ La consunzione di un'anima
~36~ La voliera
~37~ I confini dell'amore
~38~ Re di promesse mancate
~39~ Methodus Pugnandi
~40~ L'Orgoglio e l'Ira
~41~ Fumo allo specchio
~42~ Bacio di cenere
~43~ Verità sbiadite
~44~ Sanguerame
~45~ L'inganno della neve
~46~ L'ultimo filo
~47~ Sotto un cielo bugiardo
~48~ Un labirinto di memorie
~49~ Il peso del tradimento
~50~ Fratelli
~51~ Dies Sanguinis [ Parte I ]
~52~ Dies Sanguinis [ Parte II ]
Chiusa della Fine e dell'Inizio
► Di Sequel & Chiacchiere ◄
• Appendice: Personaggi
» Extra: Di un giorno passato
» Extra: Di un giorno di primavera [ Parte I ]
» Extra: Di un giorno di primavera [ Parte II ]
Shari, secondo ElianaPi
Shari, secondo _Deianira_
Shari e Gareth, secondo heilorss
Shari e Gareth, secondo stelly2002
• Wattys 2017 •
》Sequel pubblicato《

~10~ Crimini come desideri

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By MissAngorian



Non posso permetterti di avere potere su di me, mai.

Lo sguardo di Gareth era sottile, lampi di fuoco fra le sue ciglia socchiuse. Aveva ammesso con sconcertante schiettezza di potere provare dell'attaccamento per me, un concetto che sovvertiva completamente la mia idea dei vampiri come creature prive di sentimenti, dedite soltanto alla violenza e ad un edonismo deviato. Ancora una volta aveva avuto ragione Cami credendoli più umani di quanto io non avessi mai fatto, e di quanto ci avessero fatto intendere durante l'addestramento.

Quella possibilità mi sconvolgeva, una nuova consapevolezza che aveva mandato una scossa di adrenalina al mio intero organismo. Non avevo idea di quanto quella connessione di cui parlava potesse avvicinarsi all'affetto, e in ogni caso aveva dichiarato che avrebbe fatto di tutto per impedirne la nascita. Si era dimostrato cinico e calcolatore come lo avevo giudicato durante il nostro primo incontro, l'imperturbabilità e la noncuranza nient'altro che una maschera.

Conosceva le regole del gioco e le piegava alla propria volontà, provvedendo a mettersi al sicuro ed evitando quel morso che ci avrebbe condotti ad un'intimità inevitabile e che reputava pericolosa.

Infine riuscivo a comprendere perché Ambrose fosse stato tanto contrario alla sua scelta.

Inaffidabile, inappropriata, pericolosa.

Alla luce di quanto avevo appena appreso il comportamento di Gareth mi appariva più avventato e arrogante che mai; si fidava talmente tanto del proprio autocontrollo da portare una Selvatica sotto lo stesso tetto del fratello che aveva giurato di difendere, nonostante potessi essere una spia, o nel minore dei mali, una distrazione mortale.
Aveva ammesso di volere il mio sangue, si era persino permesso di sfiorarmi la gola; poi si era ritratto. Con ogni probabilità, nonostante quanto era successo, non mi trovava abbastanza attraente da costituire un pericolo.

Ed io?
Tu puoi proteggerti cercando la compagnia degli Artifici, ma io sarò costretta a legarmi a te, perché il mio corpo ti riconoscerà come la sua unica salvezza.

Eccola, la trappola che Gareth aveva previsto e che si dipanava davanti ai miei occhi, scintillante ed inevitabile come la tela vischiosa di un ragno: continuando a salvarmi dal veleno del Sole si sarebbe assicurato il mio attaccamento, inevitabile per la Comunione del Sangue; lui invece sarebbe rimasto lucido, capace di uccidermi se mi fossi rivelata un problema.

Guardala, Ambrose, lei non mi tradirà.
Non ne avrà la forza.

Mi aveva giudicata debole, già dalla prima volta che ci eravamo incontrati. Ad un certo punto nella foresta, lui mi aveva guardato e aveva visto solo una ragazzina che si sarebbe infatuata di lui abbastanza da non tradirlo mai.
Sorrisi.

«Sei arrogante, Princeps» commentai, accarezzando il suo titolo con la lingua.

Un angolo della sua bocca si alzò, irridente.

«Ambrose sarebbe d'accordo con te» ribatté lui, per nulla toccato dal mio giudizio, «e aggiungerebbe che prima o poi mi si ritorcerà contro. Certamente si sta assicurando che abbia una pena commisurata alle mie recenti mancanze.»

Ricordai la loro conversazione, l'irritazione e il dispetto di Ambrose e la faccia tosta che aveva mantenuto Gareth di fronte al disappunto malcelato del fratello.

«Cos'hai fatto per indispettirlo tanto?»

La sua espressione si fece scura e immaginai che non avrebbe risposto, lasciando cadere l'argomento. Invece, riprese a parlare.

«Per un anno non ho preso parte alle sortite contro i tuoi preziosi Rifugi. Ero uno dei migliori sul campo, ma ero stanco.»

Un fiotto di bile mi bruciò lo stomaco, i muscoli talmente rigidi da dolermi.

«Immagino che uccidere brutalmente esseri umani alla fine stanchi persino il più incallito degli assassini.»

Il disprezzo con cui pronunciai quelle parole non parve sfiorarlo. Continuava a stare mollemente sdraiato su di me, quasi stessimo discorrendo di libri e poesie anziché dei suoi crimini reiterati.

«In effetti, sì. Ma come ho detto, Ambrose non ha apprezzato.»

Uno sgradevole calore mi avvolse il petto e il collo, e per un momento valutai la possibilità di cavargli quegli splendidi occhi. Invece, mi limitai ad esprimere il mio astio con tutto il disgusto di cui fossi capace.

«No, certo. Aveva bisogno del suo fidato macellaio che facesse per lui il lavoro sporco. Ho potuto ammirare molto da vicino la sua crudeltà.»

Gareth prese a giocare con una ciocca dei miei capelli, avvolgendosela intorno al dito diafano e poi disfacendo il suo lavoro, più e più volte. Avrei voluto strapparglieli di mano, ringhiargli che non doveva toccarmi.

Mentre un'altra parte di me, minuscola e oscura, desiderava che continuasse.
Che razza di creatura ero?

«Che tu ci creda o no, Ambrose è un buon capo. E' feroce, ma non crudele.»

La sua cieca parzialità mi fece infuriare.

«Non è crudele? Lui non si è limitato ad uccidere i Selvatici, li ha torturati per giorni. Non è stata una battaglia, è stato un crimine. O forse vuoi dirmi che non è stato lui a dare l'ordine di compiere quell'eccidio?»

Il suo volto si era fatto distaccato, pallido e gelido come brina sulle foglie. I suoi lineamenti finemente cesellati sembravano quelli di un angelo mentre trafiggeva il serpente nel giardino dell'Eden, indifferente alla violenza dell'atto.

«Sì, è stato lui a ordinare l'attacco. Ma la crudeltà di cui parli non è stata opera sua.»

Non volevo ascoltare le sue giustificazioni. Non ci sarebbe stato niente che avrebbe potuto dirmi per affievolire l'odio che mi bruciava la trachea; erano stati i suoi soldati a compiere fisicamente il gesto, certo, ma non riuscivo a credere che avessero potuto architettare un tale scempio da soli. No, doveva essere stata la sua mente contorta e sanguinaria a disegnare lo scenario della morte di tutti quei Selvatici.

Della morte di Cami.

La diceva lunga il fatto che persino Gareth, che sembrava voler giustificare l'operato del fratello ad ogni costo, avesse deciso di discostarsi da quelle sortite per un intero anno.

L'anno in cui io piangevo Cami, disgustata dalla mia inutilità, lui sfidava il fratello.
Era strano pensare che avessimo sofferto insieme, seppur per ragioni differenti.

Sapere che aveva smesso di combattere, stanco di quella violenza, lo rendeva migliore ai miei occhi.

«Ma adesso hai deciso di riprendere i tuoi doveri» commentai, la voce strozzata.

Lui sembrava nauseato, o forse era solo quello che volevo vedere.

«Ho giurato di obbedirgli. E' mio fratello.»

Non avevo mai visto l'angoscia stravolgere i suoi tratti, e mi spezzò il cuore.

«E' per questo che mi hai detto di non avere avuto molta scelta nella tua vita, non è vero? Credi che questo giuramento possa giustificare le tue azioni. Che tu sia costretto ad essere un assassino.»

I suoi occhi di granato si fissarono su un punto imprecisato davanti a sé, rifiutandosi di guardarmi.

«E' così. Sono quello che sono.»

Mi stupì che il nodo in gola che mi strozzava il respiro non fosse di rabbia. C'era, ma mescolata a qualcosa che non avrei dovuto provare e che mi parve fuori posto, soprattutto perché indirizzata a Gareth: compassione.

Avevo compreso molto più di Gareth in quella conversazione che nei giorni passati accanto a lui, guardandolo trincerarsi dietro un'armatura di puro disinteresse.

Adesso riuscivo persino a comprendere le parole che mi aveva rivolto, inconcepibili prima che l'idea che potesse avere dei sentimenti analoghi a quelli umani mi colpisse come una stilettata al ventre.

Ti ho guardata negli occhi e ho capito che non dovevi morire, o avrei perso l'ultimo brandello di anima che mi rimane.

La rabbia che avevo provato nei suoi confronti scivolava via e a niente valevano i miei sforzi di trattenerla nel mio cuore; era come cercare di catturare la nebbia tra le dita.

Quando mi aveva presa affinché diventassi la sua Compagna non l'aveva fatto con leggerezza. Doveva aver valutato attentamente che non fossi un reale pericolo per il fratello che amava certamente più della sua stessa felicità, ma la pulsione che l'aveva spinto a farlo non era arroganza o un sinistro senso dell'umorismo; l'aveva fatto per non avere un'altra morte sulle sue mani.

Odiai Ambrose con tutto il fervore di cui ero capace. Era lui il vero mostro, non Gareth.

E tu sei ben contenta di crederlo.
E' meno osceno desiderare il mostro, se si dimostra pentito.

Scacciai quella voce intrigante dalla mia testa e mi morsi le labbra.
Gareth continuava a non guardarmi, perso nei propri pensieri.

Sciolsi i pugni che fino ad allora erano rimasti contratti, irrigiditi dall'immobilità e dalla tensione, e finalmente feci quanto mi ero tanto strenuamente impedita di fare.
Gli sfiorai i capelli scuri, che avevo desiderato toccare da più tempo di quanto mi permettessi di credere.

Erano seta nera, lucidi e soffici come piume mentre vi affondavo le dita.
Incredibilmente, lui non mi fermò. Chiuse gli occhi abbandonandosi al mio tocco, quasi lo avesse desiderato anche lui.

La sua cute era calda, umana. Abituata a guardare la sua bellezza da lontano, sembrava quasi incredibile che fosse tanto reale sotto le mie dita, che quel vampiro che aveva candidamente ammesso di aver ucciso centinaia di Selvatici fosse lì, sul mio grembo, fidandosi abbastanza da chiudere gli occhi.

«Non dovresti fidarti di me» mormorai, continuando ad accarezzarlo. Era strano che mi sentissi in dovere di rammentarglielo, nonostante fosse la sua fiducia a mantenermi in vita in quella casa.

«Lo so» rispose, l'accordo della sua voce talmente basso da risuonare nel mio petto.

Era follia.
E tuttavia non volevo che quel momento di quiete, di tregua, finisse. Anelavo il suo calore quanto lui sembrava desiderare il mio tocco leggero, mettendo da parte l'orribile verità: che eravamo destinati a distruggerci a vicenda.

Cercai nel mio animo la rabbia e la frustrazione che provavo per i vampiri e le trovai lì, a sobbollire in ogni mia cellula. Li odiavo, nonostante il peso della testa di Gareth fosse dolce contro il mio corpo, e seppi che non era cambiato niente.

Se avessi con me il mio pugnale, se servisse a vendicare Cami, te lo affonderei nel cuore. Soffrirei nel farlo, ma ne sarei ancora capace.

Quel pensiero fu rassicurante.
Passarono interi minuti in cui non parlammo, ognuno preso a srotolare i fili dei propri pensieri. Il canto silenzioso dei libri e della polvere ci avvolgeva in una pace fragile, ed io continuai a passare le dita fra i capelli d'onice del mio carceriere, contemplando la linea della sua gola pallida e l'incavo alla base del collo che la camicia chiara lasciava scoperto.

Desiderai posarvi le dita, indugiare su quel lembo di pelle che sembrava parlare di una vulnerabilità celata e che lui mi lasciava guardare.

Mi morsi ancora le labbra, incapace di sollevare la mano e compiere quel semplice gesto, quell'azzardo volontario, nel timore che lui potesse scostarsi.

Era già incredibile che fosse lì, tra le mie braccia.
Così mi accontentai di seguire un ricciolo sulla sua fronte, e ne sfiorai la pelle tesa. Lui non si mosse, accettando il mio tocco, e per la prima volta mi trovai a sfiorare quel viso impossibile.

Sentendo il cuore martellarmi nel petto e avendo l'umiliante certezza che lui potesse avvertirlo con la stessa percezione che ne avevo io, discesi la linea della sua tempia, seguendo la linea acuta dei suoi zigomi.
Indugiai sulle ombre sotto i suoi occhi seguendone l'arco, la traccia scura delle sue notti forzatamente prive di sonno.

Le sue palpebre si aprirono rivelando la bellezza delle sue iridi aliene, rosse e oscure come il peccato. Sentii lo stomaco serrarsi sotto il suo sguardo, brace ardente e violenta, affamata.

Con dita tremanti d'emozione scivolai sulle sue labbra, così spesso irridenti e adesso cedevoli sotto la mia delicata pressione. Si dischiusero, rivelando il bianco guizzo dei canini.

Con la gola riarsa e le dita che sembravano muoversi di volontà propria, sfiorai con la punta dell'indice quella lama candida.

Erano le zanne celate di un serpente, sotto un ramo di rose splendide e spine sottili. Petali così carnosi e incantevoli da rendere incauti, le spine in bella vista quasi da pensarle sotto controllo. L'arroganza di credere di poter toccare la bellezza impunemente e il serpente che scatta, traditore.

Il dolore fu una scossa deliziosa alle terminazioni nervose, mentre una stilla di sangue si formava sul mio polpastrello. Feci per ritirare la mano ma le dita di Gareth mi trattennero, cingendo il polso in una presa ferma.

La sua lingua lambì piano la minuscola ferita, con una delicatezza che mi fece fremere.

Desiderai l'oscurità dei suoi occhi e quel piacere doloroso, che prometteva di essere soltanto il principio di qualcosa di infinitamente meglio.

Il terrore per ciò che volevo rese il mio respiro violento, ancor più denso alla vista della sua lingua, una punta rosea e umida che indugiava sulla mia pelle, il mio polso sotto la sua mano ferma, dominatrice.

Lentamente tornò sulla ferita, stuzzicandola con la lingua.
Qualcosa, dentro di me, urlava che avrei dovuto farlo smettere. Invece, annichilita dalla fascinazione, guardai ancora una volta il suo canino trafiggermi la carne, tornando a far sanguinare la ferita.

Un gemito soffocato mi sfuggì dalle labbra, mentre vergogna e brama si mescolavano in un groviglio confuso nel mio ventre.

Poi, lui mi lasciò andare.
Separato dalla sua bocca, il dito prese a pulsare dolorosamente, fitte leggere che si propagavano lungo la mano, quasi a prolungare quel dolce tormento.

«Gaspar aveva ragione» mormorò, la voce improvvisamente rauca. Si passò una mano sul volto, quasi a voler nascondere la propria espressione. Quello stesso viso che avevo toccato, e di cui adesso conoscevo ogni linea. «Hai un sapore troppo buono.»

«Perché sono una Selvatica.»

La mia voce era strozzata, orribile.
Mi sentivo in colpa, come se avessi commesso un crimine indicibile.
La sua mano scivolò via e i suoi occhi furono di nuovo su di me.

«Sì. Non sappiamo perché, ma avete un sapore migliore.»

Lo disse senza alcuna inflessione nella voce, come se si trattasse di un fatto, oggettivo e semplice.
Ripensai all'Artificio dal quale correva ogni notte per portarsi il più lontano possibile da me, dalla tentazione che costituiva il mio sangue.

Mi guardai il dito, dolorante e infiammato.
«Fa male» mormorai, più a me stessa che a lui, senza sapere davvero a cosa mi stessi riferendo. Alla ferita, o al fatto che se ne fosse allontanato.
Il sangue aveva ripreso a gocciolare e cacciai in bocca il dito, come una bambina.

Lui guardava le mie labbra con la stessa fame che gli avevo visto negli occhi, ma quando parlò la sua voce era ferma.

«Farà sempre male. Ma non dovrai più sopportarlo, non da me.»

Era una promessa amara, ma la accettai.

Note: Ho riscritto questo capitolo moltissime volte, ma niente, i dialoghi continuano a non convincermi. Cercare di spiegare quella che è una mia personalissima visione della Sindrome di Stoccolma soprannaturale è stato un vero e proprio parto, e sono certa che dovrò tornarci su per spiegarla meglio. Ho comunque deciso di pubblicare perché voglio focalizzarmi sulla trama, convincendomi che questa è solo la prima stesura 🙈

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