La rosa di Auschwitz

By Talia90

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Questa è la storia di una giovane ebrea che - a poco a poco - si innamora del nemico: il Kommandant del campo... More

Piccole indicazioni prima di leggere
Fan art ❤️🌹
Per non dimenticare 🌹
Capitolo 1 - L'inizio 🌹
Capitolo 2 - L'arresto 🌹
Capitolo 3 - Viaggio verso l'inferno 🌹
Capitolo 4 - Incubo 🌹
Capitolo 5 - Non essere come lui 🌹
Capitolo 6 - Arbeit mach frei 🌹
Capitolo 7 - La vita nel campo 🌹
Capitolo 8 - Krankenbau 🌹
Capitolo 9 - Zigeunerlager 🌹
Capitolo 10 - La rosa tea 🌹
Capitolo 11 - Nisha e Chris 🌹
Capitolo 12 - La bella bestia 🌹
Capitolo 13 - Sadismo e Pazzia 🌹
Capitolo 14 - Rosa spezzata 🌹
Capitolo 15 - Il compleanno🌹
Capitolo 16 - L'angelo della morte 🌹
Capitolo 17 - Salvare Nisha 🌹
Capitolo 18 - Lontani, vicini, lontani 🌹
Capitolo 19 - Come una stella 🌹
Capitolo 20 - Gelosia 🌹
Capitolo 22 - Karl🌹
Capitolo 23 - La selezione 🌹
Capitolo 24 - Mi hai riconosciuto, almeno? 🌹
Capitolo 25 - Il rapporto Vrba 🌹
Capitolo 26 - La rivolta dei gitani 🌹
Capitolo 27 - Lo sbarco in Normandia 🌹
Capitolo 28 - L'amore rende migliori 🌹
Capitolo 29 - Diciannove ad Auschwitz 🌹
Capitolo 30 - Il regalo 🌹
Capitolo 31 - Operazione Valchiria 🌹
Capitolo 32 - Lei 🌹
Capitolo 33 - Ritrovarsi 🌹
Capitolo 34 - Porrajmos 🌹
Capitolo 35 - L'Addio 🌹
Capitolo 36 - La forza dell'amore 🌹
Capitolo 37 - Io sono Anne 🌹
Capitolo 38 - La rivolta 🌹
Capitolo 39 - Quando si ama, non c'è più alcun nemico.🌹
Capitolo 40 - Ti ricorderò per sempre 🌹
Capitolo 41 - Bergen-Belsen 🌹
Capitolo 42 - Ragun e Theresienstadt🌹
Capitolo 43 - 27 Gennaio 1945 🌹
Capitolo 44 - Ritorno a casa 🌹
Capitolo 45 - Il processo di Norimberga - Parte I - Capi d'accusa 🌹
Capitolo 46 - Il processo di Norimberga - Parte II - Le sentenze🌹

Capitolo 21 - Salvata 🌹

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By Talia90

Una volta Göth notò che la manica della sua giacca era leggermente usurata a causa del contatto con il muro e mi chiamò urlando. Entrai in soggiorno. Göth era completamente nudo e ubriaco, e aveva una frusta in mano. Mi ordinò di spogliarmi e quando mi rifiutai iniziò a frustarmi. Poi mi trascinò nella stanza accanto e mi ha buttò sul letto, strappandomi i vestiti e continuando a picchiarmi. Dopo di che provò a violentarmi. La sua amante, Ruth Irene, era di sopra e quando sentì le urla accorse immediatamente e mi liberò dalla sua presa. Göth mi picchiò così violentemente da sfondarmi un timpano e dopo quel giorno non ho più sentito nulla da un orecchio".

Testimonianza di Helen Hirsch, la domestica ebrea di Amon Göth.

«Adesso io e te ci divertiamo.»
Sussurró, in tedesco, quell'uomo dalla corporatura bassa e tozza; con passo strascicato, poi, si avvicinò alla ragazza con un sorriso malefico.
Tea, nonostante non avesse compreso ciò che lui aveva detto, intuì le sue intenzioni quando lo vide togliersi la giacca in tutta fretta e, immediatamente, si spinse con la schiena al muro facendosi forza sulle gambe.

«Ti ha pure legata.» constatò l'uomo, ormai vicinissimo «bravo Shoeder, mi ha reso le cose più facili!» aggiunse, mentre si accovacciava di fronte a lei, appoggiando le mani sulle sue ginocchia.
Tea, a quel contatto, provò a tirargli un calcio ma lui, prontamente, le afferrò la caviglia divaricandole le gambe.

«Non osare toccarmi!» gridó l'ebrea lottando contro la forza del suo aggressore che, però, se la rise facendo scivolare una mano lungo il polpaccio di lei, per poi risalire lentamente.

«Hai delle belle gambe» le sussurrò poggiando le labbra contornate da baffi, su di un suo ginocchio.

«Non mi toccare ho detto!» ribadì lei, cercando di tenere le gambe unite.

«Shhh!» rispose lui stizzito, portandosi un dito sulle labbra.

«Lo dirò al Kommandant!» gridò ancora lei, dimenandosi per allontanarlo.

A quel punto l'uomo, sentendo nominare il comandante del campo, si fece una grossa risata che riempì tutta la stanza, facendola trasalire. Tea lo guardò disgustata.

«Il Kommandant?» chiese e poi si interruppe solo per continuare a ridere.

«Sì!» si difese lei, sibilando a denti stretti.

«Dumm.» le rispose semplicemente lui, continuando a ridere. Tea quell'insulto lo capì: le aveva dato della stupida e, nel momento in cui quelle mani viscide le sbottonarono la camicia, si chiese se non fosse davvero una stupida nel sperare che Mark la salvasse.
Mentre pensava e cercava di respingerlo, Tea si dimenava con le gambe e i fianchi non facendo altro che stuzzicare la bramosia di quell'uomo che, cogliendo l'attimo, le strappò via l'unica biancheria intima che le fosse concessa.

«No!» l'urlo di Tea a quel gesto fu così forte che sperò di avergli almeno spaccato i timpani. L'uomo, però, si adagiò su di lei ridendo in modo sguaiato; il suo volto era così vicino che Tea riuscì a scorgere ogni particolare. Era rugoso, gli occhi leggermente incavati e sentiva su di sè il tocco delle sue mani altrettanto rugose e violente. Ormai piangeva senza nemmeno accorgerse, voleva solo che quell'essere si levasse e la lasciasse in pace. Quando poi avvertì la sua lingua sul collo, represse un conato di vomito e presa dalla paura per ciò che di lì a poco sarebbe successo, cominciò a gridare aiuto con tutto il fiato che aveva in gola.

***

Mark li aveva mandati tutti via e, dopo aver legato l'ebrea affinché non cercasse di scappare ancora, si era rifugiato nella sua stanza a ripulire la canna del suo fucile. Il gesto di Tea lo aveva spiazzato e ancor di più lo avevano spiazzato le sue stesse parole e il suo stesso comportamento: non l'aveva punita, non c'era riuscito o, meglio, non l'aveva punita come avrebbe fatto di solito in situazioni del genere.
Anche perché si ritrovò a pensare che se fosse stato nella sua stessa situazione, probabilmente avrebbe cercato già di scappare mille volte, rischiando di farsi uccidere. Ed era proprio questo che lo aveva fatto innervosire più di tutto: se Tea avesse provato a scappare di nuovo in sua assenza, sicuramente sarebbe morta e il pensiero di lei priva di vita gli fece venire i brividi.

Scacciò dalla testa quei pensieri e si promise che le avrebbe fatto capire di non farlo mai più, anche a costo di usare le brutte maniere.

Quando poi finì di caricare l'arma, sentì una presenza dietro di sè e una mano femminile scendere dalla spalla fino al petto e non c'era bisogno di voltarsi per capire chi fosse.

«Come sei entrata?» chiese ad Hanna con voce indifferente.

«La porta era aperta» rispose lei, appoggiando la sua guancia a quella di lui.

«Non puoi entrare come ti pare e piace e poi ti avevo mandata via» lui allontanò la mano dalla sua spalla, si alzò e si voltò indicandole l'uscita.

«Neanche se fossi qui per farti un regalo?» chiese lei, sbattendo gli occhi come una civetta.

«Conosco il tuo genere di regali, Hanna, e ti assicuro che adesso non sono proprio dell'umore adatto» Mark era abbastanza irritato in quel momento e non sopportava nemmeno la presenza di quella donna.

«Tutta colpa di quell'ebrea» cominciò a dire Hanna, riuscendo a catturare l'attenzione di Mark «se non ti avesse fatto saltare i nervi adesso saresti più che disponibile...» continuò lei, sempre allusiva.

Mark la ignorò e aprì la porta, accompagnandola fuori dalla stanza.
Hanna, però, prima di andare via, gli rivolse ancora la parola.

«Sei sicuro? Ho portato con me anche il grassone per essere sicura di non avere di nuovo l'ebrea tra i piedi...» concluse con un mezzo sorriso.

Mark invece le puntò gli occhi addosso scioccato.

«Cosa diamine vuoi dire?» chiese, come se avesse sbagliato a sentire.

«Beh... Diciamo che era curioso di sapere come sono le ebree. Non è un tipo schizzinoso a quanto pare.» rispose lei, accarezzandogli il colletto della camicia.

«Come vi siete permessi di entrare in casa mia?!» gridò Mark, furioso. Era incazzato per l'intrusione ma ancor di più lo era perché quell'essere aveva osato mettere gli occhi su Tea.

«Fuori di qui. Immediatamente.» sibiló Mark a denti stretti.
Hanna capì immediatamente che quello era un ordine al quale doveva ubbidire subito.

«Ha detto che le avrebbe insegnato un po' di disciplina e sperava che tu non ti arrabbiassi troppo se l'avesse fatto prima di te» rispose insicura lei, scrutando il suo viso e leggendovi solo indifferenza che, però, era ben nascosta.

«Sarò io ad insegnare la disciplina a lui, visto che si è intrufolato in casa mia senza permesso» rispose asciutto il Comandante che, senza aggiungere altro, chiuse la porta in faccia ad Hanna dirigendosi verso la stanza di Tea e, nello stesso momento, avvertì urla e grida provenire da lì.


«Aiuto! Herr Kommandat!» la voce di Tea gli giunse disperata e incrinata dal pianto. Mark imprecò ad alta voce e, correndo, la raggiunse.

Quando aprì la stanza vide quell'uomo assestare un forte schiaffo alla ragazza, mentre cercava di tenerla ferma e farla zittire.


«Ti ho detto di stare zitta!» le disse e cercò di colpirla ancora ma il suo braccio fu fermato a mezz'aria.

Quando quell'uomo si voltò, incontrò gli occhi gelidi del comandante che non accennava a lasciare la presa su di lui.

«Ah Mark, sei tu. Questa ebrea si comporta proprio male» gli disse alzandosi in piedi e spostando lo sguardo sul suo braccio ancora chiuso nella morsa di Mark.

«Lo so» rispose quest'ultimo, finalmente lasciandolo.

«Le stavo dando una bella lezione e in più mi divertivo. Sai, sono solito unire l'utile al dilettevole» continuò l'uomo, con la vana speranza di poter riprendere da dove era stato interrotto.

«Io invece sono solito uccidere chi non rispetta i miei ordini» Mark lo gelò con lo sguardo, trattenendosi dal pestarlo.

Ma vedendo che l'uomo non afferrava il concetto, continuò a parlare.

«Sbaglio o ti avevo di andare via?»

Il più basso lo guardò scuro in volto: quella decisione proprio non gli andava a genio.

«Ma...» tentò di rispondere l'altro ma Mark lo interruppe subito.

«E solo io posso punire le mie domestiche» fece una pausa di qualche secondo, lasciando il tempo all'altro di riuscire ad afferrare la marcatura sul soggetto della frase.

«Intesi?» chiese infine Mark.

L'uomo fece cenno di sì col capo e prese la camicia lanciando uno sguardo di odio a Tea che invece ricambió soddisfatta.
Quell'aria vittoriosa però diede sui nervi all'uomo che, in uno slancio, le fu sopra colpendola ancora. Mark scattò immediatamente, tirandolo via con estrema facilità pur essendo abbastanza in carne. L'uomo, però, per liberarsi, colpì involontariamente Mark che l'attimo dopo lo stava già riempiendo di pugni.

«Herr Kommandant...» vedendo che la situazione stava degenerando, Tea richiamò la sua attenzione.

Mark però non le diede ascolto continuando a sofgarsi su quell'uomo ormai vicino allo svenimento.

«Mark, per favore...» e questa volta la flebile voce di Tea, simile ad una preghiera, lo fermò.

Era la seconda volta che lo chiamava con il suo nome e ogni volta che lo faceva gli procurava una strana sensazione, dritta allo stomaco. Fortuna che quell'uomo non avesse sentito nulla, vista la sua condizione semi-cosciente.
Mark si voltò verso di lei e il suo viso rosso e rigato di lacrime lo fecere desistere dal continuare quel massacro.

Si alzò da lui ma continuò a guardarlo dall'alto mentre si contorceva dal dolore.

«Se provi di nuovo a toccarmi ti ammazzo. E non mi importerà delle conseguenze» gli disse poi, allontanandosi definitivamente.

Avrebbe voluto dirgli di non azzardarsi mai più a toccare lei, di non posare più le sue luride mani sulla sua pelle e che se lo avesse rifatto lo avrebbe ucciso non una, ma mille volte. Eppure non poteva, non davanti a lui e, forse, nemmeno davanti a lei. Raggiunse così la ragazza, si abbassò verso di lei e delicatamente sciolse i nodi di quella corda.
Notò subito i polsi arrossati e ci passò sopra delicatamente le dita.


«Non mi fanno male» disse Tea, intuendo il filo dei suoi pensieri e per rassicurarlo.


«Bugiarda. Ma te le meritavi così strette» rispose lui, in un modo che sembrava pentimento. Tea se ne accorse ed è per questo motivo che non rimase male dalla sua risposta, anche perché quel suo tono di voce stonava completamente con i suoi modi di fare freddi e veloci.
M

ark la prese delicatamente in braccio, dopo averle riabbottonato la camicia, e si diresse fuori da quel posto ma prima di uscire si fermò ancora un attimo davanti all'uomo che ancora giaceva per terra.

«Se ti rivedo di nuovo in giro non ti risparmierò» disse gelido, portandola via di lì.

«Dove mi porti?» chiese Tea con un po' d'ansia, temendo di essere rispedita in infermeria.

«Stasera ti farai una bella dormita su quel comodo letto che tanto ti piace» le rispose lui e il suo tono ora era totalmente cambiato.

Era dolce e rassicurante.
Ora erano soli, nessuno poteva né vederli e né sentirli.
Lui era veramente lui.

Tea sorrise e strinse più forte le braccia intorno al suo collo. Mark la sentì inspirare forte e prima di poggiarla su letto, restò in piedi tenendola in braccio come una sposa.


«Che fai, mi annusi?» le chiese lui, molto divertito.

Tea, colta in flagrante, arrossì fino alla punta dei capelli ma di fronte all'evidenza non potè negare.

«E' che hai un buon odore...» gli disse quindi, timidamente.

Mark le sorrise compiaciuto, poi la fece sedere.

«Però adesso io e te facciamo due chiacchiere» la voce di Mark era seria e non ammetteva repliche.

Tea annuì silenziosamente, aspettando che fosse lui a parlare.

«Cos'è, esattamente, che non ti sta bene?» le chiese, stando in piedi di fronte e lei e incrociando le braccia al petto.

Tea parve confusa da quella domanda.

«Non capisco» rispose infatti, portando le gambe sul letto e sedendosi sui talloni.

Lui accennò ad un sorriso, poggiando le mani sul materazzo e guardandola dritto negli occhi.

«Mangi, bevi, hai un posto tutto tuo, non devi ammazzarti con nessuno per avere un briciolo di pane in più e non sei sottoposta ai lavori forzati» il viso di Mark ora le era vicinissimo, i loro nasi quasi si sfioravano.

Tea deglutì rumorosamente e tentò di dire qualcosa.

«Perché hai provato a scappare?» chiese, serio.

Tea aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono. Pensava di essere stata chiara, perché voleva sentirselo dire di nuovo?

«Non mi dire di nuovo che è perché non riuscivi a sopportate la vista di me con Hanna, ragazzina, perché sarebbe troppo stupido tentare di farsi ammazzare per gelosia» continuò allora lui, sempre mantenendo quel tono serio e un po' arrabbiato.

Tea si morse io labbro inferiore, colta in flagrante. È vero, era stata stupida. Ma era vero anche il motivo. E questo la faceva vergognare da morire, soprattutto data la reazione di lui.

Perciò, provò a tergiversare.

«C-chi ti dice che sia meglio stare qui che al campo?» gli chiese, distogliendo lo sguardo.

Non voleva tornare in quel blok ed effettivamente lavorare nella villa del Comandante era molto meglio.

Ma non poteva confessargli di nuovo che la vista di quella donna avvighiata a lui le aveva fatto salire un istinto omicida.
Improvvisamente sentì il cuore martellare forte nel petto.

«Quindi mi stai dicendo che preferisci tornare in fabbrica?» le chiese allora lui, prendendole il mento con due dita per riportare lo sguardo su di sé.

«NO!» la risposta di Tea, così spontanea, fu più che sufficiente.

E lui insistette.

«E allora perché?» chiese ancora lui, restando nella stessa posizione.
Tea però sbuffò e si alzò in piedi sul letto.

«Ma cosa credi? Che lavorare nella villa del grande Comandante dei campi di sterminio di Auschwitz sia la mia più grande aspirazione nella vita?!» sbottò lei, arrabbiata.

Mark si raddrizzò, allontanandosi dal letto ma senza distogliere gli occhi da Tea.

«Beh... sei un'ebrea... quindi direi di sì» sputò fuori tagliente ma se ne pentì l'attimo dopo.

La vide diventare rossa, non di vergogna o imbarazzo ma di rabbia.

«Sono ebrea, sì! E allora? Io non sono un assassino come te!» gridò, additandolo.

Mark in due lunghi passi le si avvicinò e tirandole le gambe le fece perdere l'equilibrio e lei si ritrovò stesa sul letto con lui che la sovrastava.

«Questo assassino ti ha già salvata due volte» le disse soffiandole sulle labbra «Ricordi?».

Tea voltò il viso di lato, stringendo le mani a pugno con l'intenzione di colpirlo, ma era bloccata.

«Non starmi così vicino!» gridò ancora, scalciando.

«Perché? Sono più attraente di quella palla di lardo» le disse ridendo, facendo un cenno con la testa per indicare la stanza in cui giaceva ancora, senza sensi, quell'uomo.

«Sei solo un buffone» rispose lei, continuando a guardare il soffitto.

«No, sono sincero» disse Mark, allargando le sue labbra in un sorriso divertito «E guardami quando ti parlo» continuò poi, desiderando di guardarla negli occhi.

Tea però continuava a non spostare lo sguardo su di lui.

«Guardo quello che mi pare» rispose cercando di essere indifferente, ma la pressione del suo corpo su di le faceva quasi mancare il fiato.

«Guardami» il tono di Mark sembrava un ordine e, pur cercando di resistere, alla fine fece scontrare i loro occhi.

«Hanna non è niente.» le disse, avvicinandosi per baciarla ma, sul più bello, si tirò indietro lasciando una Tea interdetta. Mark si alzò da lei senza dire una parola e prima che potesse uscire le ordinò di mettersi a riposo.


«Pulisci tu casa? Sono sicura che come cameriera saresti molto brava» lo prese in giro lei, poggiando la testa sul cuscino. Lui la guardò con gli occhi stretti ma un leggero sorriso.

«Attenta a come parli, ragazzina» la minacciò scherzosamente Mark.

Era un soldato nazista e lei una prigioniera ebrea; ma in quel momento, in quella casa, si sentirono solo due semplici ragazzi che avrebbero voluto amarsi.

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